sabato 28 febbraio 2009

Una Chiesa viva

Qualcuno si aspetterà che continui a parlare del caso Küng, viste le reazioni provocate dal mio post del 26 febbraio e dalla successiva "Pubblica ammenda" (che riguardava, sia ben chiaro, esclusivamente il titolo, non il contenuto del post). Ma, fra i motivi per cui ho deciso di escludere commenti nel mio blog fin dall'inizio, c'è anche quello che non posso e non voglio starci dietro. Richiederebbe tempo e attenzioni che, sinceramente, preferisco dedicare ad altro. Non voglio passare la mia giornata davanti al computer; non voglio vivere in un mondo cibernetico; voglio vivere nella realtà. Ringrazio tutti quanti sono intervenuti, sia quelli che hanno voluto incoraggiarmi ad andare avanti, sia i critici che lo hanno fatto con garbo. Ringrazio, in particolare, il sito Benoît et moi, per aver messo il mio post a disposizione dei lettori di lingua francese.

Qualcuno si aspetterà forse che dica qualcosa sulle scuse di Mons. Williamson e il successivo intervento di Padre Lombardi, che considera la dichiarazione del Vescovo negazionista insufficiente. Se devo essere sincero, la questione mi è venuta a noia.

Oggi preferisco parlare di qualcosa di piú positivo. Avete letto l'altro giorno su Avvenire la presentazione del libro Fare il prete non è un mestiere di Laura Badaracchi? Ebbene, a me ha fatto immenso piacere, perché dimostra che, tutto sommato, al di là delle lamentele (piú o meno giustificate) che possiamo fare, la Chiesa italiana è ancora una Chiesa viva. È vero, all'inizio del Novecento i preti erano quasi 70.000; dopo un secolo si sono praticamente dimezzati, ma non è poi cosí malaccio in confronto ad altri paesi europei. Anche l'età media non è poi cosí avanzata (60 anni), come in altre regioni. E questo libro si limita a descrivere esclusivamente la realtà del clero diocesano. Ci sarebbe poi da considerare la realtà del clero religioso. È vero che forse, in tal caso, la media dell'età sarebbe un tantino superiore; ma questo è compensato, nel caso degli istituti religiosi, da un ringiovanimento provocato dalla loro internazionalizzazione.

Lasciate, a questo proposito, che porti una testimonianza personale. Fino a sei anni fa sono vissuto in Italia, inserito nell'attività pastorale sia nella parrocchia, sia soprattutto nella scuola. Conosco i problemi della Chiesa italiana. E, finché ci vivevo, ero portato a evidenziarne soprattutto gli aspetti negativi. Ma è proprio vero che si scopre il valore di una cosa quando la si perde: ora che vivo lontano dall'Italia, ho imparato ad apprezzare le ricchezze della Chiesa italiana. Una di queste ricchezze è appunto il suo clero. Non possiamo lamentarci dei preti italiani, non soltanto di quelli di una volta, ma anche di quelli piú giovani. Penso che si possa affermare tranquillamente che, anche dopo il Vaticano II, nei seminari italiani si è lavorato seriamente. Lasciatelo dire a chi ora può fare qualche confronto (per favore, non chiedetemi di dire di piú). Certo, nella massa, ci sarà sempre la mela marcia; ma ciò non toglie nulla al valore dell'insieme. Troverete preti di tutti i tipi, ognuno è un tipo a sé; ma proprio questa varietà è un'immensa ricchezza.

Ho già detto che la ricerca andrebbe forse integrata con uno studio della vita religiosa italiana. Ma vorrei aggiungere che esiste un'altra realtà che è spesso trascurata, dimenticata o addirittura ignorata. È quella della Chiesa italiana fuori d'Italia: le migliaia di missionari — sacerdoti, religiosi e soprattutto religiose — presenti in ogni parte del mondo. Anche per me è stata una scoperta! Ve lo posso assicurare, siamo un piccolo esercito. Non piú cosí numerosi come una volta, ma ancora un numero ragguardevole (specie se confrontato con i missionari di altre nazionalità). Non piú giovanissimi, ma neppure vecchissimi. Devo dire di essere estremamente edificato dalla testimonianza di generosità, di disinteresse, di abnegazione e, diciamolo pure, di capacità operative. Certe suorine cosí semplici, che sono state capaci di realizzare meraviglie!

Ebbene, una Chiesa che è stata e continua a essere capace di esprimere tante vocazioni, è una Chiesa viva. Non possiamo che ringraziarne il Signore.

venerdì 27 febbraio 2009

Pubblica ammenda

Ancora grazie a Raffaella per aver voluto segnalare il mio post di ieri sull'intervista di Hans Küng. Dal suo blog vedo che il titolo da me usato ha scandalizzato qualche lettore. Accolgo il rilievo come una forma di correzione fraterna, e chiedo scusa. Capisco che non è molto carino far uso di certe espressioni, e capisco pure che esse potrebbero facilmente essere ritorte contro di noi. Chiedo solo che mi si conceda un'attenuante: il genere letterario. Ogni testo va letto tenendo conto del suo genere letterario. Questo è un blog, non è una rivista scientifica. Un blog con un titolo che è tutto un programma; un blog che di proposito vuole essere polemico, e nella polemica è ovvio che talvolta può scappare anche qualche espressione forte.

A questo proposito, vorrei fare una piccola riflessione. OK, il Vangelo è chiaro riguardo al massimo rispetto dovuto ai fratelli: "Chi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna" (Mt 5:22). Ma non vi sembra che nella Chiesa attuale siamo andati troppo in là nell'applicazione di questo principio? Non vi sembra che la Chiesa d'oggi abbia perso qualsiasi virilità; che essa sia diventata un po' smidollata, sempre pronta a subire qualsiasi ingiuria e incapace di reagire? È, questo, segno di mitezza evangelica ("Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anche se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra", Mt 5:39) o non piuttosto di umanissima viltà ("Chi mi rinnegherà davanti agli uomini, anch'io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli" (Mt 10:33)? In fondo, Gesú, quando era necessario, non andava molto per il sottile: "Guai a voi, scribi e farisei ipocriti... guide cieche... sepolcri imbiancati" (Mt 23:13-32). Ecco, penso che dovremmo recuperare un po' di fierezza di essere cristiani e cattolici ed essere pronti a rintuzzare le provocazioni sempre piú numerose che ci vengono rivolte. Gli altri possono permettersi qualsiasi cosa contro di noi; noi invece dobbiamo pesare le parole. D'accordo, non possiamo metterci sullo stesso piano, perché cosí facendo negheremmo il Vangelo che professiamo; ma il Vangelo non ha mai prescritto la pusillanimità.

giovedì 26 febbraio 2009

Deliri di un ottuagenario

Non so se abbiate avuto modo di leggere l'intervista rilasciata l'altro giorno da Hans Küng a Le Monde (e diligentemente divulgata in Italia da La Stampa). Nonostante l'avanzare degli anni, il "piú grande teologo contestatore cattolico vivente" non demorde e continua a pontificare ex cathedra. La cattedra, come al solito, sono i grandi mezzi di comunicazione, sempre pronti a fare da grancassa al suo infallibile magistero.

Dall'intervista traspare chiaramente la stizza del teologo tedesco per non essere lui il Papa, ma il suo coetaneo-concorrente Ratzinger. Dopotutto, era lui l'esperto invitato al Concilio da Giovanni XXIII; Ratzinger era un semplice teologo privato dell'Arcivescono di Colonia! Un altro motivo di astio è dato dal fatto che ai lefebvriani è stata rimessa la scomunica; lui invece non è stato ancora "riabilitato".

Secondo il profeta del progressismo cattolico, la revoca della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani "non è stata un difetto di comunicazione o di tattica, ma ha costituito un errore di governo del Vaticano". Il vero problema non è il negazionismo di Mons. Williamson, "il problema fondamentale è l'opposizione al Vaticano II, e in particolare il rifiuto di un rapporto nuovo con l'ebraismo". Sembra di leggere il comunicato della Conferenza episcopale tedesca (vedi il mio primo post del 30 gennaio: che Küng sia il consulente teologico della CET?) Ancora una volta, il valore assoluto è il Vaticano II, ma un Vaticano II completamente ideologizzato: un sostenitore del Concilio dovrebbe essere ecumenico, dovrebbe avere a cuore il problema dell'unità della Chiesa. Ma, a quanto pare, anche l'ecumenismo di Küng è solo un'ideologia. E poi — che volete? — ormai anche l'ecumenismo non è piú di moda; la cosa piú importante del Concilio è il "rapporto nuovo con l'ebraismo". Viene il sospetto che abbiano ragione quanti sostengono che il Vaticano II sia stato voluto dalla massoneria e dagli ebrei.

Papa Ratzinger è un povero idiota, che vive fuori del mondo: "Ha viaggiato poco. È rimasto chiuso in Vaticano, che è come il Cremlino di una volta"; per cui "non è stato in grado di misurare l'impatto di una tale decisione nel mondo". Di quale mondo sta parlando? Del mondo virtuale dei mezzi di comunicazione (controllati sappiamo bene da chi), nel quale lui si trova tanto a suo agio? In Vaticano "non c'è nessun elemento democratico, nessuna correzione. Il papa è stato eletto dai conservatori, e oggi è lui che nomina conservatori". Che il Vaticano fosse un luogo insidioso per la salvezza dell'anima lo sapevamo da tempo (e per questo, pur essendo nati e cresciuti all'ombra del cupolone, preferiamo starne a distanza), ma mi chiedo: che democrazia c'è nel mondo di Küng, dove tutto è controllato da poteri oscuri che usano la democrazia unicamente per coprire le loro malefatte?

Benedetto XVI "è fedele al Concilio alla sua maniera. Insiste sempre, come Giovanni Paolo II, sulla continuità con la tradizione". E chiamala la "sua maniera"! Non dovrebbe essere la maniera cattolica di interpretare non solo un concilio, ma qualunque atto ecclesiale? Ma, a quanto pare, il Concilio di Küng non è quello contenuto nei documenti ufficiali, bensí quello contenuto nella sua mente (e probabilmente di molti altri che parteciparono al Concilio). Secondo lui "il Vaticano II ha provocato una rottura, per esempio, sul riconoscimento della libertà religiosa". Non si accorge di dar ragione cosí ai lefebvriani? "Benedetto XVI ha una posizione ambigua sui testi del Concilio, poiché non è mai stato a suo agio con la modernità e la riforma". Ma che dice? Se c'è un appunto che si può fare all'attuale Pontefice da parte tradizionalista è proprio la sua insistenza sulla libertà religiosa (ha letto Küng il discorso alla Curia Romana del 22 dicembre 2005?) e sulla modernità (nel suo dialogo con l'Islam, sembra talvolta che gli stiano piú a cuore i valori dell'illuminismo che non quelli del Vangelo). Quanto poi alla "riforma", che significa? Papa Ratzinger sta cercando di fare una "riforma della riforma": perché la prima riforma (quella del Concilio) era legittima e questa (quella di Benedetto XVI) non lo dovrebbe essere? Chi giudica sulla bontà delle riforme?

Peccato mortale: il Papa, in occasione del 50° anniversario del Concilio, non ha "fatto l'elogio del suo predecessore" [= Giovanni XXIII], ma ha "scelto di revocare la scomunica di persone in opposizione a quel Concilio". Meraviglia che tali "progressisti" siano cosí rivolti a commemorare il passato. Abbiamo appena terminato la commemorazione dei 40 anni dalla chiusura del Concilio; ora dobbiamo ricominciare da capo? Prima il 50° dell'elezione di Papa Roncalli (ed è stato fatto); ora il 50° dell'annuncio del Concilio; poi ci sarà da celebrare il 50° dell'inizio del Concilio; e poi, di nuovo, il 50° della fine del Concilio. Basta! Non se ne può piú.

