Anche il processo di beatificazione di Giovanni Paolo II si sta trasformando in una telenovela. Era inevitabile che finisse cosí. È ovvio che, una volta imboccata la strada del processo mediatico (non so se vi siete accorti che il processo si è finora svolto sui media piú che nelle austere aule dei tribunali ecclesiastici), si doveva essere pronti a certi colpi di scena. Il problema è che ormai stiamo cadendo nel ridicolo.
Tutto è cominciato con quell’improvvido “Santo subito!” dei funerali: fu presentato come la spontanea espressione della vox populi, ma poi qualcuno ha sollevato il sospetto che si trattasse di un’operazione ben pianificata da qualche “lobby”.
Atto secondo: le pressioni sul nuovo Pontefice si sono fatte cosí insistenti da costringerlo a derogare alla norma dei cinque anni per l’introduzione della causa di beatificazione. Ovviamente, il Papa era libero di rispondere alle pressioni in modo diverso; ma è innegabile che le pressioni ci siano state (non so se ricordate che, successivamente, alle insistenze di alcuni che chiedevano a Benedetto XVI l’approvazione dell’eroicità delle virtú di Pio XII, la Sala Stampa della Santa Sede rispose con un secco invito a non esercitare sul Santo Padre intollerabili pressioni).
All’introduzione della causa è seguito un processo-lampo, la cui velocità non può che suscitare qualche perplessità sulla scrupolosità adottata nelle procedure. Circolavano voci che non tutti i documenti fossero stati messi a disposizione. A quanto pare il voto dei consultori sull’eroicità delle virtú non è stato unanime.
Nel frattempo si è svolto il “processo” parallelo sui media: a parte gli articoli sui giornali e i servizi televisivi, i due volumi che non molto opportunamente sono stati pubblicati, interferendo pesantemente nel lavoro dei giudici. Prima il libro di Wanda Poltawska, Diario di un’amicizia, la cui pubblicazione è stata fortemente criticata dal Card. Dziwisz; poi quello del postulatore Slawomir Oder, Perché è santo, stroncato da Gianfranco Svidercoschi. Si pensava forse di affrettare la beatificazione; di fatto, la si è intralciata.
Poi c’è stata la dichiarazione dell’eroicità delle virtú, che è stata presentata come una specie di pre-beatificazione: erano state addirittura già proposte le date: o il 2 aprile o il 16 ottobre 2010. Dimenticando che, dopo la dichiarazione dell’eroicità delle virtú, è necessario che ci sia un altro processo per il miracolo; ma sembrava che si trattasse di semplici formalità: il miracolo c’era già e sembrava inoppugnabile. Ora sembra che non lo sia poi cosí tanto. Per carità, niente di strano nei processi normali; già, ma in questo caso non si tratta di un processo normale...
Poi c’è stato il concistoro per l’approvazione di alcune canonizzazioni (che si svolgeranno il 17 ottobre 2010), nel quale non si fa alcun cenno alla beatificazione di Papa Wojtyla. C’è subito qualcuno (anche nell’episcopato polacco) che manifesta il proprio disappunto.
Se posso esprimere il mio modesto parere, mi sembra che proprio non ci siamo. È vero che i tempi sono cambiati; è vero che le norme che regolano i processi di beatificazione e canonizzazione sono state modificate; però mi sembra che siamo arrivati a una situazione intollerabile. Ricordo che un tempo, nelle vite dei Servi di Dio, molto prudentemente si dichiarava che, in ossequio ai decreti di Urbano VIII, quanto scritto non voleva in alcun modo prevenire il giudizio della Chiesa e che ci si rimetteva alle decisioni della Sede Apostolica. Ora invece siamo di fronte a un susseguirsi di forzature, che stanno prestando un pessimo servizio a Giovanni Paolo II.
Direi proprio che sia giunto il momento di mettere un punto a questo andazzo. Non è questo il modo per procedere a beatificazioni e canonizzazioni; bisogna che tutto rientri nella normalità delle procedure, col rigore e la discrezione che queste prevedono. Se il processo, anziché richiedere cinque anni, ne richiederà dieci, venti o cinquanta, che importa? Perché tutta questa fretta? Se Giovanni Paolo II è santo, presto o tardi verrà pubblicamente riconosciuto. Perché voler a tutti i costi bruciare le tappe, col rischio di seminare dei sospetti, poi difficilmente rimediabili?