Articolo da me pubblicato sul n. 1/2010 dell'Eco dei Barnabiti (pp. 12-13). I lettori del blog hanno familiarità con certe problematiche. L'articolo vuole essere un tentativo di rendere partecipi delle medesime tematiche i semplici fedeli.
Iniziamo con questo articolo una nuova rubrica dell’Eco: l’“Osservatorio ecclesiale”. Il Grande Dizionario dell’uso di Tullio de Mauro dà, di “osservatorio”, la seguente definizione: «Luogo o edificio opportunamente collocato e dotato delle necessarie attrezzature per l’osservazione scientifica di eventi naturali»; e, per estensione, «Istituzione che ha il compito di rilevare l’andamento di fenomeni economici e sociali». Dunque, se ho ben compreso le intenzioni della direzione dell’Eco, compito della nuova rubrica dovrebbe essere quello di rilevare l’andamento dei fenomeni ecclesiali.
Ce n’è bisogno? Beh, penso proprio di sì; perché certe volte, pur partecipando attivamente alla vita della Chiesa, non ci accorgiamo appieno di quel che sta accadendo intorno a noi e continuiamo a ragionare e a giudicare la realtà con gli schemi che potevano andar bene venti anni fa, ma che non sono più adatti a comprendere la situazione presente. Ricordo che una trentina di anni or sono — eravamo agli inizi del pontificato di Giovanni Paolo II — io, che ero stato un grande ammiratore di Paolo VI, un giorno espressi qualche perplessità a proposito degli orientamenti del nuovo Papa. Ebbene, Mons. Andrea Erba, che era ancora un semplice sacerdote, mi disse: «Ricorda che la Chiesa va avanti». Lì per lì, quella risposta non mi convinse del tutto; ma ora, a distanza di anni, devo dire che aveva pienamente ragione: la Chiesa, sotto la guida dello Spirito, continua il suo cammino; sarebbe miope non accorgersi dell’evoluzione che avviene in essa, come del resto nella società e in qualsiasi altra realtà.
Ho l’impressione che stia accadendo qualcosa di simile anche ai nostri giorni. Sono ormai cinque anni che è stato eletto Benedetto XVI, ma si direbbe che qualcuno non se ne sia ancora accorto. Ci sono molti che continuano a “pensare” la Chiesa come se ci fosse ancora Papa Wojtyla, e continuano a fare antipatici confronti fra i due Papi e a giudicare l’attuale Pontefice sul modello del suo predecessore. Ma dimenticano una verità molto semplice: che Giovanni Paolo II è morto, e che alla guida della Chiesa c’è oggi Benedetto XVI. Si potrà essere più o meno d’accordo con le decisioni del regnante Pontefice, ma non si può ignorare il segno che i suoi interventi stanno lasciando nella Chiesa. Se è vero che ciascuno (e quindi anche il Papa) è figlio del proprio tempo; è altrettanto vero che ciascuno (e, a maggior ragione, il Papa) dà un contributo all’epoca in cui si trova a vivere e operare.
Compito di questa rubrica non è quello di esprimere giudizi di valore, positivi o negativi che siano; trattandosi di un “osservatorio”, essa dovrà limitarsi a osservare la realtà. Ciascuno poi, per suo conto, potrà, se vorrà, procedere alle proprie personali valutazioni; ma, perché ciò possa avvenire, è necessario prima prendere coscienza di ciò che si sta muovendo intorno a noi.
Fatta questa premessa, potremmo chiederci quali siano le direttrici, gli orientamenti di fondo dell’attuale pontificato: è esattamente la domanda a cui cercheremo di dare una risposta con gli articoli della nuova rubrica durante l’anno. Essendo questo il primo numero dell’Eco del 2010, ci chiederemo se esista una chiave di lettura, un criterio unificante che ci permetta di “leggere” il pontificato di Benedetto XVI.
