Ho letto con grande interesse l’articolo di Stefano Carusi “La riforma della Settimana Santa negli anni 1951-1956”, pubblicato sul blog Disputationes theologicae. Si tratta di uno studio documentatissimo che illustra gli interventi operati sui riti della Settimana Santa negli anni Cinquanta, durante il pontificato di Pio XII. Dalla lettura dell’articolo ho imparato molte cose che non sapevo; ma non è questo il motivo per cui ne parlo. Ci sono altre due ragioni che mi spingono a trattarne.
La prima è che questo studio dimostra che avevo torto quando, nel mio articolo Concilio e “spirito del Concilio” (pubblicato nel primo post di questo blog), affermavo che tali “primizie” preconciliari della riforma liturgica erano sostanzialmente condivise da tutti. Don Carusi dimostra che non è affatto vero: già allora apparve evidente agli osservatori piú attenti che si trattava di interventi alquanto discutibili.
Il secondo motivo è che questo articolo conferma quanto ho sempre sostenuto: che cioè il Concilio in generale e la riforma liturgica in particolare non spuntano come un fungo: essi sono preceduti da un lungo lavoro di preparazione e sono il risultato di tutta una serie di “movimenti”, che affondano le loro radici nell’Ottocento e vedono la loro piena fioritura nel corso del Novecento. Perché ritengo questa una osservazione importante? Perché essa dimostra che esiste continuità nella Chiesa.
Purtroppo, come ho già avuto modo di rilevare, l’“ermeneutica della discontinuità” non è diffusa solo fra i progressisti, che considerano il Vaticano II come un “nuovo inizio” nella storia della Chiesa, ma tocca anche quei gruppi tradizionalisti, che lo considerano come l’origine di tutti i mali della Chiesa e pensano che prima del Concilio tutto andasse bene. Di errori ne sono stati fatti prima del Concilio, durante il Concilio e dopo il Concilio (come pure sia prima sia durante sia dopo il Vaticano II sono state fatte molte cose buone).
Che già prima del Concilio fosse assai diffusa nella Chiesa una mentalità, diciamo cosí, razionalistica, è un dato di fatto; e il post di Disputationes theologicae lo dimostra. Che lo stesso Pio XII si sia lasciato prendere un po’ la mano da questa corrente, non è una novità. Non so se ricordate, ma un anno fa avevo messo in luce un altro aspetto piuttosto discutibile del pontificato di Papa Pacelli: la nuova traduzione del Salterio del 1945, respinta poi dal Concilio in favore di un ritorno alla Volgata, seppure emendata (vedi qui). Nel caso dei riti della Settimana Santa non saprei dire se la successiva riforma liturgica abbia posto rimedio ai difetti dell’Ordo del 1955-56 o non li abbia piuttosto aggravati (sarebbe necessario uno studio approfondito, che non possiamo fare qui); sta di fatto che già prima del Concilio si presero delle cantonate.
C’è però un aspetto positivo in tutta questa storia, che va opportunamente evidenziato. Pio XII non era quel reazionario che tanto i progressisti quanto i tradizionalisti solitamente ci dipingono; era estremamente aperto alle novità: tanto aperto che in qualche caso corse il rischio di approvare scelte che successivamente avrebbero mostrato tutti i loro limiti.