Papa Ratzinger difende l'idea del "piccolo gregge" (che, essendo espressione evangelica, non significa "chiesa di élite"). Lo sapevamo, lo ha sempre pubblicamente dichiarato. Ma a me risulta che questa idea non era l'idea degli "integralisti" (che hanno sempre difeso una chiesa di potere), ma esattamente il contrario, l'idea dei "progressisti" (che dicevano di rifarsi al Vangelo). "È un'illusione pensare che si possa continuare cosí, senza preti, senza vocazioni". Oibò, che succede? È la prima volta che sento un nume conciliare lamentarsi della crisi delle vocazioni! Significa proprio che il povero Hans sta invecchiando. Ma come? Dopo aver fatto di tutto per declericalizzare la Chiesa e promuovere il laicato, ora si lamenta che non ci sono piú preti? E perché mai un giovane dovrebbe farsi prete, dopo tutto quel che è stato fatto per spogliarlo della sua importanza?

Ma il bello deve ancora venire. "La Chiesa rischia di diventare una setta". Ma non si accorge che, proprio grazie a gente come lui, la Chiesa è già diventata una setta? Quando si afferma che le religioni si equivalgono, costituendo ciascuna una via di salvezza, non si nega la cattolicità della Chiesa e non se ne fa in tal modo una setta? La Chiesa postconciliare, fatta di qualche (vecchio) prete e di tanti "operatori pastorali" (ministri straordinari dell'Eucaristia, lettori, catechisti, presidenti di consigli pastorali e comitati vari), rinchiusa nelle sagrestie senza alcun contatto col mondo esterno, non è forse una setta?

Che cosa dovrebbe fare Benedetto XVI? "Innanzitutto occorrerebbe che riconoscesse che la Chiesa cattolica sta attraversando una crisi profonda". Come se non lo avesse già fatto. Ci si potrebbe chiedere semmai: di chi è la colpa di questa crisi? Ma sentite quanto segue, perché, alla fine dell'intervista, viene fuori ciò che stava e continua a stare a cuore a certi teologi conciliari: l'ammissione dei divorziati alla comunione, la correzione dell'Humanæ vitæ (per dire che "in certi casi la pillola è possibile"), l'abolizione del celibato dei preti, un nuovo modo di elezione dei vescovi. Chissà come mai s'è scordato del sacerdozio alle donne! Ecco le grandi preoccupazioni degli esperti conciliari; ecco i veri motivi per cui è stato fatto il Vaticano II! E noi che pensavamo che la Chiesa avesse bisogno di un rinnovamento spirituale!

Visto che Küng & C. non sono riusciti a raggiungere i loro obiettivi col Vaticano II, continuano a sperare nel Vaticano III. Ma non ri rendono conto (loro che vivono nel loro mondo virtuale) che, se davvero si facesse un nuovo concilio oggi, probabilmente avrebbero delle brutte sorprese...

mercoledì 25 febbraio 2009

Brutti presentimenti

Quanti seguono questo blog sanno che sono stato sempre personalmente contrario al viaggio del Papa in Terra Santa in questo momento, specialmente dopo il massacro di Gaza. Il motivo è semplice: come può il Santo Padre stringere le mani, ancora grondanti di sangue, dei carnefici? Quando il sionismo sarà finito (sono finiti nazismo e comunismo; volete che non finisca prima o poi anche il sionismo?) i nuovi potenti di turno (magari gli stessi di oggi, riciclati) mostreranno a tutti le foto del Papa che stringe la mano di Olmert (o di Netanyahu o della Livni, o chi per loro), per dimostrare che la Chiesa cattolica è stata complice dei crimini del sionismo. Oltre il danno, le beffe. Ma, come ho detto nel post del 16 febbraio, capisco che questo viaggio "s'ha da fare".

Da qualche giorno però mi tormenta uno strano presentimento: che possa succedere qualcosa al Papa. Finora non ne avevo parlato con nessuno, perché pensavo che potesse essere frutto della mia paranoia. Ieri invece ho ricevuto un messaggio da uno dei nuovi lettori, che si troverà in Terra Santa negli stessi giorni in cui ci sarà il Santo Padre. Ebbene, mi confidava la medesima preoccupazione. Ormai conosciamo i metodi usati dal Mossad. Non ci vuole nulla a organizzare un "gesto folle" di un fanatico musulmano, per poter poi promuovere il tanto atteso "scontro di civiltà" fra l'Occidente giudeo-cristiano e l'oscurantismo islamico. Lo stesso clima di odio anticristiano che si sta diffondendo in questi giorni in Terra Santa potrebbe non essere casuale. Certo è il clima piú propizio per qualche "gesto folle".

Spero che si tratti solo di una mia fisima. Ma intanto intensifichiamo le nostre preghiere per il Santo Padre, perché il Signore lo accompagni ("camminerai su aspidi e vipere, schiaccerai leoni e draghi") e lo conservi alla sua Chiesa.

martedì 24 febbraio 2009

Le scuse di Olmert

Dunque il Primo Ministro Olmert ha chiesto scusa per il programma blasfemo trasmesso dalla televisione israeliana la settimana scorsa. In apertura della seduta del Consiglio dei ministri, ha affermato: "Provo rammarico per le espressioni contro la religione cristiana manifestate la settimana scorsa in un programma televisivo. Io non desidero che il governo israeliano intraprenda una critica dei diversi programmi televisivi. Ma penso che se in un altro Paese fossero state dette cose analoghe contro la religione ebraica, di certo la comunità ebraica avrebbe reagito con un grido di allarme". Olmert ha assicurato di non avere alcuna intenzione di limitare il diritto di espressione in Israele: "Eppure è certo giustificato pretendere ragionevolezza e responsabilità, anche un po' di autocontrollo, anche nei programmi satirici".

Buon per lui che abbia riconosciuto che in nessun altro paese ci si sarebbe potuti permettere di offendere la religione ebraica. A parte il fatto che non so fino a che punto a buona parte degli ebrei odierni (completamente secolarizzati come la maggioranza dei cristiani) gliene importi nulla della religione ebraica, il problema è un altro. Nessun (vero) cristiano si sognerebbe mai di mettere alla berlina la religione ebraica, perché sarebbe come oltraggiare sé stessi (lo stesso discorso vale anche per loro: non so se il sedicente comico si sia reso conto che stava schernendo due ebrei, Gesú e Maria). Il problema è che a noi non è permesso non dico deridere, ma neanche semplicemente criticare gli ebrei in genere e le politiche dello Stato di Israele in particolare. Se lo facciamo, siamo immediatamente tacciati di antisemitismo e la nuova Inquisizione avvia i suoi processi mediatici per ottenere ritrattazioni, scuse, professioni di fede.

Olmert dice di non voler limitare il diritto di espressione in Israele (unici limiti da tutti condivisi: ragionevolezza, responsabilità, autocontrollo). Perché allora tale diritto può essere limitato in Occidente? Come mai in gran parte dei paesi occidentali ci sono leggi che proibiscono agli storici (si badi, non sto parlando di comici, ma di studiosi) di approfondire e discutere liberamente la Shoà? Come mai se qualcuno si permette di mettere in discussione le politiche criminali di Israele viene subito accusato di odio razziale? Il fatto è che quando si vive nella menzogna, e tutto il potere si fonda esclusivamente sulla forza (politica, economica, militare), si ha paura della verità e si fa del tutto per imbavagliarla. L'unica libertà che rimane è il dileggio della religione.

lunedì 23 febbraio 2009

Paolo e l'annuncio del "mistero"

La settimana scorsa si è svolto a Roma, in occasione dell'Anno paolino, un convegno internazionale dal titolo "Sulle orme di Paolo". Il convegno era organizzato dalla Famiglia paolino-zaccariana (Chierici regolari di san Paolo, Angeliche di san Paolo e Laici di san Paolo), per l'occasione integrata dal Movimento giovanile zaccariano e dagli istituti di vita consacrata di ascendenza barnabitica (Famiglia dei Discepoli, Figlie della Divina Provvidenza, Suore del Preziosissimo Sangue, Piccole Operaie del Sacro Cuore, Missionarie di Santa Teresina, Discepole del Crocifisso). Complessivamente, circa trecento convegnisti. Oltre alle celebrazioni liturgiche alle Tre Fontane, a San Carlo ai Catinari e a San Paolo fuori le mura, il convegno è consistito in tre relazioni, affidate rispettivamente a Mons. Gianfranco Ravasi e ai barnabiti P. Giovanni Rizzi e P. Filippo Lovison. Mercoledí scorso i convegnisti, a cui si erano aggiunti centinaia di pellegrini giunti appositamente per l'occasione da ogni parte d'Italia, hanno partecipato all'udienza generale. Ma, sappiamo, quel giorno le attenzioni di tutti erano appuntate su Nancy Pelosi...

Purtroppo, non ho avuto la possibilità di partecipare al convegno. Il Padre Generale, però, mi ha chiesto di rendermi presente attraverso una testimonianza scritta, che è stata letta in aula. Mi permetto di riportare la parte finale del mio intervento, perché penso possa essere di interesse generale.

Qualcuno ha chiamato Paolo “fondatore del cristianesimo”: non lo credo; ma certamente egli ha svolto un ruolo essenziale nell’elaborazione della dottrina cristiana. Un ruolo che forse oggi andrebbe riscoperto. Ho l’impressione che ai nostri giorni, a parte i discorsi ufficiali, di fatto si corra il rischio di snaturare il cristianesimo. Anche se ci riempiamo la bocca di “cristocentrismo”, di fatto poi, soprattutto teorizzando e praticando un poco illuminato dialogo interreligioso, rischiamo di mettere da parte la centralità e l’unicità di Cristo a favore di presunte vie di salvezza alternative. In particolare, nei rapporti con l’ebraismo, si sta diffondendo nella Chiesa (non solo fra qualche teologo indisciplinato, ma fra le stesse gerarchie) una inquietante tendenza a metter sullo stesso piano le due alleanze, quasi fossero intercambiabili, quasi che gli ebrei possano avere accesso alla salvezza a prescindere da Cristo, annullando cosí qualsiasi novità della seconda alleanza rispetto alla prima. E non ci si accorge che in tal modo si uccide il cristianesimo. Credo che proprio qui stia l’essenza del messaggio paolino, la rivelazione che il nostro Apostolo ha ricevuto, la grazia che gli è stata concessa. Tra gli innumerevoli testi che si potrebbero citare, mi sembra centrale il terzo capitolo della lettera agli Efesini, dove Paolo parla della sua comprensione del mistero di Cristo. In che cosa consiste tale “mistero”? “Che le genti sono chiamate, in Cristo Gesú, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo, del quale io sono divenuto ministro secondo il dono della grazia di Dio, che mi è stata concessa” (Ef 3:6-7). Penso che in tale testo ci sia “tutto” Paolo. Se vogliamo essere paolini, questo passo deve diventare il nostro manifesto. Il carisma di Paolo (la “grazia di Dio che mi è stata concessa”) consiste nell’essere “ministri del Vangelo”; e il Vangelo consiste nell’annuncio del “mistero”; e il mistero consiste nella vocazione di tutti gli uomini alla medesima salvezza nella medesima Chiesa. L’unicità di Cristo è il cuore del Vangelo; l’universalità della salvezza è un tratto fondamentale del cristianesimo; la cattolicità della Chiesa è una delle sue note costitutive. Se vogliamo essere paolini, non solo di nome, ma di fatto, dobbiamo penetrare e vivere questo mistero.


