Pare proprio che Padre Lombardi abbia perso un'altra buona occasione per tacere. Come — direte voi — il portavoce della Santa Sede dovrebbe tacere? Sí, in certi casi farebbe molto meglio a tacere. Da un portavoce ci si attende delle notizie; certi commenti farebbe meglio a tenerli per sé. Il fatto è che Padre Lombardi, oltre a essere direttore della Sala Stampa Vaticana, è anche direttore della Radio Vaticana e del Centro Televisivo Vaticano; e, in tale veste, ha una rubrica settimanale — Octava Dies — ripresa da numerose stazioni televisive cattoliche, nella quale commenta le notizie di maggior rilievo. In tal modo, smette i panni del portavoce per assumere quelli dell'editorialista, con tutte le conseguenze che questo comporta.
Nel nostro caso la notizia c'era già: era da mesi che si parlava di un possibile viaggio del Papa in Terra Santa. Mancava solo la conferma ufficiale. Questa era venuta dal Santo Padre in persona giovedí scorso durante l'udienza riservata a una delegazione della Conference of Presidents of Major American Jewish Organizations. Poteva bastare cosí, anzi era fin troppo. Chi segue questo blog sa che chi scrive aveva nutrito la speranza, durante la strage di Gaza, che la Santa Sede annunciasse l'accantonamento di qualsiasi ipotesi di viaggio. Ma sappiamo come va il mondo: sappiamo benissimo che questa visita "s'ha da fare"; sappiamo benissimo che il Papa, se vuol essere lasciato un po' in pace (fino a quando? quale sarà la prossima provocazione? e quale prezzo gli verrà chiesto allora di pagare?), deve sottomettersi a questa ennesima umiliazione. Lo sappiamo e, sebbene con rammarico, siamo disposti pure a tollerarlo. Ma bastava fermarsi qui. Bastavano le parole molto misurate pronunciate da Benedetto XVI giovedí scorso: "Anche io mi sto preparando a visitare Israele, una terra che è santa per i cristiani e per gli ebrei, poiché le radici della nostra fede si trovano lí".
E invece, che cosa ha da aggiungere Padre Lombardi? "È una bella notizia. Andare a Gerusalemme è il desiderio di tutti gli israeliti e di tutti i cristiani. Gli antichi israeliti salivano verso di essa cantando, Gesú vi si dirige decisamente per compiervi fino in fondo la volontà del Padre. È andare pellegrini ai luoghi piú santi, luoghi degli incontri fra Dio e gli uomini che hanno segnato la storia della nostra salvezza. Anche il Papa porta in sé questo desiderio. Benché in precedenza vi sia già stato, sente l'importanza di recarvisi di nuovo come capo di una comunità di credenti, che possano pellegrinare in unione spirituale con lui e per mezzo di lui ai luoghi delle radici della loro fede. Non a caso Paolo VI iniziò proprio dalla Terra Santa la serie dei viaggi internazionali dei papi e Giovanni Paolo II ne seguí i passi ponendo segni indimenticabili di riconciliazione e di speranza di pace. Ora è la volta di Benedetto. La sua è una decisione coraggiosa. Vi sono le incertezze della situazione politica, le numerose divisioni interne ai vari campi. Vi sono le tensioni continue di una regione percorsa da conflitti e recentissimamente segnata da una guerra che ha devastato la striscia di Gaza e ferito profondamente il suo popolo. Il processo di pace stenta a fare passi risolutivi. Ombre o diffidenze tornano in modo ricorrente ad oscurare il dialogo ben avviato fra il mondo ebraico e la Chiesa cattolica. Ma bisogna andare lo stesso. Anzi, forse proprio per tutti questi motivi è urgente andarvi. Per pregare nei punti piú cruciali del confronto fra l'odio e l'amore: là dove la riconciliazione sembra umanamente impossibile. Per ricordare che il nome e la vocazione di Gerusalemme è di essere 'città della pace', di incontro dei popoli nel nome di un Dio di salvezza, di pace e di amore per tutti".
Rimango sconcertato da simili dichiarazioni. "Una bella notizia"? Di che cosa c'è da rallegrasi? Per me c'è solo da piangere. "Una decisione coraggiosa"? Dopo quanto accaduto a Gaza, sarebbe stato molto piú coraggioso rinviare il viaggio a tempo indeterminato. Mi piace poi la delicatezza del linguaggio: "Vi sono le incertezze della situazione politica". A che cosa si sta riferendo: ai risultati delle elezioni politiche in Israele o alla pulizia etnica nei confronti del popolo palestinese? In certe situazioni, un po' piú di chiarezza non guasterebbe. Sentite con quale garbo si riferisce al popolo palestinese: "Vi sono le tensioni continue di una regione percorsa da conflitti e recentissimamente segnata da una guerra che ha devastato la striscia di Gaza e ferito profondamente il suo popolo". Capito? Il popolo palestinese è rimasto "ferito". Non mi risulta che si usi lo stesso riguardo quando si parla dell'Olocausto. "Il processo di pace stenta a fare passi risolutivi". A causa di chi? Certo, a causa di quei terroristi estremisti di Hamas. No comment poi sul "dialogo ben avviato fra il mondo ebraico e la Chiesa cattolica".
Staremo a vedere come si svolgerà la visita. Conosciamo già le tappe d'obbligo: Muro del Pianto e Yad Vashem (il pedaggio da pagare, insieme con la visita ad Auschwitz, se si vuole esercitare un qualsiasi genere di potere nel mondo d'oggi). Si parla della visita a una moschea, per par condicio naturalmente (certo non a Gerusalemme, "capitale eterna di Israele", ma quasi sicuramente in Giordania). Avrà il Papa tempo per visitare la Basilica della Natività e quella del Santo Sepolcro? Lo speriamo vivamente. L'unico dubbio che ci rimane: ci sarà anche una visita a Gaza? Ma come potrebbe il Papa stringere le mani dei terroristi? Non chiediamo tanto: ci basterebbe che stringesse la mani di Padre Musallam, il parroco di Gaza.
