Non so se abbiate letto l'articolo di Sandro Magister a cui facevo riferimento nel mio post del 5 febbraio (Disastro doppio in Vaticano: di governo e di comunicazione). Lo stesso giorno Padre Lombardi confermava quei rilievi in un'intervista a La Croix (potete trovare il testo originale dell'intervista nel blog di Magister Settimo Cielo, una sua traduzione italiana sull'agenzia ZENIT).
Negli stessi giorni abbiamo avuto un'altra prova tangibile di tali difficoltà di comunicazione tra dicasteri della Curia Romana. Vi ricordate che nel mio post del 2 febbraio riportavo la notizia di un possibile ritorno all'unità cattolica della Comunione Anglicana Tradizionale (TAC)? Ebbene, come risultava dal titolo, io la consideravo una "buona notizia". Ma, a quanto pare, per certi ambienti di Curia non lo è. Andate a leggervi il commento di Mons. Marc Langham, incaricato del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani per il dialogo con la Comunione anglicana, rilasciato all'agenzia SIR. Per lui non si tratta di una "buona notizia", ma solo di un "rumore mediatico". Il sullodato Monsignore aggiunge: "Noi non abbiamo ricevuto nessuna notizia che questo accadrà; forse la Congregazione per la dottrina della fede avrà piú informazioni, ma da noi non è pervenuta nessuna notizia, eccetto ovviamente quello che abbiamo letto dalla stampa, dai blog". E qui viene appunto fuori il difetto di comunicazione; che però non meraviglia piú di tanto: sono cose che possono succedere. Semmai, noto nella dichiarazione di Mons. Langham una punta di stizza, dal momento che finora, nella vicenda, non è stato coinvolto il Consiglio per l'Unità dei Cristiani: i Vescovi della TAC si sono rivolti al Sant'Uffizio e non al dicastero preposto all'ecumenismo. Anche questo, in fondo, umanamente comprensibile. Sebbene un pizzico, non dico di umiltà, ma di rispetto per le competenze altrui, non guasterebbe (penso che il Consiglio per l'Unità dei Cristiani dovrebbe sapere che l'ecumenismo ha delle implicazioni dottrinali, che non possono essere con troppa leggerezza disattese).
Quel che a me appare assolutamente incomprensibile sono le dichiarazioni che seguono: "Quello che si legge da Internet e dalla stampa, visto da questo ufficio, sembra molto strano. Mi pare che non sia una vera possibilità". Ciò per due ragioni: la prima è che "la conversione è un processo molto personale e non si può ricevere un gruppo di cosí tante persone". La seconda considerazione è che "i Vescovi della TAC sono sposati. Anche l'Arcivescovo che è il loro leader, si è sposato due volte e pertanto non è in grado di poter essere accettato come vescovo". L'esperto del Pontificio Consiglio rileva inoltre che i "tradizionalisti" della TAC "non sono in comunione con l'Arcivescovo di Canterbury. Non sono veri anglicani. Non sono riconosciuti dalla Comunione anglicana. Per cui non sappiamo bene quale sia il loro status". Una loro ammissione nella Chiesa cattolica "certamente creerebbe una difficoltà all'Arcivescovo di Canterbury e alla Comunione anglicana mondiale. Per questo ci vuole molta cautela e cura".
Avete capito? Meglio che la TAC rimanga dov'è. Sembra che a Mons. Langham dispiaccia che ci siano dei cristiani che chiedono di rientrare nella Chiesa cattolica. Mi domando che cosa ci stia a fare un Pontificio Consiglio per l'Unità dei Cristiani, se il suo obiettivo non è il ristabilimento dell'unità, ma il mantenimento dello statu quo. Non so che cosa significhi per certi esperti la parola "ecumenismo": dopo averci insegnato che l'ecumenismo non consiste nel pretendere il ritorno dei fratelli separati alla Chiesa cattolica, ora apprendiamo che, quando c'è qualcuno che chiede di essere riammesso, bisogna tenerlo fuori della porta. L'importante è non creare difficoltà nelle relazioni diplomatiche con le altre confessioni cristiane.
Finora pensavo che gli ostacoli per l'unità fossero principalmente di ordine dottrinale. Ma siccome in questo caso non esistono ostacoli di questo genere (i Vescovi della TAC hanno già sottoscritto pubblicamente il Catechismo della Chiesa Cattolica), le uniche cose da discutere sono le modalità del loro reinserimento nella Chiesa cattolica: una questione canonica, piú che dogmatica. Ma sembra che per i periti del dicastero dell'ecumenismo, delle problematiche certo importanti, ma pur sempre squisitamente disciplinari (come può essere il matrimonio dei Vescovi) diventano ostacoli insormontabili. Mi chiedo: che cosa ci stanno a fare loro, se neanche provano ad affrontare tali questioni? Per loro non è un problema se nella Comunione anglicana ci sono donne-vescovo e vescovi gay, ma fa problema che ci siano vescovi sposati. Per loro, il non riconoscimento da parte della Comunione anglicana è un impedimento per la comunione con la Chiesa cattolica. Per loro è piú importante la comunione con l'Arcivescovo di Canterbury, che non quella col Vescovo di Roma.