Benvenuti!

Grazie a Raffaella per la segnalazione di "Senza peli sulla lingua" su Papa Ratzinger blog [2]. Tale segnalazione, pubblicata ieri sera alle 18.32, ha fatto letteralmente "schizzare" gli indici di lettura in Italia e nel mondo.

Colgo l'occasione per rivolgere il mio piú cordiale benvenuto ai nuovi lettori. Spero che abbiano trovato interessanti questi "pensieri in libertà di un Querciolino errante" e che vogliano di tanto in tanto far capolino su questo blog. Non so se sarò sempre all'altezza delle loro aspettative. Cercherò, questo sí, di rimanere sempre fedele al mio proposito iniziale: nel piú profondo attaccamento alla Chiesa, nostra madre, e nel massimo rispetto
di tutti e di ciascuno, non mi farò scrupolo di dire sempre la verità... senza peli sulla lingua.

domenica 22 febbraio 2009

Oremus pro Pontifice nostro Benedicto

Il Santo Padre, all'Angelus di oggi, riferendosi alla festa della Cattedra di san Pietro che ricorre quest'oggi, ha fatto la seguente richiesta: "Cari fratelli e sorelle, questa festa mi offre l'occasione per chiedervi di accompagnarmi con le vostre preghiere, perché possa compiere fedelmente l'alto compito che la Provvidenza divina mi ha affidato quale Successore dell'apostolo Pietro".

Lo facciamo volentieri ripetendo la tradizionale preghiera per il Papa: "Dominus conservet eum, et vivificet eum, et beatum faciat eum in terra, et non tradat eum in animam inimicorum eius". Sembravano parole d'altri tempi; e invece si rivelano piú attuali che mai.

Problemi di comunicazione

Una settimana piena di problemi di comunicazione.

Domenica scorsa ho avuto modo di parlare con uno dei partecipanti all'ultimo Sinodo dei Vescovi. Mi diceva che durante l'assise si erano incontrati con Padre Lombardi, il quale aveva lamentato una certa confusione nella Curia Romana, una confusione nella quale la Sala Stampa spesso non riuscirebbe a districarsi. A quanto pare, arriverebbero ordini dalla Segreteria di Stato, smentiti poi dalla Prefettura della Casa Pontificia (o viceversa), per non parlare dei vari Dicasteri che si contraddicono l'un l'altro.

Lunedí poi lo stesso Padre Lombardi, parlando a Madrid ai delegati per le comunicazioni sociali delle diocesi spagnole, e facendo riferimento alle ultime vicende della remissione della scomunica ai quattro Vescovi lefebvriani, ha dovuto riconoscere che
"ci sono stati errori e problemi di comunicazione" (vedi la notizia riportata la ZENIT).

Mercoledí, al termine dell'udienza
accordata da Benedetto XVI alla Speaker della Camera dei Rappresentanti Nancy Pelosi (cattolica pro choice), sono state diffuse due versioni diametralmente opposte del medesimo evento (se ne veda il resoconto in FOXNews). La Pelosi sosteneva di aver lodato l'azione della Chiesa contro la povertà, la fame e il riscaldamento globale e, in particolare, l'impegno del Papa per la libertà religiosa e il suo prossimo viaggio in Israele. Secondo un comunicato del Vaticano, invece, il Papa avrebbe "approfittato dell'occasione per ricordare il dovere dei politici cattolici di difendere la vita umana" con quel che segue. Qualcuno si è giustamente chiesto: hanno partecipato alla medesima udienza?

Ieri infine leggo sull'ANSA che Padre Lombardi ha dovuto precisare che le dichiarazioni di alcuni officiali della Curia Romana sono a titolo puramente personale e non coinvolgono in alcun modo la Santa Sede. Il riferimento era all'intervento di Mons. Marchetto sulle ronde anti-stupro, ma, a quanto pare, anche a quelli di altri ecclesiastici sul caso Englaro o sul Presedente Obama o sul governo Zapatero.

Non voglio entrare nel merito delle singole questioni. Dico solo che forse c'è bisogno di due cose. Innanzi tutto, una riforma (l'ennesima!) della Curia Romana, in modo che si chiariscano le competenze e le responsabilità di ciascun organo della Sede Apostolica. Secondo, una riflessione approfondita e aperta sul problema della comunicazione e dell'informazione. Ho l'impressione che la Chiesa continui a muoversi, nonostante tutte le dichiarazioni e la buona volontà, come se fosse ancora al tempo dell'ancien régime. I tempi sono cambiati, non solo perché oggi abbiamo a disposizione mezzi che una volta non esistevano, ma soprattutto perché è cambiata la mentalità. Una mentalità che la Chiesa, nonostante il Vaticano II, fa fatica a afferrare.

sabato 21 febbraio 2009

Che tristezza!

C'è qualcosa che non mi torna nella vicenda delle trasmissioni blasfeme della stazione televisiva israeliana Canale 10 (vedi post di ieri). In questo caso c'è stato un immediato comunicato della Sala Stampa della Santa Sede. Ma come mai nessuno continua a parlarne? Sapevamo che il mondo della comunicazione è in mani ebraiche, ma che l'informazione cattolica, pur pronta in altre occasioni a impegnarsi in tante lodevoli battaglie, non dia alcun rilievo alla cosa mi pare alquanto strano. È come se ci fosse stata l'ingiunzione di mettere tutto a tacere. D'accordo, si potrebbe pensare: "Non ti curar di loro, ma guarda e passa". Ma in tal caso non è in gioco la dignità di qualcuno di noi, fosse pure il Papa; qui non è in gioco, come afferma il comunicato suddetto, "il sentimento religioso dei credenti in Cristo"; qui è in gioco qualcosa di molto piú importante: il rispetto per la divina Persona di Cristo e per l'immacolata Vergine Maria.

Quando, un mese fa, il Vescovo Williamson si è permesso di avanzare qualche dubbio sull'Olocausto, abbiamo assistito a una campagna mediatica di cui ancora sentiamo gli strascichi. Quando, qualche anno fa, furono pubblicate delle vignette satiriche su Maometto, oltre la campagna mediatica orchestrata dai soliti noti, le piazze di tutto il mondo musulmano si riempirono per protestare contro l'Occidente blasfemo. E ora? Tutto finisce in un comunicato stampa di otto righe? Sí, certo, almeno in questo caso la Santa Sede ha fatto la sua parte. E il mondo cattolico, dove sta? Non pretendo che si riempiano le piazze dell'Occidente secolarizzato, capaci ormai solo di riempirsi per un concerto rock; ma mi aspetterei che almeno le chiese si riempissero di fedeli in preghiera di riparazione per gli insulti rivolti al loro Signore e alla sua santissima Madre. Ma a quanto pare non c'è piú neppure la capacità di indignarsi. Peggio, non gliene importa niente a nessuno. Se questi sono i risultati del rinnovamento conciliare, ci saremmo pure potuti risparmiare la fatica del Vaticano II.

venerdì 20 febbraio 2009

I sogni e la realtà

Due notizie provenienti dalla Terra Santa, pubblicate ieri su ZENIT. La prima riguarda l'ennesimo inconcludente incontro della Commissione bilaterale permanente per l'attuazione dall'Accordo fondamentale firmato nel 1993 dalla Santa Sede e dallo Stato di Israele. Quell'Accordo, che portò al riconoscimento diplomatico di Israele da parte della Santa Sede, non è stato ancora ratificato dal Parlamento israeliano. Gli attuali negoziati, iniziati nel 1999, dovrebbero portare a un accordo per lo status giuridico e fiscale della Chiesa cattolica; ma dopo dieci anni (sedici dalla firma dell'Accordo fondamentale), ancora nulla di fatto. Tutte le riunioni (per la verità stranamente brevi: si veda la stessa notizia riportata da Asianews) si concludono con le consuete frasi di rito: "L'incontro è stato caratterizzato da grande cordialità e spirito di collaborazione"; ma senza alcun risultato. Ora, siccome la prossima riunione è stata programmata per il 7 aprile prossimo (un mese prima della visita del Papa in Terra Santa), tutti sperano che in quell'occasione si potrà ottenere qualcosa, almeno come gesto di buona volontà da mostrare al Pontefice. Sperano, ma si illudono.

La prova della malafede israeliana in questa trattativa e, in generale, nei rapporti con la Chiesa cattolica, la troviamo nella seconda notizia riportata da ZENIT. Se volete saperne di piú, leggetevi la notizia sul sito della Custodia di Terra Santa, il comunicato stampa dell'Assemblea dei Vescovi Cattolici della Terra Santa sul sito del Patriarcato Latino di Gerusalemme e, se ne avete il coraggio, guardate, sullo stesso sito, il video della trasmissione (vi avverto che è pesantemente blasfemo).

Direte: cosa c'entrano i dirigenti israeliani con una trasmissione televisiva? Mi spiace, ma lo spirito della società israeliana è lo stesso in tutti i suoi settori, con poche — encomiabili — eccezioni. E poi, visto che loro accusano la Chiesa cattolica dei crimini compiuti dal nazismo; se loro addebitano al Papa le dichiarazioni di un Vescovo che non è in comunione con la Chiesa cattolica; se loro pretendono dai cristiani di oggi le scuse per le persecuzioni che sarebbero state attuate ai loro danni da quelli dei secoli passati; perché noi dovremmo sottilizzare e distinguere tra governo israeliano e televisione israeliana? Se le colpe di alcuni sono colpe di tutti ("personalità corporativa"), è giusto che il governo israeliano sia chiamato a rispondere delle bestemmie della televisione israeliana.

A proposito, che fa Padre Lombardi? Non ha niente da dire sulla vicenda?

giovedì 19 febbraio 2009

Ancora sul Concilio

Sandro Magister ha pubblicato sul sito www.chiesa un Breve dialogo sul Concilio, tra un maestro e un allievo del magistrato Francesco Arzillo. Mi ci ritrovo pienamente. Chi segue questo blog dal suo inizio sa che esso è stato avviato con una riflessione sul Vaticano II. Leggendo quel dialogo mi sono in qualche modo identificato con l'allievo, che accetta il Concilio, ma ne rifiuta l'assolutizzazione, la mitizzazione, l'ideologizzazione. Ciò che è avvenuto nel post-concilio.

Il dialogo mette in luce un altro elemento, psicologico piú che teologico, finora forse non troppo evidenziato. Il maestro è un sessantenne, uno che ha vissuto il Concilio da giovane, mentre era in seminario. L'allievo è piú giovane (non ne conosciamo l'età); il Concilio non lo ha vissuto, ma è per lui un fatto storico avvenuto prima di lui; lo dà per scontato, ma si permette anche di metterne in luce i limiti (cosa che suona eresia agli orecchi del maestro).

Credo che tale elemento generazionale giochi un ruolo non secondario nella diatriba sul Vaticano II. Personalmente, mi situo a metà strada tra il maestro e l'allievo: sono un cinquantenne; il Concilio l'ho vissuto quando ero ancora bambino, per cui non ho fatto in tempo ad appassionarmici come avrebbe potuto fare un seminarista dell'epoca. Però è evidente che ne ho respirato l'aria; per cui esso fa parte di me; ma mi rifiuto di considerarlo una "svolta epocale". Capisco però quelli che hanno qualche anno piú di me (piú che i sessantenni, i settantenni), per i quali il Concilio è stato l'evento a lungo atteso, il compimento dei loro sogni, che ora vedono messo in discussione: Come? abbiamo fatto tanto per cambiare la Chiesa e ora arrivano questi sbarbatelli, che non sanno nulla di come era la Chiesa prima del Concilio, e pretendono di riportare la Chiesa indietro nella storia! Li capisco, è umano.