Nel nostro caso la notizia c'era già: era da mesi che si parlava di un possibile viaggio del Papa in Terra Santa. Mancava solo la conferma ufficiale. Questa era venuta dal Santo Padre in persona giovedí scorso durante l'udienza riservata a una delegazione della Conference of Presidents of Major American Jewish Organizations. Poteva bastare cosí, anzi era fin troppo. Chi segue questo blog sa che chi scrive aveva nutrito la speranza, durante la strage di Gaza, che la Santa Sede annunciasse l'accantonamento di qualsiasi ipotesi di viaggio. Ma sappiamo come va il mondo: sappiamo benissimo che questa visita "s'ha da fare"; sappiamo benissimo che il Papa, se vuol essere lasciato un po' in pace (fino a quando? quale sarà la prossima provocazione? e quale prezzo gli verrà chiesto allora di pagare?), deve sottomettersi a questa ennesima umiliazione. Lo sappiamo e, sebbene con rammarico, siamo disposti pure a tollerarlo. Ma bastava fermarsi qui. Bastavano le parole molto misurate pronunciate da Benedetto XVI giovedí scorso: "Anche io mi sto preparando a visitare Israele, una terra che è santa per i cristiani e per gli ebrei, poiché le radici della nostra fede si trovano lí".
E invece, che cosa ha da aggiungere Padre Lombardi? "È una bella notizia. Andare a Gerusalemme è il desiderio di tutti gli israeliti e di tutti i cristiani. Gli antichi israeliti salivano verso di essa cantando, Gesú vi si dirige decisamente per compiervi fino in fondo la volontà del Padre. È andare pellegrini ai luoghi piú santi, luoghi degli incontri fra Dio e gli uomini che hanno segnato la storia della nostra salvezza. Anche il Papa porta in sé questo desiderio. Benché in precedenza vi sia già stato, sente l'importanza di recarvisi di nuovo come capo di una comunità di credenti, che possano pellegrinare in unione spirituale con lui e per mezzo di lui ai luoghi delle radici della loro fede. Non a caso Paolo VI iniziò proprio dalla Terra Santa la serie dei viaggi internazionali dei papi e Giovanni Paolo II ne seguí i passi ponendo segni indimenticabili di riconciliazione e di speranza di pace. Ora è la volta di Benedetto. La sua è una decisione coraggiosa. Vi sono le incertezze della situazione politica, le numerose divisioni interne ai vari campi. Vi sono le tensioni continue di una regione percorsa da conflitti e recentissimamente segnata da una guerra che ha devastato la striscia di Gaza e ferito profondamente il suo popolo. Il processo di pace stenta a fare passi risolutivi. Ombre o diffidenze tornano in modo ricorrente ad oscurare il dialogo ben avviato fra il mondo ebraico e la Chiesa cattolica. Ma bisogna andare lo stesso. Anzi, forse proprio per tutti questi motivi è urgente andarvi. Per pregare nei punti piú cruciali del confronto fra l'odio e l'amore: là dove la riconciliazione sembra umanamente impossibile. Per ricordare che il nome e la vocazione di Gerusalemme è di essere 'città della pace', di incontro dei popoli nel nome di un Dio di salvezza, di pace e di amore per tutti".
Rimango sconcertato da simili dichiarazioni. "Una bella notizia"? Di che cosa c'è da rallegrasi? Per me c'è solo da piangere. "Una decisione coraggiosa"? Dopo quanto accaduto a Gaza, sarebbe stato molto piú coraggioso rinviare il viaggio a tempo indeterminato. Mi piace poi la delicatezza del linguaggio: "Vi sono le incertezze della situazione politica". A che cosa si sta riferendo: ai risultati delle elezioni politiche in Israele o alla pulizia etnica nei confronti del popolo palestinese? In certe situazioni, un po' piú di chiarezza non guasterebbe. Sentite con quale garbo si riferisce al popolo palestinese: "Vi sono le tensioni continue di una regione percorsa da conflitti e recentissimamente segnata da una guerra che ha devastato la striscia di Gaza e ferito profondamente il suo popolo". Capito? Il popolo palestinese è rimasto "ferito". Non mi risulta che si usi lo stesso riguardo quando si parla dell'Olocausto. "Il processo di pace stenta a fare passi risolutivi". A causa di chi? Certo, a causa di quei terroristi estremisti di Hamas. No comment poi sul "dialogo ben avviato fra il mondo ebraico e la Chiesa cattolica".
Staremo a vedere come si svolgerà la visita. Conosciamo già le tappe d'obbligo: Muro del Pianto e Yad Vashem (il pedaggio da pagare, insieme con la visita ad Auschwitz, se si vuole esercitare un qualsiasi genere di potere nel mondo d'oggi). Si parla della visita a una moschea, per par condicio naturalmente (certo non a Gerusalemme, "capitale eterna di Israele", ma quasi sicuramente in Giordania). Avrà il Papa tempo per visitare la Basilica della Natività e quella del Santo Sepolcro? Lo speriamo vivamente. L'unico dubbio che ci rimane: ci sarà anche una visita a Gaza? Ma come potrebbe il Papa stringere le mani dei terroristi? Non chiediamo tanto: ci basterebbe che stringesse la mani di Padre Musallam, il parroco di Gaza.