Negli stessi giorni abbiamo avuto un'altra prova tangibile di tali difficoltà di comunicazione tra dicasteri della Curia Romana. Vi ricordate che nel mio post del 2 febbraio riportavo la notizia di un possibile ritorno all'unità cattolica della Comunione Anglicana Tradizionale (TAC)? Ebbene, come risultava dal titolo, io la consideravo una "buona notizia". Ma, a quanto pare, per certi ambienti di Curia non lo è. Andate a leggervi il commento di Mons. Marc Langham, incaricato del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani per il dialogo con la Comunione anglicana, rilasciato all'agenzia SIR. Per lui non si tratta di una "buona notizia", ma solo di un "rumore mediatico". Il sullodato Monsignore aggiunge: "Noi non abbiamo ricevuto nessuna notizia che questo accadrà; forse la Congregazione per la dottrina della fede avrà piú informazioni, ma da noi non è pervenuta nessuna notizia, eccetto ovviamente quello che abbiamo letto dalla stampa, dai blog". E qui viene appunto fuori il difetto di comunicazione; che però non meraviglia piú di tanto: sono cose che possono succedere. Semmai, noto nella dichiarazione di Mons. Langham una punta di stizza, dal momento che finora, nella vicenda, non è stato coinvolto il Consiglio per l'Unità dei Cristiani: i Vescovi della TAC si sono rivolti al Sant'Uffizio e non al dicastero preposto all'ecumenismo. Anche questo, in fondo, umanamente comprensibile. Sebbene un pizzico, non dico di umiltà, ma di rispetto per le competenze altrui, non guasterebbe (penso che il Consiglio per l'Unità dei Cristiani dovrebbe sapere che l'ecumenismo ha delle implicazioni dottrinali, che non possono essere con troppa leggerezza disattese).
Quel che a me appare assolutamente incomprensibile sono le dichiarazioni che seguono: "Quello che si legge da Internet e dalla stampa, visto da questo ufficio, sembra molto strano. Mi pare che non sia una vera possibilità". Ciò per due ragioni: la prima è che "la conversione è un processo molto personale e non si può ricevere un gruppo di cosí tante persone". La seconda considerazione è che "i Vescovi della TAC sono sposati. Anche l'Arcivescovo che è il loro leader, si è sposato due volte e pertanto non è in grado di poter essere accettato come vescovo". L'esperto del Pontificio Consiglio rileva inoltre che i "tradizionalisti" della TAC "non sono in comunione con l'Arcivescovo di Canterbury. Non sono veri anglicani. Non sono riconosciuti dalla Comunione anglicana. Per cui non sappiamo bene quale sia il loro status". Una loro ammissione nella Chiesa cattolica "certamente creerebbe una difficoltà all'Arcivescovo di Canterbury e alla Comunione anglicana mondiale. Per questo ci vuole molta cautela e cura".
Avete capito? Meglio che la TAC rimanga dov'è. Sembra che a Mons. Langham dispiaccia che ci siano dei cristiani che chiedono di rientrare nella Chiesa cattolica. Mi domando che cosa ci stia a fare un Pontificio Consiglio per l'Unità dei Cristiani, se il suo obiettivo non è il ristabilimento dell'unità, ma il mantenimento dello statu quo. Non so che cosa significhi per certi esperti la parola "ecumenismo": dopo averci insegnato che l'ecumenismo non consiste nel pretendere il ritorno dei fratelli separati alla Chiesa cattolica, ora apprendiamo che, quando c'è qualcuno che chiede di essere riammesso, bisogna tenerlo fuori della porta. L'importante è non creare difficoltà nelle relazioni diplomatiche con le altre confessioni cristiane.
Finora pensavo che gli ostacoli per l'unità fossero principalmente di ordine dottrinale. Ma siccome in questo caso non esistono ostacoli di questo genere (i Vescovi della TAC hanno già sottoscritto pubblicamente il Catechismo della Chiesa Cattolica), le uniche cose da discutere sono le modalità del loro reinserimento nella Chiesa cattolica: una questione canonica, piú che dogmatica. Ma sembra che per i periti del dicastero dell'ecumenismo, delle problematiche certo importanti, ma pur sempre squisitamente disciplinari (come può essere il matrimonio dei Vescovi) diventano ostacoli insormontabili. Mi chiedo: che cosa ci stanno a fare loro, se neanche provano ad affrontare tali questioni? Per loro non è un problema se nella Comunione anglicana ci sono donne-vescovo e vescovi gay, ma fa problema che ci siano vescovi sposati. Per loro, il non riconoscimento da parte della Comunione anglicana è un impedimento per la comunione con la Chiesa cattolica. Per loro è piú importante la comunione con l'Arcivescovo di Canterbury, che non quella col Vescovo di Roma.