Quel che non capisco è come mai non si rendano conto, contrariamente a tutte le teorie da loro sempre professate, che il mondo si evolve e la Chiesa con esso. Loro si sono fossilizzati agli anni Sessanta, e non si accorgono che sta terminando la prima decade del XXI secolo. Almeno ci sono alcuni che si adeguano al cambiamento. Solo per citare un esempio, il piú illustre: il giovane Joseph Ratzinger, considerato uno dei piú avanzati artefici del Concilio, che oggi passa per uno dei piú reazionari papi della storia. Probabilmente non era allora cosí progressista e non è ora cosí conservatore; ma è certo che c'è stata un'evoluzione nel suo pensiero. L'evoluzione (non parlo dell'evoluzione in senso darwiniano) fa parte della natura: è solo evolvendosi che si può rimenere fedeli a sé stessi.

mercoledì 18 febbraio 2009

Auspici

Mons. Antonio Franco, Delegato apostolico in Palestina e Nunzio in Israele, ha rilasciato un'intervista all'Agenzia SIR riguardo all'annunciata visita del Papa in Terra Santa. Conosco Mons. Franco da quando era Nunzio nelle Filippine e ne ho sempre stimato le doti diplomatiche: un diplomatico all'antica, di quelli pratici e spicci, che dicono e non dicono, ma che sanno alzare la voce quando risulta necessario. Anche in quest'ultima intervista non smentisce le sue capacità (non so se notate come dica poco niente sul programma del viaggio, non ancora del tutto definito). Dall'intervista traspare il realismo di chi conosce a fondo la situazione e cerca di adattarvisi, ma alla stesso tempo non si lascia sfuggire l'occasione per mettere i puntini sugli i riguardo alla dimensione giuridico-istituzionale della regione ("Giordania e Terra Santa, dunque Israele e Territori palestinesi").

Molto interessante la sua risposta alla domanda su una eventuale tappa del Pontefice a Gaza: "Non sappiamo ancora se il Papa potrà recarsi o avvicinarsi a Gaza. Non era e non è nel programma, poiché ci sono tante considerazioni, anche di tempo, che vanno tenute presenti. Certamente ci sarà, auspichiamo, una presenza della piccola comunità di Gaza alla messa". La tipica risposta di un diplomatico. Non so se avete notato la contraddizione: "Certamente ci sarà, auspichiamo...". Se è certo, non c'è bisogno di auspicare; se si auspica, significa che non è certo. Probabilmente Mons. Franco conosce molto bene gli israeliani: sa che il Papa non potrà in alcun modo andare a Gaza e spera che almeno una delegazione dei cattolici di Gaza possa partecipare alla Messa del Papa a Gerusalemme. Lui spera; ma io so già che questo non avverrà.

martedì 17 febbraio 2009

Theologically correct (2)

Il Concilio di Trento aveva affermato senza esitazione: "Se uno dice che nella Messa non si offre a Dio un vero e proprio sacrificio ... sia scomunicato"; "Se uno dice che il sacrificio della Messa è ... una semplice commemorazione del sacrificio della croce e non un sacrificio propiziatorio ... sia scomunicato" (Denzinger-Schönmetzer, 1751 & 1753).

Negli ultimi anni si è diffusa nella Chiesa una nuova moda: quella di chiamare la Messa il "memoriale del sacrificio di Cristo". Il Concilio Vaticano II aveva detto: "Il nostro Salvatore nell'ultima cena, la notte in cui veniva tradito, istituí il sacrificio eucaristico del suo corpo e del suo sangue, col quale perpetuare nei secoli, fino al suo ritorno, il sacrificio della croce, e per affidare cosí alla diletta Sposa, la Chiesa, il memoriale della sua morte e risurrezione: sacramento di pietà, segno di unità, vincolo di carità, convito pasquale..." (Sacrosanctum Concilium, n. 47). Una formulazione pressoché perfetta: c'è tutta la teologia dell'Eucaristia. Non so se avete notato: qui si parla prima di "sacrificio eucaristico" senza attenuazioni, e
poi si parla anche di memoriale, ma di "memoriale della morte e risurrezione", che è cosa ben diversa dal dire che l'Eucaristia è "memoriale del sacrificio di Cristo". Il Vaticano II afferma che il sacrificio eucaristico perpetua nei secoli il sacrificio della croce, affermazione teologicamente ineccepibile, che in nessun modo attenua la natura sacrificale della Messa, cosa che invece avviene dicendo che essa è il "memoriale del sacrificio di Cristo". Al massimo, si potrebbe dire (ma personalmente preferirei evitarlo per non creare confusione) che l'Eucaristia è "memoriale del sacrificio della croce", ma non si può dire che essa è "memoriale del sacrifico di Cristo", semplicemente perché essa è il "sacrificio di Cristo".

L'espressione "memoriale del sacrificio di Cristo" la si trova nel Messale italiano: si veda la preghiera sulle offerte della Messa in Cœna Domini del giovedí santo (identica a quella della seconda Messa votiva dell'Eucaristia) e nel titolo del primo prefazio dell'Eucaristia. Per molto tempo la cosa non mi aveva preoccupato piú di tanto, perché consideravo tale frase espressione di una certa teologia "italiana" (l'espressione è assente nel Messale latino). Cominciai invece ad allarmarmi quando, nel 1993, fu pubblicato il Catechismo della Chiesa Cattolica. Nell'edizione italiana troviamo l'espressione nei §§ 1357, 1358, 1382 e nel titolo della sezione che va dal § 1362 al § 1372. Mi decisi allora a scrivere al Card. Ratzinger, all'epoca Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Non ho mai ricevuto risposta; ma ho notato con piacere che nell'edizione latina ("tipica") del Catechismo (pubblicata nel 1997) è stata usata, eccetto che in un caso (al § 1357), un'espressione molto piú accettabile: "memoriale sacrificale". Non so e non mi importa se gli estensori del testo latino abbiano tenuto conto delle mie osservazioni; quel che conta è che si sia fatto uso di un'espressione, in questo caso sí, teologicamente corretta. Purtroppo l'edizione italiana del Catechismo continua a definire l'Eucaristia "memoriale del sacrificio di Cristo". Quella inglese traduce letteralmente con "sacrificial memorial". Il Messale inglese, invece, usa un'espressione che, a mio parere, è ancora migliore di quella usata nell'edizione tipica del Catechismo: "memorial sacrifice".

lunedì 16 febbraio 2009

Una decisione coraggiosa?

Pare proprio che Padre Lombardi abbia perso un'altra buona occasione per tacere. Come — direte voi — il portavoce della Santa Sede dovrebbe tacere? Sí, in certi casi farebbe molto meglio a tacere. Da un portavoce ci si attende delle notizie; certi commenti farebbe meglio a tenerli per sé. Il fatto è che Padre Lombardi, oltre a essere direttore della Sala Stampa Vaticana, è anche direttore della Radio Vaticana e del Centro Televisivo Vaticano; e, in tale veste, ha una rubrica settimanale — Octava Dies — ripresa da numerose stazioni televisive cattoliche, nella quale commenta le notizie di maggior rilievo. In tal modo, smette i panni del portavoce per assumere quelli dell'editorialista, con tutte le conseguenze che questo comporta.

Nel nostro caso la notizia c'era già: era da mesi che si parlava di un possibile viaggio del Papa in Terra Santa. Mancava solo la conferma ufficiale. Questa era venuta dal Santo Padre in persona giovedí scorso durante l'udienza riservata a una delegazione della Conference of Presidents of Major American Jewish Organizations. Poteva bastare cosí, anzi era fin troppo. Chi segue questo blog sa che chi scrive aveva nutrito la speranza, durante la strage di Gaza, che la Santa Sede annunciasse l'accantonamento di qualsiasi ipotesi di viaggio. Ma sappiamo come va il mondo: sappiamo benissimo che questa visita "s'ha da fare"; sappiamo benissimo che il Papa, se vuol essere lasciato un po' in pace (fino a quando? quale sarà la prossima provocazione? e quale prezzo gli verrà chiesto allora di pagare?), deve sottomettersi a questa ennesima umiliazione. Lo sappiamo e, sebbene con rammarico, siamo disposti pure a tollerarlo. Ma bastava fermarsi qui. Bastavano le parole molto misurate pronunciate da Benedetto XVI giovedí scorso: "Anche io mi sto preparando a visitare Israele, una terra che è santa per i cristiani e per gli ebrei, poiché le radici della nostra fede si trovano lí".

E invece, che cosa ha da aggiungere Padre Lombardi? "È una bella notizia. Andare a Gerusalemme è il desiderio di tutti gli israeliti e di tutti i cristiani. Gli antichi israeliti salivano verso di essa cantando, Gesú vi si dirige decisamente per compiervi fino in fondo la volontà del Padre. È andare pellegrini ai luoghi piú santi, luoghi degli incontri fra Dio e gli uomini che hanno segnato la storia della nostra salvezza. Anche il Papa porta in sé questo desiderio. Benché in precedenza vi sia già stato, sente l'importanza di recarvisi di nuovo come capo di una comunità di credenti, che possano pellegrinare in unione spirituale con lui e per mezzo di lui ai luoghi delle radici della loro fede. Non a caso Paolo VI iniziò proprio dalla Terra Santa la serie dei viaggi internazionali dei papi e Giovanni Paolo II ne seguí i passi ponendo segni indimenticabili di riconciliazione e di speranza di pace. Ora è la volta di Benedetto. La sua è una decisione coraggiosa. Vi sono le incertezze della situazione politica, le numerose divisioni interne ai vari campi. Vi sono le tensioni continue di una regione percorsa da conflitti e recentissimamente segnata da una guerra che ha devastato la striscia di Gaza e ferito profondamente il suo popolo. Il processo di pace stenta a fare passi risolutivi. Ombre o diffidenze tornano in modo ricorrente ad oscurare il dialogo ben avviato fra il mondo ebraico e la Chiesa cattolica. Ma bisogna andare lo stesso. Anzi, forse proprio per tutti questi motivi è urgente andarvi. Per pregare nei punti piú cruciali del confronto fra l'odio e l'amore: là dove la riconciliazione sembra umanamente impossibile. Per ricordare che il nome e la vocazione di Gerusalemme è di essere 'città della pace', di incontro dei popoli nel nome di un Dio di salvezza, di pace e di amore per tutti".

Rimango sconcertato da simili dichiarazioni. "Una bella notizia"? Di che cosa c'è da rallegrasi? Per me c'è solo da piangere. "Una decisione coraggiosa"? Dopo quanto accaduto a Gaza, sarebbe stato molto piú coraggioso rinviare il viaggio a tempo indeterminato. Mi piace poi la delicatezza del linguaggio: "Vi sono le incertezze della situazione politica". A che cosa si sta riferendo: ai risultati delle elezioni politiche in Israele o alla pulizia etnica nei confronti del popolo palestinese? In certe situazioni, un po' piú di chiarezza non guasterebbe. Sentite con quale garbo si riferisce al popolo palestinese: "Vi sono le tensioni continue di una regione percorsa da conflitti e recentissimamente segnata da una guerra che ha devastato la striscia di Gaza e ferito profondamente il suo popolo". Capito? Il popolo palestinese è rimasto "ferito". Non mi risulta che si usi lo stesso riguardo quando si parla dell'Olocausto. "Il processo di pace stenta a fare passi risolutivi". A causa di chi? Certo, a causa di quei terroristi estremisti di Hamas. No comment poi sul "dialogo ben avviato fra il mondo ebraico e la Chiesa cattolica".

