Ormai tutto quello che si poteva dire sulla lettera del Papa ai cattolici d’Irlanda è stato detto. Sarebbe del tutto inutile ripetere cose già lette. Da parte mia aggiungerò solo che il Santo Padre è stato capace di mantenere un difficilissimo equilibrio, specialmente nell’attuale congiuntura, nella quale, sotto la spinta delle pressioni e delle emozioni, è estremamente facile propendere per una certa soluzione, dimenticando le esigenze altrettanto importanti di posizioni diverse.
Tanto per fare un esempio, fra gli innumerevoli articoli che sono stati pubblicati, ne prendo due che esprimono posizioni opposte: da una parte quello di Francesco Peloso sul Riformista, che lamenta che «il documento lascia molti nodi irrisolti» (personalmente, considero pregi i punti deboli della lettera evidenziati da Peloso); dall’altra, l’articolo di Gianfranco Zizola sulla Repubblica, che sottolinea l’assenza della “medicina della misericordia” nella lettera del Papa (ma che lettera ha letto Zizola?).
Non so però che cosa arriverà al grande pubblico di questo raro equilibrio, dal momento che ben pochi leggeranno la lettera nella sua interezza e si accontenteranno dei sunti e delle presentazioni dei giornali, che spesso ne travisano completamente il contenuto. Un esempio: se voi leggete che i preti pedofili dovranno rispondere a Dio e ai tribunali umani, che cosa capite? Che dovranno essere denunciati, magari dai loro Vescovi, alla magistratura civile. Ma, se andate a leggere il testo, vi accorgerete che non sta scritto da nessuna parte. Quel che vi si legge è ben diverso: «Dovete rispondere di ciò davanti a Dio onnipotente, come pure davanti ai tribunali debitamente costituiti».
Ma vorrei soffermarmi su un altro punto, che finora è stato alquanto trascurato e che a me sembra invece di capitale importanza: la situazione dei Vescovi che sono rimasti coinvolti, loro malgrado, in questi casi. Non vorrei che, alla fine, siano proprio loro a dover subire le maggiori conseguenze di tutta questa situazione. E, se devo essere sincero, ho l’impressione che siano proprio loro l’obiettivo principale di questa campagna ufficialmente contro la pedofilia, di fatto contro la Chiesa (perché non ci si sdegna contro la pedofilia in altri ambienti come contro quella che avviene nella Chiesa?).
Vedete, in fondo, i preti pedofili, se subiscono delle pene per il loro comportamento, se lo sono meritato. Anzi mi meraviglia la delicatezza usata dai giornali nei loro confronti (avete notato che di solito vengono citati con le sole iniziali?). Gli strali dei pubblici moralizzatori non si scagliano tanto contro i pedofili, quanto piuttosto contro i Vescovi (di cui si fanno nome e cognome e si chiedono pubblicamente le dimissioni), che li hanno coperti. Ciò che viene rinfacciato alla Chiesa non è tanto il comportamento peccaminoso (e criminale) di alcuni preti (del resto non raramente condiviso dagli accusatori piú arrabbiati), quanto piuttosto le “coperture”, l’“occultamento” dei casi, l’“insabbiamento” delle pratiche, il clima di “omertà” che esisterebbe nella Chiesa. E in questa polemica è ovvio che i principali bersagli sono appunto i Vescovi, i quali, nel migliore dei casi, “non potevano non sapere” (colpa, a quanto pare, sufficiente per esigere le loro dimissioni).
Lasciate pertanto che spezzi una lancia a favore di questi poveri Vescovi, che spesso si sono trovati, senza alcuna colpa, coinvolti in questi casi, hanno cercato e pensato di fare del loro meglio, e oggi vengono accusati di complicità. Diciamo subito che forse in alcuni casi non si sono resi pienamente conto della gravità della situazione. Probabilmente è vero che in molti casi l’unico provvedimento da loro preso è stato il trasferimento. Ma, del resto, non è, questa, una delle pene previste dal diritto canonico (magari usando altre espressioni, come “proibizione o ingiunzione di dimorare in un determinato luogo”)?
Diciamo la verità, non è che finora esistessero norme cosí chiare e precise riguardo ai casi di pedofilia. La tanto citata istruzione Crimen sollicitationis del 1962 si riferisce, appunto, alla sollecitazione al peccato contro il sesto comandamento nell’atto o in occasione o col pretesto della confessione sacramentale (nell’attuale CIC, can. 1387). Non sempre i reati di pedofilia sono connessi con la confessione. La Crimen sollicitationis dedica alla pedofilia solo un articolo (n. 73). C’è voluta la lettera Ad exsequendam del 2001 per inserire «il delitto contro il sesto comandamento del Decalogo commesso da un chierico con un minore al di sotto dei 18 anni di età» fra i delitti piú gravi riservati alla Congregazione per la dottrina della fede. Ora, ritengo che i Vescovi possano essere incolpati solo se sono andati contro le norme previste da questi due documenti (se per esempio, dopo il 2001, non avessero deferito tali casi alla CDF). In caso contrario, di che cosa possono essere accusati?
So già la risposta: di occultamento e di insabbiamento; i Vescovi non hanno denunciato alla magistratura i casi di cui sono venuti a conoscenza. Mi si dica, per favore, dove stava (e dove sta) scritto. Anzi, nella Crimen sollicitationis era ingiunto il “segreto del Sant’Uffizio”, sotto pena di scomunica (n. 11; cf n. 70). Anche nella nuova normativa (lettera Ad exsequendam), è esplicitamente detto che «le cause di questo genere sono soggette al segreto pontificio». A tale proposito, non mi sembra corretto confondere il “segreto pontificio”, che è giuridicamente ben definito e regolamentato (si veda l’istruzione Secreta continere del 4 febbraio 1974), con il semplice “segreto istruttorio”.
Oltre tutto, nel vecchio Codice di diritto canonico era previsto il privilegium fori (can. 120 CIC 1917). Perché un Vescovo avrebbe dovuto denunciare un suo sacerdote alla magistratura civile? Oggi la sensibilità sta cambiando; il Papa invita i Vescovi irlandesi a «cooperare con le autorità civili nell’ambito di loro competenza», ma non chiede loro di piú. Quindi non mi sembra giusto incolpare i Vescovi di colpe che non hanno. Se si vuole che i Vescovi agiscano in maniera diversa, occorre cambiare le norme e dire con precisione come devono comportarsi, d’ora in poi, in casi simili.
Non vorrei che i Vescovi diventassero i capri espiatori di una situazione piú grande di loro. Stiamo soprattutto attenti a non introdurre nella Chiesa pericolosissime fratture: il Papa è buono perché sta dalla parte delle vittime; i Vescovi sono cattivi perché coprono i preti pedofili. Se cosí fosse, sarebbe la piú grossa vittoria dei nemici della Chiesa, che dopo aver fallito a incastrare il Papa in questa vicenda, sarebbero riusciti a dividere la Chiesa. Non è questo il momento delle divisioni, ma quello dell’unità, necessaria per far fronte alle sfide interne ed esterne alla Chiesa.