Non sarà un caso (per un credente nulla può essere considerato fortuito, ma tutto rientra in un preciso disegno divino) che il Card. Joseph Ratzinger sia stato eletto Papa nel 2005, quarantesimo anniversario della conclusione del Vaticano II. Ebbene, una delle prime problematiche affrontate dal nuovo Pontefice è stata proprio l’interpretazione da dare al Concilio. Lo fece nel memorabile discorso alla Curia Romana del 22 dicembre 2005 (otto mesi dopo la sua elezione). In quell’occasione Benedetto XVI pose questa domanda: «Perché la recezione del Concilio, in grandi parti della Chiesa, finora si è svolta in modo così difficile?». Domanda a cui diede la seguente risposta:
«Tutto dipende dalla giusta interpretazione del Concilio o — come diremmo oggi — dalla sua giusta ermeneutica, dalla giusta chiave di lettura e di applicazione. I problemi della recezione sono nati dal fatto che due ermeneutiche contrarie si sono trovate a confronto e hanno litigato tra loro. L’una ha causato confusione, l’altra, silenziosamente ma sempre più visibilmente, ha portato frutti. Da una parte esiste un’interpretazione che vorrei chiamare “ermeneutica della discontinuità e della rottura”; essa non di rado si è potuta avvalere della simpatia dei mass-media, e anche di una parte della teologia moderna. Dall’altra parte c’è l’“ermeneutica della riforma”, del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato; è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino».
E proseguiva illustrando i tratti essenziali delle due contrapposte “ermeneutiche” e i diversi frutti della loro applicazione. Non possiamo ora noi ripercorrere tutta l’argomentazione di Papa Ratzinger; ciascuno, per proprio conto, potrà leggersi nella sua interezza il discorso nei tradizionali repertori di documentazione ecclesiale (ce n’è uno ormai alla portata di tutti: il sito web della Santa Sede www.vatican.va). Per il momento ci accontenteremo di rilevare solo alcuni punti:
1. Il discorso del 22 dicembre 2005, pur essendo formalmente un’allocuzione per la presentazione degli auguri natalizi, trattandosi del primo grande discorso del pontificato, assume un valore che potremmo definire “programmatico”.
2. Il problema della corretta interpretazione del Concilio, a quarant’anni dalla sua conclusione, riveste un’importanza fondamentale in questo momento critico nella vita della Chiesa. Non è più possibile continuare a ripetere i soliti stereotipi; occorre assumere un atteggiamento critico, non per mettere in discussione il Concilio, ma per chiedersi che cosa esso ha detto veramente, se il suo messaggio è stato compreso correttamente, se i suoi insegnamenti sono stati realmente attuati e quali ne sono stati i risultati.
3. Benedetto XVI, nel pieno esercizio delle sue funzioni magisteriali, come autentico interprete del Vaticano II, ce ne indica la corretta chiave di lettura: la cosiddetta “ermeneutica della riforma”, da lui spiegata come ermeneutica “del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa”. D’ora in poi, i testi del Vaticano II non potranno più essere interpretati alla luce di un fantomatico “spirito del Concilio” (di cui non si conoscono con precisione i tratti e non si sa bene chi siano i custodi), ma alla luce della ininterrotta tradizione della Chiesa. Non perché in tale tradizione non sia possibile alcuno sviluppo, ma perché il rinnovamento va effettuato nella continuità della Chiesa, che rimane la stessa prima e dopo il Concilio.
4. Personalmente ritengo di trovare in questa “ermeneutica della continuità” la chiave di lettura non solo del Concilio, ma dello stesso pontificato di Benedetto XVI. Le sue decisioni, i suoi gesti possono essere capiti solo in questa luce. Molti dipingono Papa Ratzinger come un Pontefice tradizionalista, nostalgico e restauratore; questo perché continuano ad applicare a lui gli usurati schemi ideologici che dividono sbrigativamente gli uomini fra progressisti e conservatori. Ma, così facendo, rischiano di non capire nulla della “politica” di Benedetto XVI. Se invece ci sforziamo di leggere i suoi molteplici interventi alla luce del criterio della “ermeneutica della riforma”, ecco che tutto acquisterà un senso. Papa Ratzinger non vuole riportare indietro le lancette della storia; vuole semplicemente che la Chiesa si rinnovi rimanendo sé stessa.