Staremo a vedere come si svolgerà la visita. Conosciamo già le tappe d'obbligo: Muro del Pianto e Yad Vashem (il pedaggio da pagare, insieme con la visita ad Auschwitz, se si vuole esercitare un qualsiasi genere di potere nel mondo d'oggi). Si parla della visita a una moschea, per par condicio naturalmente (certo non a Gerusalemme, "capitale eterna di Israele", ma quasi sicuramente in Giordania). Avrà il Papa tempo per visitare la Basilica della Natività e quella del Santo Sepolcro? Lo speriamo vivamente. L'unico dubbio che ci rimane: ci sarà anche una visita a Gaza? Ma come potrebbe il Papa stringere le mani dei terroristi? Non chiediamo tanto: ci basterebbe che stringesse la mani di Padre Musallam, il parroco di Gaza.

domenica 15 febbraio 2009

"Quel tanto di corpo che basta per tenersi unita l'anima"

Nei giorni scorsi è ricorso l’80° anniversario della costituzione dello Stato della Città del Vaticano (11 febbraio 1929). Al termine del concerto con cui è stata commemorata la ricorrenza giovedí scorso nell’Aula Paolo VI, il Santo Padre, per giustificare l’esistenza di questo piccolo lembo di terra, ha voluto riprendere la citazione di san Francesco d’Assisi, a cui era già ricorso il suo predecessore Pio XI: “quel tanto di corpo che basta per tenersi unita l’anima”. Un’immagine molto bella, che spiega alla perfezione perché la Chiesa abbia ancora bisogno di un po’ di “potere temporale” per esercitare una missione che invece è tutta spirituale.

Coloro che studiano la storia senza i paraocchi dell’ideologia sanno che è lo stesso motivo che ha portato alla nascita dello Stato della Chiesa. Non era sete di potere (sebbene questa possa essere presente, e di fatto lo è, anche fra gli uomini di Chiesa, come in ogni altro settore della società); ma solo il bisogno di garantire alla Chiesa piena libertà nell’esercizio della sua missione. Si dirà: ma i Vescovi esercitano la loro missione pastorale senza bisogno di avere un potere temporale (come pure nel passato spesso avvenne: si pensi ai Vescovi-principi o ai Vescovi-conti). Sí, ma come è finita la libertas Ecclesiæ in Oriente (si pensi al Patriarca di Costantinopoli o a quello di Mosca) o nelle chiese protestanti (tutte chiese nazionali, dipendenti in un modo o nell’altro dallo Stato)? Se i Vescovi cattolici oggi possono esercitare liberamente il ministero, lo debbono anche all’esistenza di questo piccolo Stato (si veda la condizione dei Vescovi cinesi forzatamente separati dalla Sede Apostolica). L’esistenza della Città del Vaticano conferma l’utilità (per quanto strumentale) di un certo potere temporale associato all’autorità spirituale.

Sento già le obiezioni dei cattolici adulti postconciliari: “Ma vuoi mettere quanto è piú libera la Chiesa oggi che non ha piú lo Stato Pontificio?”. Concedo: non era piú opportuno che la Chiesa continuasse a esercitare un vasto potere temporale (per quanto quello della Città del Vaticano è un potere temporale a tutti gli effetti). Certe volte mi chiedo: ma se il Papa avesse avuto ancora lo Stato Pontificio da governare, da Roma a Bologna, come avrebbe affrontato le tante sfide odierne: droga, divorzio, controllo delle nascite, aborto, eutanasia? Molto meglio non aver da affrontare simili problemi in casa propria. Eppure mi vien da pensare che problemi morali gravi sono sempre esistiti; e i Papi in qualche modo li fronteggiavano. Un esempio: la prostituzione (il mestiere piú antico del mondo!). Non esisteva forse la prostituzione nello Stato Pontificio? E come veniva affrontata? Come qualsiasi altro governo di questo mondo potrebbe fare: con le case chiuse e le tasse (ciò che spinse, secondo Ignazio Silone, Celestino V all’abdicazione). Immagino lo scandalo di qualche “anima bella”; ma penso che non fosse del tutto negativo per i Papi dover affrontare e risolvere certi problemi (con soluzioni che erano e saranno sempre discutibili). Il vantaggio è che tali problemi costringevano i Papi a rimanere a contatto con la dura realtà. Cosa che non so se sempre avvenga nella Chiesa d’oggi. È un fatto che, da quando non esiste piú lo Stato Pontificio, la Chiesa si è estremamente intellettualizzata: dal Concilio a oggi le Edizioni Dehoniane di Bologna hanno pubblicato ben 23 volumi di Enchiridion Vaticanum. Probabilmente in questi ultimi decenni sono stati emanati piú documenti che nel resto della storia della Chiesa. “Il Verbo si è fatto carta”, ha detto provocatoriamente qualcuno. La stessa dottrina sociale della Chiesa, di cui pure sono un convinto assertore, quando è nata? Con Leone XIII, dopo la fine del potere temporale della Chiesa. Prima i problemi sociali venivano affrontati pragmaticamente; poi è stata elaborata una dottrina. Uno dei rischi della Chiesa d’oggi è l’astrazione; se poi le astrazioni vengono assolutizzate, si trasformano in ideologia. Il doverci sporcare le mani nel trattare i problemi della vita di ogni giorno, se da una parte ci espone a vari cedimenti, dall’altra ci impedisce di cadere in un pericolo ben maggiore, quello dell’ideologizzazione del cristianesimo.

Giovedí il Santo Padre ha terminato il suo intervento con un invito alla preghiera: “Domandiamo al Signore, che guida saldamente le sorti della ‘Barca di Pietro’ tra le vicende non sempre tranquille della storia, di continuare a vegliare su questo piccolo Stato. Chiediamogli soprattutto di assistere con la potenza del suo Spirito Colui che sta al timone della Barca, il Successore di Pietro, perché possa svolgere con fedeltà ed efficacemente il suo ministero a fondamento dell’unità della Chiesa Cattolica, che ha in Vaticano il suo centro visibile e si espande sino ai confini del mondo”. Nell’omelia della Messa di insediamento (24 aprile 2005) aveva detto: “Cari amici, in questo momento io posso dire soltanto: pregate per me, perché io impari sempre piú ad amare il Signore. Pregate per me, perché io impari ad amare sempre piú il suo gregge, voi, la Santa Chiesa, ciascuno di voi singolarmente e voi tutti insieme. Pregate per me, perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi”. Credo che non siano inviti di circostanza: il Papa ha effettivamente bisogno delle nostre preghiere; e noi dobbiamo volentieri rispondere a questi inviti, se vogliamo che egli svolga con fedeltà e coraggio la sua missione.

venerdì 13 febbraio 2009

Ancora su Eluana

Non posso che convenire con Antonio Socci su quanto da lui affermato nell'articolo pubblicato su Libero del 10 febbraio (potete leggerlo sul suo sito). Quando, molti anni fa (eravamo nel 1977), mio padre era in coma (il suo coma durò solo pochi giorni), ebbi la medesima impressione. Ricordo ancora come fosse ieri quel giovedí pomeriggio 24 marzo: ero in ospedale (il Fatebenefratelli all'Isola Tiberina) ad assistere il babbo, quando arrivò un suo collega a trovarlo. Incominciò a raccontare un sacco di brutte storie di prepotenze, soprusi e umiliazioni subite da papà sul lavoro (lui naturalmente non ci aveva mai detto nulla). Avrei voluto farlo tacere, ma non ne ebbi il coraggio. Avevo l'impressione che il babbo seguisse quei discorsi; mi sembrava piú agitato, il suo respiro piú affannoso. L'indomani mattina, alle 6, spirò. Sono sicuro che anche Eluana abbia capito tutto. E per questo è morta cosí repentinamente (avevano detto che sarebbe durata alcune settimane).
Intanto mi ha fatto piacere leggere che un missionario italiano in Paraguay, Don Aldo Trento, responsabile di una clinica per malati terminali ad Asunción, ha restituito all'Ambasciata italiana l'onorificenza di "Cavaliere dell’Ordine della Stella della solidarietà" che il Presidente Napolitano gli aveva conferito lo scorso 2 giugno. Potete trovare la notizia su ZENIT.
Mentre leggo con raccapriccio della cena (se ne veda il resoconto su Avvenire) offerta dall'Avv. Campeis ai giornalisti per ringraziarli della vicinanza e della collaborazione prestata... Mission accomplished!

Povera Chiesa!

Non passa giorno che in Vaticano non arrivi una delegazione ebraica. Dopo la visita-avvertimento del World Jewish Congress di lunedí scorso al Card. Kasper (vedi post precedente), ieri è stata la volta della Conference of Presidents of Major American Jewish Organizations, ricevuti dal Papa in persona. Potete trovare su ZENIT il testo del saluto del Rabbino Arthur Schneider e del Presidente della Conferenza Alan Solow e quello del discorso del Santo Padre.
Che dire? Preferirei dire: No comment! Ma non posso, visto che uno dei motivi principali della nascita di questo blog è stato il silenzio vaticano sul massacro di Gaza. Rimproverare le autorità vaticane per il loro servile atteggiamento? E chi sono io per atteggiarmi a giudice? Nessuno però potrà impormi di seguirle su questa strada. E nessuno potrà impedirmi di provare pietà per una Chiesa cosí umiliata. Non avrei mai pensato che si potesse cadere cosí in basso. Pensavo che i tempi in cui la Chiesa doveva soggiacere all'arroganza dei potenti fosse passato; e invece... Ora, dopo tutte le dichiarazioni e le condanne, le pubbliche professioni di fede nell'Olocausto e le richieste di perdono, ora il Santo Padre dovrà compiere questo ulteriore umiliante atto: la visita in Israele. Già sappiamo che cosa accadrà: lo vedremo al Muro del Pianto a chiedere perdono per le innumerevoli persecuzioni compiute dai cristiani ai danni degli ebrei nel corso dei secoli; lo vedremo allo Yad Vashem a ripetere la sua professione di fede nella Shoah e ad ammonirci che non possiamo dimenticare l'Olocausto (quando dopo appena un mese è stata già dimenticata la carneficina di Gaza). Qualcuno si rallegrerà, pensando qualcosa di simile a ciò che la portavoce israeliana Tzipora Menache ha sfacciatamente ammesso a proposito degli americani: "Voi sapete molto bene, e gli stupidi americani sanno altrettanto bene, che noi controlliamo il loro governo, a prescindere da chi siede alla Casa Bianca. Vedete, io so, e anche voi sapete, che nessun Presidente americano è nella condizione di sfidarci, neppure se facciamo cose impensabili. Noi controlliamo il Congresso, noi controlliamo i media, noi controlliamo il mondo dello spettacolo, noi controlliamo tutto in America. In America si può criticare Dio, ma non si può criticare Israele". Adesso penseranno: noi controlliamo il Papa, noi controlliamo la Santa Sede, noi controlliamo i Vescovi di tutto il mondo. Quando vedranno il Papa abbassarsi ancora una volta (dopo Auschwitz e le innumerevoli sinagoghe visitate) di fronte al Muro del Pianto e allo Yad Vashem, penseranno: "Abbiamo vinto! Ormai anche la Chiesa cattolica è nelle nostre mani". Ma si illudono. Quello sarà l'inizio della loro fine!

