Ho l’impressione che la pubblicazione del libro-intervista di Benedetto XVI Luce del mondo abbia provocato, nelle file del tradizionalismo, una certa delusione. E non soltanto per via del pronunciamento — obiettivamente inedito (nonostante i tentativi di interpretazione alla luce della dottrina morale tradizionale) — a proposito dell’uso del profilattico.
I tradizionalisti pensavano che Benedetto XVI fosse uno dei loro. Effettivamente, prima di diventare Papa, il Card. Ratzinger passava per il maggior rappresentante dell’ala conservatrice della Curia Romana: i suoi interventi come Prefetto del Sant’Uffizio erano sempre stati in difesa dell’ortodossia (ma si dimentica forse che tali interventi erano il piú delle volte “commissionati” da Giovanni Paolo II). Una volta divenuto Papa, Benedetto XVI aveva attirato le simpatie dei tradizionalisti per l’atteggiamento di apertura verso i lefebvriani e, soprattutto, per i suoi interventi in campo liturgico (in primis, la liberalizzazione del rito romano antico). È vero che c’erano stati altri atteggiamenti che lasciavano perplessi; ma solitamente o li si riconduceva a manovre di corte (la resistenza dei settori piú progressisti della Curia Romana) o a motivi di opportunità “politica” (la dovuta considerazione delle posizioni talvolta radicali di alcuni episcopati).
La pubblicazione di Luce del mondo ha in qualche modo segnato la fine delle illusioni: Benedetto XVI non è il Papa tradizionalista che veniva dipinto sia da destra che da sinistra, ma continua a essere il teologo progressista che ha preso parte attiva al Concilio Vaticano II. Certo, da allora ne è passata di acqua sotto i ponti; le posizioni di Ratzinger si sono progressivamente evolute, ma senza mai mettere in discussione l’atteggiamento liberale di fondo.
Se si vuole descrivere a grandi linee tale evoluzione, penso che si possano individuare tre o quattro “svolte” nella sua vita. La prima è quella del Sessantotto, che, secondo Hans Küng, avrebbe notevolmente impressionato Ratzinger, portandolo su posizioni piú moderate. La seconda svolta è stata il suo trasferimento a Roma, che gli ha permesso di vedere le cose in una prospettiva diversa, sia perché Roma è un osservatorio piú universale, sia perché il compito svolto lo costringeva ad assumere posizioni piú rigide. La terza svolta è stata costituita dal contatto, per motivi istituzionali, con i movimenti tradizionalisti (fu lui a gestire lo “scisma” lefebvriano), che lo obbligò a riconoscere almeno in parte le loro ragioni. L’ultima svolta è consistita nell’elezione al pontificato: fra i suoi obiettivi programmatici è apparso fin dall’inizio l’ecumenismo; ed è in tale contesto che va considerata la ricomposizione della frattura con la FSSPX, che ha comportato la liberalizzazione della liturgia romana antica e la remissione delle scomuniche ai quattro vescovi lefebvriani. Tutto ciò non ha mai significato un rinnegamento delle posizioni di partenza, anzi va letto alla luce di quelle: l’apertura al movimento di Mons. Lefebvre non può essere considerata come un’approvazione del tradizionalismo qua talis, ma come una delle tante attuazioni dell’ecumenismo voluto dal Concilio. Penso che un giudizio sintetico, che fotografa bene la personalità di Benedetto XVI, sia quello espresso da Mons. Bernard Fellay in una conferenza tenuta a Bahia il 9 luglio 2010: «Il Papa è un uomo con la testa progressista, ma col cuore cattolico, amante della tradizione».
Probabilmente è un bene che ci sia stata questa disillusione. I tradizionalisti sembravano volersi in qualche modo “annettere” il Papa, rendendolo quasi il leader di un partito e dimenticando che egli non può che essere il padre di tutti. Allo stesso tempo però penso che sia un bene anche rendersi conto che non bisogna mai riporre le proprie speranze esclusivamente in un uomo, fosse pure il Papa. Il Papa è certamente un punto di riferimento fondamentale nella Chiesa, ma non può essere, neppure lui, assolutizzato: ciò che conta è la fede in Cristo, l’amore alla Chiesa, la fedeltà alla tradizione (quella vera!). In tutto ciò il Papa ci è di guida; ma non deve scandalizzarci se a un certo punto scopriamo che anche lui ha le sue idee, che non collimano in tutto con le nostre. Certo, sarebbe meglio, come scrivevo in un mio post precedente, che, per evitare disorientamenti, il Papa in qualche modo si spogliasse di sé e si limitasse a fare il Papa; ma questo forse è diventato impossibile ai nostri giorni (pensate che cosa direbbero se si rifiutasse di rispondere alle domande dei giornalisti!). Quel che conta è rimanergli fedeli non quando rilascia interviste (nel qual caso si può tranquillamente dissentire), ma nel momento in cui egli esercita la sua autorità apostolica.