Qualcuno si aspetterà che continui a parlare del caso Küng, viste le reazioni provocate dal mio post del 26 febbraio e dalla successiva "Pubblica ammenda" (che riguardava, sia ben chiaro, esclusivamente il titolo, non il contenuto del post). Ma, fra i motivi per cui ho deciso di escludere commenti nel mio blog fin dall'inizio, c'è anche quello che non posso e non voglio starci dietro. Richiederebbe tempo e attenzioni che, sinceramente, preferisco dedicare ad altro. Non voglio passare la mia giornata davanti al computer; non voglio vivere in un mondo cibernetico; voglio vivere nella realtà. Ringrazio tutti quanti sono intervenuti, sia quelli che hanno voluto incoraggiarmi ad andare avanti, sia i critici che lo hanno fatto con garbo. Ringrazio, in particolare, il sito Benoît et moi, per aver messo il mio post a disposizione dei lettori di lingua francese.
Qualcuno si aspetterà forse che dica qualcosa sulle scuse di Mons. Williamson e il successivo intervento di Padre Lombardi, che considera la dichiarazione del Vescovo negazionista insufficiente. Se devo essere sincero, la questione mi è venuta a noia.
Oggi preferisco parlare di qualcosa di piú positivo. Avete letto l'altro giorno su Avvenire la presentazione del libro Fare il prete non è un mestiere di Laura Badaracchi? Ebbene, a me ha fatto immenso piacere, perché dimostra che, tutto sommato, al di là delle lamentele (piú o meno giustificate) che possiamo fare, la Chiesa italiana è ancora una Chiesa viva. È vero, all'inizio del Novecento i preti erano quasi 70.000; dopo un secolo si sono praticamente dimezzati, ma non è poi cosí malaccio in confronto ad altri paesi europei. Anche l'età media non è poi cosí avanzata (60 anni), come in altre regioni. E questo libro si limita a descrivere esclusivamente la realtà del clero diocesano. Ci sarebbe poi da considerare la realtà del clero religioso. È vero che forse, in tal caso, la media dell'età sarebbe un tantino superiore; ma questo è compensato, nel caso degli istituti religiosi, da un ringiovanimento provocato dalla loro internazionalizzazione.
Lasciate, a questo proposito, che porti una testimonianza personale. Fino a sei anni fa sono vissuto in Italia, inserito nell'attività pastorale sia nella parrocchia, sia soprattutto nella scuola. Conosco i problemi della Chiesa italiana. E, finché ci vivevo, ero portato a evidenziarne soprattutto gli aspetti negativi. Ma è proprio vero che si scopre il valore di una cosa quando la si perde: ora che vivo lontano dall'Italia, ho imparato ad apprezzare le ricchezze della Chiesa italiana. Una di queste ricchezze è appunto il suo clero. Non possiamo lamentarci dei preti italiani, non soltanto di quelli di una volta, ma anche di quelli piú giovani. Penso che si possa affermare tranquillamente che, anche dopo il Vaticano II, nei seminari italiani si è lavorato seriamente. Lasciatelo dire a chi ora può fare qualche confronto (per favore, non chiedetemi di dire di piú). Certo, nella massa, ci sarà sempre la mela marcia; ma ciò non toglie nulla al valore dell'insieme. Troverete preti di tutti i tipi, ognuno è un tipo a sé; ma proprio questa varietà è un'immensa ricchezza.
Ho già detto che la ricerca andrebbe forse integrata con uno studio della vita religiosa italiana. Ma vorrei aggiungere che esiste un'altra realtà che è spesso trascurata, dimenticata o addirittura ignorata. È quella della Chiesa italiana fuori d'Italia: le migliaia di missionari — sacerdoti, religiosi e soprattutto religiose — presenti in ogni parte del mondo. Anche per me è stata una scoperta! Ve lo posso assicurare, siamo un piccolo esercito. Non piú cosí numerosi come una volta, ma ancora un numero ragguardevole (specie se confrontato con i missionari di altre nazionalità). Non piú giovanissimi, ma neppure vecchissimi. Devo dire di essere estremamente edificato dalla testimonianza di generosità, di disinteresse, di abnegazione e, diciamolo pure, di capacità operative. Certe suorine cosí semplici, che sono state capaci di realizzare meraviglie!