giovedì 12 febbraio 2009

Arroganza senza limiti

Leggo su ZENIT una notizia che mi sembra di una gravità inaudita: il World Jewish Congress ha avuto un colloquio lunedí scorso con il Card. Kasper "per discutere la remissione della scomunica a quattro Vescovi della Fraternità San Pio X". Mi chiedo: da quando in qua un atto di esclusiva competenza ecclesiastica deve essere discusso con l'organizzazione mondiale ebraica?
Ma sentite quel che segue: "Ronald Lauder, presidente del World Jewish Congress, ha affermato che finora il Vaticano ha compiuto i primi passi necessari a rispondere alle preoccupazioni della comunità ebraica, ma che questi passi devono essere seguiti da azioni concrete". Quindi non è solo andato a discutere, ma anche a dare istruzioni. Come se non bastasse, ha aggiunto: "Vogliamo che il Vaticano capisca che accogliendo antisemiti come Williamson i successi di quattro decenni di dialogo ebraico-cattolico dalla dichiarazione del 1965 Nostra Ætate verranno messi in discussione ... Ora crediamo che il nostro messaggio sia stato compreso". A casa mia questo modo di esprimersi si chiama "intimidazione". La tracotanza del World Jewish Congress non ha limiti. Fino a quando la Santa Sede continuerà a sopportare simili insolenze?

martedì 10 febbraio 2009

Theologically correct

Voi pensavate che esistesse solo il politically correct; e invece esiste anche il theologically correct! Ne volete un esempio? Una volta eravamo soliti dire: "vecchio" e "nuovo testamento" (tanto per fare una citazione dotta, ricordate Dante? "Avete il novo e 'l vecchio testamento, e 'l pastor della Chiesa che vi guida; questo vi basti a vostro salvamento"). Poi ci fecero notare che "vecchio" era un tantino irriguardoso; e cosí lo sostituimmo con "antico" (per quanto i due aggettivi non mi sembrino del tutto intercambiabili). Poi ci dissero che non andava bene usare la parola "testamento": quegli sprovveduti dei Settanta, che a quanto pare non conoscevano bene né l'ebraico né il greco, quando tradussero la Bibbia dall'ebraico in greco, resero il termine berith (che significa "alleanza") con diatheke (che significa "disposizione", "testamento", "accordo", "patto"); quando poi dal greco si passò al latino, fra i vari significati della parola diatheke, fu scelto, guarda un po', proprio quello sbagliato, "testamento" appunto. E quindi: torniamo al concetto originario di "alleanza" e reinterpretiamo tutto alla luce di questa categoria! Salvo poi dover precisare che, nel caso dell'alleanza fra Dio e l'uomo, si tratta di un'alleanza un po' sui generis, dove l'iniziativa è solo di Dio, i contraenti non sono alla pari, e via discorrendo; oggi diremmo: si tratta di una disposizione "unilaterale" (un "testamento" per l'appunto). Per non parlare poi dell'imbarazzo che si incontra nell'interpretare passaggi-chiave del Nuovo Testamento, dove si gioca sul termine diatheke inteso proprio nel senso di "testamento": si vedano la lettera ai Galati (3:15-18) e quella agli Ebrei (9:16-17).
Ebbene, ora non si può piú parlare neppure di "antica alleanza": adesso bisogna dire "prima alleanza". Si tratta di un'espressione sempre piú comune fra gli addetti ai lavori. Ormai la troviamo anche negli interventi del supremo magistero della Chiesa. La incontriamo nel Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 522) e, tanto per fare un esempio ripreso dall'attualità, la ritroviamo nella dichiarazione del Papa al termine dell'udienza generale del 28 gennaio scorso (ripresa dalla nota della Segreteria di Stato del 4 febbraio successivo): "Rinnovo con affetto l’espressione della mia piena e indiscutibile solidarietà con i nostri Fratelli destinatari della Prima Alleanza" (se ne veda il testo completo nel sito della Santa Sede).
Sia ben chiaro, si tratta di un'espressione ineccepibile sia dal punto di vista storico, che da un punto di vista biblico. Storicamente, essa descrive l'ordine cronologico in cui le due alleanze si sono manifestate: prima, quella con il popolo di Israele attraverso Mosè; poi, quella con l'umanità intera attraverso Gesú Cristo (sebbene si potrebbe discutere che l'alleanza con Mosè sia la prima in senso assoluto: a parte l'alleanza con Abramo, si dimentica che ancor prima ci fu quella con Noè). Biblicamente, l'espressione è ben fondata: la troviamo, cosí com'è, nella lettera agli Ebrei (9:15). Si noti, tra parentesi, che nelle traduzioni moderne la incontriamo piú volte in quel contesto, sebbene nel testo originale non ci sia il termine diatheke. Per esempio, nella nuova traduzione italiana della CEI essa è usata in 8:7, 9:1 (dove addirittura si potrebbe supporre che l'autore della lettera non stesse pensando alla "prima alleanza", ma alla "prima tenda") e 9:18.
Se storicamente e biblicamente "prima alleanza" è un'espressione piú che legittima, direte: dov'è il problema? Il problema c'è, eccome. Capisco che si voglia evitare qualsiasi motivo di contrasto con gli Ebrei; ma non ci si accorge che qualche volta si rischia in tal modo di snaturare la nostra fede? Dicendo che quella con Israele fu la "prima alleanza", si suppone che quella con tutti gli uomini sia semplicemente la "seconda", con tutto ciò che questo (teo)logicamente comporta: si tratterebbe di due alleanze sullo stesso piano, perfettamente intercambiabili (ciascuno scelga quella che piú gli aggrada); gli Ebrei possono salvarsi seguendo la "prima alleanza", senza alcun bisogno di accettare Cristo. Per non dire che qualcuno potrebbe vedere nel "prima", oltre che una priorità cronologica, anche una superiorità ontologica.
Ma la cosa piú preoccupante è che non ci si renda conto che, volendo rimpiazzare "antica alleanza" con "prima alleanza", si tradisce proprio ciò che la stessa lettera agli Ebrei afferma con estrema chiarezza: "Dicendo alleanza nuova, Dio ha dichiarato antiquata (si noti che la nuova traduzine CEI ha sostituito l'aggettivo "antiquata" con "antica") la prima; e ciò che diventa antico e invecchia, è prossimo a sparire" (8:13). Non si vuol capire che la nuova alleanza ha rimpiazzato l'antica, Cristo ha preso il posto di Mosè, il nuovo popolo di Dio (la Chiesa) ha sostituito Israele. Ma questo oggi non si può piú dire: c'è il rischio di essere tacciati di antisemitismo. State attenti, perché se continuerete a parlare di "antica alleanza" (tanto piú di "vecchio testamento") rischiate di essere accusati di odio razziale e di vedervi accomunati a quel negazionista di Williamson.

Silenzio, preghiera e speranza

Eluana è morta. Non rimane che raccogliersi e pregare. In questi casi, di solito, ogni parola è di troppo. Anche prima della conclusione di questa dolorosa vicenda, personalmente, avrei preferito un tono piú sommesso. Ma sono rimasto ammirato della mobilitazione che c'è stata per tenerla in vita. In genere, di fronte a certi drammi umani, il silenzio dovrebbe essere di norma; ma sappiamo come spesso i "casi pietosi" vengano strumentalmente usati per far passare le leggi piú aberranti e, attraverse queste, creare una nuova mentalità (si pensi al divorzio prima, poi all'aborto, ora all'eutanasia). Per cui è giusto che si reagisca a tali trame, anche se talvolta si corre il rischio di ideologizzare il confronto. A me, che vivo lontano dall'Italia, questa mobilitazione per la vita è apparsa un segno molto positivo. Solitamento guardo al mio paese con una certa commiserazione, considerato il degrado morale in cui versa; ma devo dire che, se c'è ancora una tale capacità di regire, significa che non tutto è perduto. La mobilitazione per Eluana è un segno di vitalità e un forte motivo di speranza per l'avvenire dell'Italia. Ciò detto, lasciamo a Dio qualsiasi tipo di giudizio e affidiamo a lui non solo l'anima di Eluana, ma anche il dramma della sua famiglia e le sorti del nostro amato paese.

domenica 8 febbraio 2009

Misteri di Curia

Non so se abbiate letto l'articolo di Sandro Magister a cui facevo riferimento nel mio post del 5 febbraio (Disastro doppio in Vaticano: di governo e di comunicazione). Lo stesso giorno Padre Lombardi confermava quei rilievi in un'intervista a La Croix (potete trovare il testo originale dell'intervista nel blog di Magister Settimo Cielo, una sua traduzione italiana sull'agenzia ZENIT).
Negli stessi giorni abbiamo avuto un'altra prova tangibile di tali difficoltà di comunicazione tra dicasteri della Curia Romana. Vi ricordate che nel mio post del 2 febbraio riportavo la notizia di un possibile ritorno all'unità cattolica della Comunione Anglicana Tradizionale (TAC)? Ebbene, come risultava dal titolo, io la consideravo una "buona notizia". Ma, a quanto pare, per certi ambienti di Curia non lo è. Andate a leggervi il commento di Mons. Marc
Langham, incaricato del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani per il dialogo con la Comunione anglicana, rilasciato all'agenzia SIR. Per lui non si tratta di una "buona notizia", ma solo di un "rumore mediatico". Il sullodato Monsignore aggiunge: "Noi non abbiamo ricevuto nessuna notizia che questo accadrà; forse la Congregazione per la dottrina della fede avrà piú informazioni, ma da noi non è pervenuta nessuna notizia, eccetto ovviamente quello che abbiamo letto dalla stampa, dai blog". E qui viene appunto fuori il difetto di comunicazione; che però non meraviglia piú di tanto: sono cose che possono succedere. Semmai, noto nella dichiarazione di Mons. Langham una punta di stizza, dal momento che finora, nella vicenda, non è stato coinvolto il Consiglio per l'Unità dei Cristiani: i Vescovi della TAC si sono rivolti al Sant'Uffizio e non al dicastero preposto all'ecumenismo. Anche questo, in fondo, umanamente comprensibile. Sebbene un pizzico, non dico di umiltà, ma di rispetto per le competenze altrui, non guasterebbe (penso che il Consiglio per l'Unità dei Cristiani dovrebbe sapere che l'ecumenismo ha delle implicazioni dottrinali, che non possono essere con troppa leggerezza disattese).
Quel che a me appare assolutamente incomprensibile sono le dichiarazioni che seguono:
"Quello che si legge da Internet e dalla stampa, visto da questo ufficio, sembra molto strano. Mi pare che non sia una vera possibilità". Ciò per due ragioni: la prima è che "la conversione è un processo molto personale e non si può ricevere un gruppo di cosí tante persone". La seconda considerazione è che "i Vescovi della TAC sono sposati. Anche l'Arcivescovo che è il loro leader, si è sposato due volte e pertanto non è in grado di poter essere accettato come vescovo". L'esperto del Pontificio Consiglio rileva inoltre che i "tradizionalisti" della TAC "non sono in comunione con l'Arcivescovo di Canterbury. Non sono veri anglicani. Non sono riconosciuti dalla Comunione anglicana. Per cui non sappiamo bene quale sia il loro status". Una loro ammissione nella Chiesa cattolica "certamente creerebbe una difficoltà all'Arcivescovo di Canterbury e alla Comunione anglicana mondiale. Per questo ci vuole molta cautela e cura".
Avete capito? Meglio che la TAC rimanga dov'è. Sembra che a Mons. Langham dispiaccia che ci siano dei cristiani che chiedono di rientrare nella Chiesa cattolica. Mi domando che cosa ci stia a fare un Pontificio Consiglio per l'Unità dei Cristiani, se il suo obiettivo non è il ristabilimento dell'unità, ma il mantenimento dello statu quo. Non so che cosa significhi per certi esperti la parola "ecumenismo": dopo averci insegnato che l'ecumenismo non consiste nel pretendere il ritorno dei fratelli separati alla Chiesa cattolica, ora apprendiamo che, quando c'è qualcuno che chiede di essere riammesso, bisogna tenerlo fuori della porta. L'importante è non creare difficoltà nelle relazioni diplomatiche con le altre confessioni cristiane.
Finora pensavo che gli ostacoli per l'unità fossero principalmente di ordine dottrinale. Ma siccome in questo caso non esistono ostacoli di questo genere (i Vescovi della TAC hanno già sottoscritto pubblicamente il Catechismo della Chiesa Cattolica), le uniche cose da discutere sono le modalità del loro reinserimento nella Chiesa cattolica: una questione canonica, piú che dogmatica. Ma sembra che per i periti del dicastero dell'ecumenismo, delle problematiche certo importanti, ma pur sempre squisitamente disciplinari (come può essere il matrimonio dei Vescovi) diventano ostacoli insormontabili. Mi chiedo: che cosa ci stanno a fare loro, se neanche provano ad affrontare tali questioni? Per loro non è un problema se nella Comunione anglicana ci sono donne-vescovo e vescovi gay, ma fa problema che ci siano vescovi sposati. Per loro, il non riconoscimento da parte della Comunione anglicana è un impedimento per la comunione con la Chiesa cattolica.
Per loro è piú importante la comunione con l'Arcivescovo di Canterbury, che non quella col Vescovo di Roma.

