giovedì 11 marzo 2010

Qualcosa comincia a muoversi

Finalmente qualche sprazzo di luce! Dopo aver letto per lungo tempo, sulla questione della pedofilia, quasi solo slogan (“Trasparenza!”; “Tolleranza zero!”), finalmente si incomincia a ragionare. In questi giorni è stato possibile trovare qui è là delle riflessioni degne d’attenzione, qualche volta addirittura alcune verità scomode, che finora nessuno aveva avuto il coraggio di pronunciare. Credo che si tratti come delle tessere di un mosaico, che bisognerebbe incominciare a mettere insieme.

Secondo me, il primo a cui va riconosciuto il merito di aver affrontato l’argomento in una prospettiva nuova, questa volta è stato proprio Padre Lombardi, il quale ha detto alcune cose molto interessanti. Innanzi tutto, credo per la prima volta, è passato dall’atteggiamento difensivo, finora adottato, al contrattacco: «Certamente gli errori compiuti nelle istituzioni e da responsabili ecclesiali sono particolarmente riprovevoli, data la responsabilità educativa e morale della Chiesa. Ma tutte le persone obiettive ed informate sanno che la questione è molto piú ampia, e il concentrare le accuse solo sulla Chiesa porta a falsare la prospettiva. Solo per fare un esempio, i dati recentemente forniti dalle autorità competenti in Austria dicono che in uno stesso periodo di tempo i casi accertati in istituzioni riconducibili alla Chiesa sono stati 17, mentre ve ne sono stati altri 510 in altri ambienti. È bene preoccuparsi anche di questi». E poi ha ricordato una grande verità, che nei dibattiti finora svolti sull’argomento era stata sempre trascurata: «È bene ricordare ancora che la Chiesa vive inserita nella società civile e in essa assume le sue responsabilità, ma ha anche un suo ordinamento specifico distinto, quello “canonico”, che risponde alla sua natura spirituale e sacramentale, in cui quindi anche le procedure giudiziali e penali sono di natura diversa (ad esempio non prevedono pene pecuniarie o di privazione della libertà, ma impedimento di esercizio di ministero, privazione di diritti nel campo ecclesiastico, ecc.). Nell’ambito canonico il delitto di abuso sessuale di minori è sempre stato considerato uno dei piú gravi fra tutti, e le norme canoniche lo hanno costantemente riaffermato, in particolare la Lettera “De delictis gravioribus” del 2001, talvolta inopportunamente citata come causa di una “cultura del silenzio”».

Oggi poi sono stati pubblicati due commenti sul Corriere della sera, in entrambi dei quali si possono trovare utili spunti di riflessione. Alberto Melloni, in mezzo alle solite amenità, ha detto una verità che tutti sapevano, ma che nessuno finora aveva avuto il coraggio di pronunciare: «E probabilmente ha ragione anche l’analisi di chi vede in certe sequenze — il caso americano scoppiò giusto giusto quando Giovanni Paolo II si schierò contro la guerra di Bush in Iraq — lo zampino di una politica che non genera, ma approfitta della inettitudine dei vescovi». Vittorio Messori, da parte sua, innanzi tutto rivela un’altra verità scomoda: «Non pochi di coloro che si atteggiano a inflessibili moralizzatori, furono apostoli attivi della sessantottarda “liberazione sessuale”. Per coloro che non vissero quei tempi, sarà sorprendente un carotaggio tra tanti, troppi testi degli anni Settanta. Libertà di sesso, per chiunque e con chiunque! Bambini compresi, anzi questi per primi, per educarli da subito a una prospettiva “non repressiva”, a un “eros liberato”» (vedo ora con piacere anche il Card. Schönborn ha tirato fuori il problema, per me determinante, della “rivoluzione sessuale” del ’68). Molto interessante poi l’esperienza personale di Messori, avuta in ambienti rigorosamente laici. Lasciamo perdere la finale dell’articolo, forse valida per i “piccoli”, che non possono che rimanere scandalizzati da certe notizie, ma assolutamente inadeguata per quanti hanno promosso questa campagna contro la Chiesa.

Chiaramente non è ancora il momento di tirare conclusioni. Ma per lo meno si incomincia a intravvedere un approccio diverso al problema della pedofilia nella Chiesa. Prima di tutto ci si comincia a liberare dal complesso di inferiorità e di colpa che fin qui aveva caratterizzato tutte le reazioni ecclesiastiche. Si è iniziato a contrattaccare, non perché i fatti contestati non siano veri, ma perché è ormai assodato che si tratta esclusivamente di accuse strumentali: se gli accusatori della Chiesa fossero veramente interessati al bene dei bambini, denuncerebbero le violenze da qualunque parte provengono. Mentre invece interessano loro solo gli abusi operati dal clero cattolico: a questi sepolcri imbiancati, dei bambini non gliene importa niente; l’unica cosa che interessa loro è l’attacco alla Chiesa, e al Papa in particolare. Oramai è evidente la strategia: si è partiti dall’America (per i motivi espressi da Melloni), per passare poi all’Europa, cominciando dall’Irlanda e arrivando infine in Germania, guarda caso alle diocesi di Ratisbona e di Monaco (chissà perché). Il cerchio si stringe: in un modo o nell’altro, bisogna incastrare Papa Ratzinger. C’è solo da chiedersi se la tappa successiva sarà la Chiesa italiana. Staremo a vedere.

Ma un altro aspetto positivo è che la Chiesa sta prendendo coscienza della gravità del fenomeno e quindi della necessità di correre ai ripari. È una questione complessa, che richiederà tempo e impegno non indifferente; ma non è certo una questione che si risolve, come si vorrebbe far credere, con la “collaborazione con le autorità civili”. Come giustamente ci ha ricordato Padre Lombardi, la Chiesa ha un suo ordinamento interno, ed è lí che bisogna intervenire. Si tratta di ripensare da capo tutto il problema, sul piano teologico, ascetico, formativo, canonico e pastorale, con la disponibilità a fare, se ce ne fosse bisogno, autocritica per gli errori commessi e a introdurre eventuali correttivi. Ma si tratta di un lavoro da svolgere lontano dai riflettori dei media, che inevitabilmente condizionano e limitano la serenità, la lucidità e il rigore necessari in questi casi.