Ebbene, una Chiesa che è stata e continua a essere capace di esprimere tante vocazioni, è una Chiesa viva. Non possiamo che ringraziarne il Signore.
Qualcuno si aspetterà forse che dica qualcosa sulle scuse di Mons. Williamson e il successivo intervento di Padre Lombardi, che considera la dichiarazione del Vescovo negazionista insufficiente. Se devo essere sincero, la questione mi è venuta a noia.
Oggi preferisco parlare di qualcosa di piú positivo. Avete letto l'altro giorno su Avvenire la presentazione del libro Fare il prete non è un mestiere di Laura Badaracchi? Ebbene, a me ha fatto immenso piacere, perché dimostra che, tutto sommato, al di là delle lamentele (piú o meno giustificate) che possiamo fare, la Chiesa italiana è ancora una Chiesa viva. È vero, all'inizio del Novecento i preti erano quasi 70.000; dopo un secolo si sono praticamente dimezzati, ma non è poi cosí malaccio in confronto ad altri paesi europei. Anche l'età media non è poi cosí avanzata (60 anni), come in altre regioni. E questo libro si limita a descrivere esclusivamente la realtà del clero diocesano. Ci sarebbe poi da considerare la realtà del clero religioso. È vero che forse, in tal caso, la media dell'età sarebbe un tantino superiore; ma questo è compensato, nel caso degli istituti religiosi, da un ringiovanimento provocato dalla loro internazionalizzazione.
Lasciate, a questo proposito, che porti una testimonianza personale. Fino a sei anni fa sono vissuto in Italia, inserito nell'attività pastorale sia nella parrocchia, sia soprattutto nella scuola. Conosco i problemi della Chiesa italiana. E, finché ci vivevo, ero portato a evidenziarne soprattutto gli aspetti negativi. Ma è proprio vero che si scopre il valore di una cosa quando la si perde: ora che vivo lontano dall'Italia, ho imparato ad apprezzare le ricchezze della Chiesa italiana. Una di queste ricchezze è appunto il suo clero. Non possiamo lamentarci dei preti italiani, non soltanto di quelli di una volta, ma anche di quelli piú giovani. Penso che si possa affermare tranquillamente che, anche dopo il Vaticano II, nei seminari italiani si è lavorato seriamente. Lasciatelo dire a chi ora può fare qualche confronto (per favore, non chiedetemi di dire di piú). Certo, nella massa, ci sarà sempre la mela marcia; ma ciò non toglie nulla al valore dell'insieme. Troverete preti di tutti i tipi, ognuno è un tipo a sé; ma proprio questa varietà è un'immensa ricchezza.
Ho già detto che la ricerca andrebbe forse integrata con uno studio della vita religiosa italiana. Ma vorrei aggiungere che esiste un'altra realtà che è spesso trascurata, dimenticata o addirittura ignorata. È quella della Chiesa italiana fuori d'Italia: le migliaia di missionari — sacerdoti, religiosi e soprattutto religiose — presenti in ogni parte del mondo. Anche per me è stata una scoperta! Ve lo posso assicurare, siamo un piccolo esercito. Non piú cosí numerosi come una volta, ma ancora un numero ragguardevole (specie se confrontato con i missionari di altre nazionalità). Non piú giovanissimi, ma neppure vecchissimi. Devo dire di essere estremamente edificato dalla testimonianza di generosità, di disinteresse, di abnegazione e, diciamolo pure, di capacità operative. Certe suorine cosí semplici, che sono state capaci di realizzare meraviglie!
Ebbene, una Chiesa che è stata e continua a essere capace di esprimere tante vocazioni, è una Chiesa viva. Non possiamo che ringraziarne il Signore.