sabato 7 febbraio 2009

Qualche suggerimento

Vorrei darvi qualche suggerimento per aiutarvi a elaborare un giudizio personale su quanto sta accadendo intorno a noi, un giudizio che non sia quello politically correct della vulgata corrente.
Innanzi tutto, un ottimo strumento per capire la radici del cosiddetto "conflitto" israelo-palestinese: una chiacchierata del giornalista Paolo Barnard sulla storia della Palestina e del movimento sionista dal 1897 ai nostri giorni. La tesi dell'autore è che non si può comprendere ciò che accade oggi se non si conosce il passato. Devo dire che ha perfettamente ragione. Potete trovare la chiacchierata, divisa in sette video, su YouTube. Dura complessivamente un'oretta. Ne vale la pena.
Un paio di articoli per orientarvi sulla delicata questione di revisionismo, riduzionismo, negazionismo. Il primo è del professor Franco Cardini: lo trovate sul suo sito. Particolarmente inquietante il suo avvertimento finale sulla silenziosa diffusione del negazionismo. Il secondo è della dottoressa Antonella Randazzo, sul suo blog. Buona lettura!

venerdì 6 febbraio 2009

Per Eluana

Permettetemi di riportare l'editoriale di Avvenire di oggi. Forse lo avete già letto. Fa riflettere.

Mettiamoci nei suoi panni: un viaggio allucinato e allucinante. Di notte, su un’ambulanza, lui e lei da soli, costretti dallo spazio angusto a una vicinanza che non era mai avvenuta prima, per ore uno in compagnia dell’altro, muti in due silen­zi diversi. Vicini, terribilmente vicini. Si so­no incontrati così, Eluana e il dottor Ama­to De Monte, e lui ne è uscito «devastato»: per l’aspetto di Eluana – si è detto e ha fat­to intuire lui stesso, ma senza spiegarsi mai troppo, lasciando vaghi i contorni della sua «devastazione» – o forse per qualcos’altro che in quel viaggio gli ha ingombrato l’a­nima come un fastidio sottile e insistente, che lui ha voluto scacciare ma ogni tanto ancora gli torna? Va, l’ambulanza, incrocia gocce di acqua e neve e i fari di altre vite viaggianti nella notte, ignare di quel carico di vita tra­sportato a morire, mentre Eluana dorme, perché questo fa di notte, da molti anni. Avrà vegliato, invece, il dottor De Monte, e quante volte avrà guardato quel sonno forse un po’ agitato dalla mancanza di un letto, sempre lo stesso da quindici anni, del tepore di una stanza, dei rumori e de­gli odori sempre uguali e rassicuranti, del­la carezza frequente di una suora? Poi è arrivata l’alba e un cancello si è inghiotti­to Eluana, nessuno l’ha più vista se non i volontari e il medico, ancora lui, tacitur­no con i giornalisti, scuro in volto, sempre frettoloso, anche la sera quando si allon­tana pedalando sulla bicicletta per le stra­de di Udine.
«Eluana è morta diciassette anni fa», ave­va detto in quell’alba di martedì scorso, la­sciando con sollievo l’ambulanza e quella strana compagna di viaggio che l’aveva de­vastato, lui, medico anestesista e rianima­tore che chissà quante ne deve aver viste in vita sua... Ma dopo una notte ne segue sempre un’altra, e un altro confronto con Eluana, che morta non è e quindi si agita... Passa la prima notte, la seconda andrà me­glio – si dice il medico – ma così non è, per­ché Eluana non pare più la stessa, poche ore fuori casa e qualcosa è già cambiato. Tossisce, Eluana. Tossisce?
Sì, tossisce, e di una tosse che squassa i suoi (forti) polmoni ma forse di più l’udito e le coscienze di chi l’ascolta e non sa che fare. Tossisce, si scuo­te, quasi si strozza e intanto, proprio come farebbe ciascuno di noi, tende e tirarsi su, cerca aria, solleva le spalle ma non riesce. Dove sono quelle mani che a Lecco sape­vano sempre cosa fare? Perché non accor­re chi immediatamente compiva quel pic­colo gesto che dava sollievo? Eluana tossi­sce sempre più, una tosse che accenna ad essere ribellione di un corpo, che è richie­sta, che è grido. Una tosse che, beffarda, sembra fare il verso a chi dice 'Eluana è morta diciassette anni fa': no, un morto non si agita nel letto sconosciuto. Gli infermieri-volontari provano di tutto, ma appartengono all’équipe di De Monte, conoscono a memoria il protocollo per far­la morire, che ne sanno ora dei piccoli ge­sti che sono propri di una vita, di quella vita? Come si gestisce una «morta» che fa i capricci e nel solo modo che conosce pe­sta i piedi? Dovevano essere devastati an­che loro, l’altra notte, se alla fine si deci­dono a fare il fatidico numero di Lecco e con nuova umiltà chiedono al medico cu­rante di Eluana: come facevate a farla sta­re bene?
Il dottore deve aver provato a spie­gare come mai in quindici anni non era stato necessario aspirare il catarro (l’incu­bo dei disabili come lei), avrà indicato al collega le mosse da fare, ma il resto non poteva spiegarlo: accarezzatela, osservate il suo respiro e ascoltate il battito del suo cuore – si erano tanto raccomandati da Lecco quella notte lasciandola partire per Udine –, sono i tre elementi che vi porte­ranno ad amarla... Ma questo nel proto­collo non sta scritto e nessuno lo può in­segnare. Questo raccontano tra i sussurri dalla «Quiete», la casa di riposo in cui la notte è passata agitata un po’ per tutti. Inutile invece chiedere conferme alla cli­nica di Lecco: medici e suore hanno giu­rato silenzio e quella è gente che ha una so­la parola. Tacciono e pregano. Ma a Udine avevano giurato sul protocollo di morte, mentre quella tosse di vita «devasta» già le prime coscienze (
Lucia Bellaspiga).

Non praevalebunt

L'altro giorno il New York Times ha riportato una notizia sconvolgente: il fondatore dei Legionari di Cristo, padre Marcial Maciel Degollado, scomparso lo scorso anno, avrebbe avuto una relazione da cui avrebbe avuto una figlia. Fin da giovane il padre Maciel è stato molto chiacchierato; per un bel po' di tempo gli andò bene: era sempre uscito indenne dalle numerose inchieste condotte dalla Santa Sede sul suo conto. Anzi, durante il pontificato di Giovanni Paolo II, specialmente in occasione del 50° anniversario di fondazione dell'istituto, aveva ricevuto una specie di apoteosi. Poi le cose cambiarono improvvisamente con l'avvento al pontificato di Benedetto XVI. Il Card. Ratzinger aveva avuto a che fare col padre Maciel come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede; conosceva perciò bene la situazione, ma, a quanto pare, era stato costretto ad archiviare la pratica. Diventato Papa, però, aveva deciso di riaprire i fascicoli per arrivare, senza processo canonico, a un provvedimento di rimozione. Fino ad allora le accuse rivoltegli vertevano soprattutto su presunti abusi sessuali compiuti sui suoi seminaristi; ma la cosa era sempre rimasta poco chiara: la Congregazione, pur accettando il provvedimento pontificio, aveva sempre rigettato ogni accusa, e le denunce potevano apparire come le vendette personali di qualche ex-legionario. Circolavano anche voci di uso di sostanze stupefacenti e di irregolarità finanziarie. Sinceramente, sembrava un po' troppo per il fondatore di un benemerito istituto religioso.
Ma ora la cosa sconvolgente è che la stessa Congregazione dei Legionari di Cristo riconosce gli errori del suo fondatore. Qui trovate il link alla notizia riportata dall'agenzia ZENIT, un'agenzia di notizie promossa appunto dai Legionari di Cristo (non so se farete in tempo a leggere la notizia: ho notato che nell'edizione inviata via posta elettronica la notizia è scomparsa, rimanendo solo il titolo).
Io conosco i Legionari di Cristo da lunga pezza. Furono miei compagni di scuola all'Angelicum per la filosofia e la teologia. Pur trovando in loro qualcosa di strano (anche se la maggior parte di loro era di lingua spagnola, parlavano fra loro in italiano dandosi del "Lei"; erano gentilissimi con noi, ma non attaccavano mai discorso; rispondevano solo se interpellati; e via di seguito), devo confessare che ho sempre nutrito una certa invidia nei loro confronti: nel bel mezzo della crisi delle vocazioni, quando noi eravamo una decina di seminaristi, loro arrivavano a scuola con due pullman, uno all'Angelicum e l'altro alla Gregoriana (50+50=100!). Li incontrai di nuovo negli anni della Querce, quando mostrarono un certo interesse per la nostra scuola... Soprattutto, ho sempre ammirato la loro serietà e la loro vitalità: mi sembravano davvero una grande speranza per la Chiesa. E ora? Non so che dire. Posso solo prendere atto che la Chiesa sta attraversando un brutto momento. Essa è sotto attacco, ma non tanto sotto l'attacco di potenze umane, quanto di forze soprannaturali: "La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti" (Ef 6:12). L'unico conforto mi viene dalla promessa del nostro Fondatore (quello con la F maiuscola): "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa" (Mt 16:18).

giovedì 5 febbraio 2009

Come previsto

Dopo giorni di totale silenzio, la Segreteria di Stato si è finalmente espressa sul caso dei quattro Vescovi lefebvriani a cui è stata revocata la scomunica e in particolare su Mons. Williamson, che aveva fatto dichiarazioni negazioniste. Che cosa ha detto? Ciò che avevo ampiamente previsto: viene richiesto un "pieno riconoscimento del Concilio Vaticano II e del Magistero dei Papi Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II e dello stesso Benedetto XVI". Se non fosse che questa condizione preclude qualsiasi inizio di trattativa con la Fraternità San Pio X, si potrebbe anche essere d'accordo. Si potrebbe comunque osservare che il diritto canonico non prevede altra professione di fede che quella "approvata dalla Sede Apostolica" (can. 833), consistente nel Simbolo Niceno-Costantinopolitano integrato da tre commi emanati dalla Congregazione per la Dottrina della Fede nel 1988. Ma sentite quel che segue: "Il Vescovo Williamson, per una ammissione a funzioni episcopali nella Chiesa dovrà anche prendere in modo assolutamente inequivocabile e pubblico le distanze dalle sue posizioni riguardanti la Shoah". Come volevasi dimostrare: d'ora in poi, per poter essere ammessi all'esercizio del ministero nella Chiesa sarà necessaria una professione di fede nella Shoah!
Capisco lo scompiglio in cui si trova il Vaticano in questi giorni (si veda in proposito l'interessante articolo di Sandro Magister sul sito www.chiesa); ma non mi sembra proprio questo il modo di reagire. Appare sempre piú chiaro che il Papa sia vittima di un complotto (si legga l'articolo di Andrea Tornielli sul Giornale); fin dall'inizio del suo pontificato sapevamo che la sua elezione non era gradita a molti, in Vaticano e fuori. Proprio per questo — sia detto col dovuto rispetto — in qualche caso forse avrebbe dovuto muoversi con maggiore prudenza. Che cosa dice Gesú nel Vangelo? "Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe" (Mt 10:16). Ma in ogni caso, quando siamo attaccati, non possiamo semplicemente giustificarci e adeguarci supinamente a quanto viene preteso dall'altra parte; dobbiamo reagire. Non si può stare sempre sulla difensiva e seguire il nemico dove lui ci vuol portare. Ho l'impressione che Benedetto XVI non conosca ancora abbastanza i suoi nemici. Non sa che le scuse, le dichiarazioni, le ritrattazioni non saranno mai abbastanza. Capisco che ha le mani legate: è tedesco; gli può essere sempre rinfacciato il suo passato (lo hanno già fatto all'inizio del suo pontificato). Ma in ogni caso, a un certo punto bisogna aver il coraggio di dire: "Ora basta!" Finché ci vedranno deboli, saranno sempre piú prepotenti. Qui non si tratta di porgere l'altra guancia; qui si tratta di difendere la verità.
Spero per lo meno che in Vaticano capiscano che la posizione di assoluta equidistanza assunta durante il massacro di Gaza (per favore, chiamiamo le cose col loro nome: non è stata una guerra, ma un semplice massacro) non paga. Molto meglio sarebbe stato assumere una posizione piú coraggiosa, come le circostanze richiedevano. Lo Stato di Israele e tutti gli Ebrei del mondo si sarebbero ribellati? E allora? Non vedete che tanto non gli va bene niente lo stesso e anzi pretendono di dettar legge anche all'interno della Chiesa?
Ho molto apprezzato nei giorni scorsi la coraggiosa presa di posizione del Primo Ministro turco Erdogan al summit di Davos (guardate il video su YouTube: è fantastico!). Certo, con quelle parole rivolte, senza peli sulla lingua, al Presidente Peres, probabilmente Erdogan ha firmato la sua condanna. Ma che importa? Ha avuto il coraggio della verità, e perciò merita il nostro rispetto e la nostra gratitudine. Che differenza rispetto ai politici occidentali e, ahimè, a tanti ecclesiastici! Mi è tornato allora in mente il passo del vangelo: "In verità vi dico: I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio" (Mt 21:31). Sí, mi sa proprio che turchi e palestinesi ci precederanno nel regno dei cieli!

martedì 3 febbraio 2009

Il prete e il blog

Continuo a provare un certo stupore nel vedere come è stato favorevolmente accolto il mio blog. Ringrazio tutti coloro che hanno voluto manifestarmi la loro solidarietà, simpatia, incoraggiamento: confratelli, ex-alunni (ritrovati dopo molti anni grazie a quella simpatica invenzione che è Facebook) e, soprattutto, scout. Confesso di aver fatto questo passo con una certa titubanza: non è facile esporsi; solitamente preferiamo rimanere nell'anonimato senza dare fastidio a nessuno, senza esprimere i nostri pensieri, vivendo in pace con tutti. Specialmente per uno che, come me, riveste qualche responsabilità, rappresenta in qualche modo una istituzione e, soprattutto, in quanto sacerdote, dovrebbe essere al di sopra delle parti e non dovrebbe mai occuparsi di questioni che esulano dalla sua missione pastorale, risulta piuttosto arduo "venire fuori". Ed è proprio questo che maggiormente ha colpito molti amici. Come? Non è possibile; non era mai successo; questo fatto esce fuori dagli schemi usuali (quegli schemi che ci fanno molto comodo, anche quando li contestiamo). Ma ho visto che questo "coraggio" è stato in genere apprezzato, sia da quanti condividono gli stessi ideali e le medesime preoccupazioni, sia da quanti sono magari piú indifferenti a certe problematiche.
Mi ha fatto molto piacere vedere come fra diversi Querciolini e, ripeto, soprattutto fra gli scout ci sia una sensibilità molto affine: segno che in quegli anni che abbiamo trascorso insieme, in un'aula scolastica o sotto una tenda, si è stabilito un legame profondo e una sintonia ideale, di cui forse allora non ci rendevamo conto. Se adesso sperimentiamo la stessa inquietudine, la stessa insoddisfazione per il mondo che ci circonda, significa che la Querce è stata qualcosa di piú di una semplice scuola.
Naturalmente non mi illudo che tutti coloro che mi leggono condividano le mie idee. So che molti sono sintonizzati su una diversa lunghezza d'onda. È normale ed è giusto che sia cosí. Qualcuno me lo ha anche voluto scrivere. La cosa non mi dispiace affatto; anzi, mi convince ancora di piú dell'opportunità dell'iniziativa, perché vedo quanto sia diffusa, anche in ambito ecclesiale, l'accettazione acritica della mentalità dominante. Voglio riportare uno di questi messaggi, senza naturalmente citare il nome di chi lo ha scritto e la provenienza (tengo molto alla privacy), giusto per darvi un'idea della realtà in cui viviamo:

"Sono una collaboratrice della parrocchia di ... Ho letto la tua pattaffiata. Scusa la mia ignoranza: non sono in grado di rispondere alla storia dei vari concili. Ti posso dire invece che non è giusto colpevolizzare solo gli Ebrei. Hamas come si comporta con il suo popolo? Se non la pensano come lui li tortura. Usa i bambini come scudo. Questa è libertà? Per me è un criminale che non lascia crescere il suo popolo. Tutto loro proprietà. Sono stata in Terra Santa ben tre volte, e posso dirti tante cose sulle attività che gli Ebrei sostengono a favore anche dei Palestinesi. Noi cattolici, di fronte alla provocazione, siamo invitati da Gesù a porgere l'altra guancia: loro si difendono, e allora? Non nego che i tuoi scritti mi hanno fatto reagire. Scusa e grazie."

Ho già risposto personalmente alla mia (non molto entusiasta) lettrice, per augurarle di aprire gli occhi e rendersi conto che la realtà non è quella che le mostrano giornali e TV. A quanto pare, la propaganda fa effetto su molte persone e il senso critico è un tantino carente. Forse anche colpa nostra — di noi preti, intendo — che non facciamo abbastanza per educare la gente a ragionare con la sua testa e a leggere criticamente la realtà che ci circonda. Un motivo in piú per impegnarci in questa missione, usando dei mezzi che la moderna tecnologia ci mette a disposizione. Qualcuno dirà: non è questo il mestiere del prete. Chi conosce i Barnabiti sa che la loro missione non si esaurisce sull'altare (da dove traggono ispirazione e forza), ma si compie nell'impegno educativo per formare cristiani e cittadini maturi.

PS: noto con piacere che questo blog è stato inserito nella lista dei Siti Cattolici Italiani, e che tra quelli aggiunti il 3 febbraio, è stato quello piú visitato.

lunedì 2 febbraio 2009

Due buone notizie

Non vorrei che qualcuno pensasse che sono un irriducibile tradizionalista anticonciliare, una quinta colonna lefebvriana in seno alla Chiesa cattolica. Ho già espresso, nel primo post di questo blog, la mia posizione nei confronti del Vaticano II; prima o poi si presenterà l'occasione di dire qualcosa sul movimento fondato dal Vescovo Lefebvre. Né vorrei che si pensasse che sono un vecchio brontolone a cui non va bene niente e ha sempre da ridire su ogni cosa. Ci sono cose, nella Chiesa post-conciliare, che anche a me fanno piacere. Due notizie di questi giorni.
La prima viene da Mosca. È stato eletto e ha fatto ieri il suo ingresso ufficiale come nuovo Patriarca della Chiesa Ortodossa Russa il Metropolita Kirill di Smolensk e Kaliningrad, dal 1989 responsabile del Dipartimento per le Relazioni Ecclesiastiche Esterne del Patriarcato di Mosca. Non c'è che da rallegrarsi, giacché con lui si apre una nuova fase nei rapporti con la Chiesa Cattolica. Ha detto di lui il Card. Kasper: "Conosciamo da molti anni Kirill. Ha una posizione ferma, ma con lui si può dialogare". Non è il caso di farsi eccessive illusioni; ma penso che sia lecito sperare.
Un'altra buona notizia viene dall'Australia. Il cammino di riavvicinamentto della Comunione Anglicana Tradizionale (TAC) alla Chiesa Cattolica continua. A quanto pare, la Congregazione per la dottrina della Fede avrebbe espresso un parere su come potrebbe avvenire il reinserimento di questi circa 400.000 fedeli anglicani nella Chiesa Cattolica. Si veda la notizia sulla CNA. Sembra che la CDF abbia consigliato di inquadrare giuridicamente questi fedeli in una prelatura personale. Non sono un canonista, ma su questa ipotesi mi permetto di avanzare qualche riserva. Sembra ora che ogni problema nella Chiesa si risolva con una prelatura personale. Tale istituto fu inventato appositamente per dare forma giuridica all'Opus Dei. Certamente esso potrà essere applicato ad altre realtà, p. es. sembra che questa sarà la soluzione per ricucire la frattura con i lefebvriani. Tempo fa il Vescovo Milingo propose qualcosa di simile per i preti sposati. Tutti lo presero per matto (e certamente non si può in alcun modo approvare il suo atteggiamento); ma quella proposta non era poi cosí assurda; potrebbe davvero essere una soluzione al problema del celibato: senza modificare l'attuale disciplina della Chiesa latina, permetterebbe di avere a disposizione un clero uxorato, di cui si sente sempre piú bisogno con l'attuale crisi di vocazioni. Ora, per venire al caso della TAC, non mi pare che si possa applicare lo strumento giuridico della prelatura personale. La TAC non è un gruppo di preti anglicani che chiedono di rientrare nella comunione con la Chiesa Cattolica. La TAC sono una serie di Diocesi, con Vescovi, preti e fedeli già organizzati. Mi sembra che in questo caso l'unica soluzione potrebbe essere quella di una Chiesa sui juris. So che, al presente, tale realtà esiste solo per le Chiese orientali, ma chi vieta che si possa estendere anche all'Occidente? Non è la realtà che si deve adattare al diritto, ma il diritto alla realtà. Nel nostro caso, si tratterebbe di conservare un vero e proprio "rito" (quello anglicano): anche qui, il Codice dei Canoni delle Chiese Orientali prevede solo cinque riti (alessandrino, antiocheno, armeno, caldeo e bizantino); chi impedisce che anche in Occidente esistano diversi riti (e di fatto già esistono, vedi il rito ambrosiano)? Rimane un solo problema, che lascio volentieri agli esperti della CDF risolvere: i Vescovi anglicani sono in genere sposati, mentre né nella Chiesa Cattolica né in quella Ortodossa esiste alcun vescovo sposato. Ma lasciamo che lo Spirito ispiri alla Chiesa la soluzione di questo problema.