Oggi, solennità del Sacratissimo Cuore di Gesú e tradizionale Giornata per la santificazione del Clero, ha inizio l'Anno sacerdotale, indetto da Benedetto XVI in occasione del 15o° anniversario della morte del Santo Curato d'Ars, Giovanni Maria Vianney. Ieri il Santo Padre ha inviato a noi presbiteri una bellissima lettera, che faremo bene a leggere e meditare non soltanto in questi giorni, ma durante tutto il corso di questo Anno giubilare.
Da parte mia, senza volermi in alcun modo sovrapporre al Papa, ma solo nel desiderio di aggiungere qualche spunto di riflessione all'abbondante materiale da lui offertoci, mi piacerebbe riportare un testo sulla dignità del sacerdozio, scritto alcuni secoli fa, ma ancora estremamente attuale. Mi ha fatto piacere riscontrare sorprendenti affinità fra questo testo e alcune frasi di Papa Ratzinger e del Santo Curato d'Ars.
Si tratta di una lettera scritta dall'Angelica Paola Antonia Negri (1508-1555) al sacerdote veneziano Gaspare de Franceschi. Il titolo della lettera è, appunto, "Della dignità sacerdotale". Chi era Paola Antonia Negri?
Dovete sapere che il mio Fondatore, Sant'Antonio Maria Zaccaria (1502-1539), non fondò solo i Barnabiti (i "Chierici Regolari di San Paolo"), ma, accanto a loro, un ramo femminile (le "Angeliche di San Paolo") e uno laicale (i "Coniugati di San Paolo"). I tre "collegi", come venivano chiamati, costituivano un'unica famiglia spirituale (la "Congregazione di San Paolo"): Barnabiti, Angeliche e Coniugati pregavano e operavano insieme (finché le rigide norme tridentine non li obbligarono a separarsi). Siccome lo Zaccaria morí assai giovane, leader della nuova comunità divenne la carismatica maestra delle novizie, Paola Antonia Negri (chiamata "divina madre"), la quale presiedeva pure ai capitoli e prendeva le decisioni piú importanti (potete immaginare le reazioni...). Questa donna aveva una profondissima spiritualità e doveva esercitare un fascino straordinario, se è vero che, durante una missione in Veneto, tutti i rampolli della nobiltà veneziana volevano farsi Barnabiti (e infatti ben presto i "paolini" furono accusati di spionaggio, espulsi dai territori veneziani, e la Negri fu sottoposta a processo e allontanata dal suo monastero...).
I tempi in cui vissero Sant'Antonio Maria Zaccaria e l'Angelica Paola Antonia Negri erano tempi non facili, per molti versi simili ai nostri giorni. Anche allora si sentiva bisogno di una riforma della Chiesa: qualcuno pensò di attuarla consumando uno scisma e mettendo in discussione la tradizionale fede cattolica, altri — i santi — invece capirono che l'unico modo per rinnovare la Chiesa era quello di partire dal rinnovamento interiore di sé stessi. C'è una frase della Negri, a proposito delle condizioni della Chiesa del suo tempo, che mi ha colpito particolarmente: «Non dobbiamo scandalizzarci mai, se ben vedessimo la navicella di Cristo andare fluttuando, ma sempre perseverare nella fede» (lettera scritta ai Paolini di Venezia nell'Ottava dell'Epifania del 1549).
Ritroviamo la stessa ansia per la riforma della Chiesa nella lettera a Don Gaspare de Franceschi, scritta il 3 ottobre 1544:
«Io so, e non mi inganno, che questo ministero è tanto efficace, al punto che un vero sacerdote potrebbe costringere il Signore, che pure non può essere costretto, a capovolgere l'ordine della sua giustizia in somma misericordia; a ottenere qualunque grazia, come il ripristino dei corrotti costumi cristiani, la riforma degli uomini e della santa Chiesa. E questo perché è tanto grande l'amore che porta ai suoi consacrati, avendoli dotati di privilegi molto grandi, al punto che tutto possono con Dio: possono forzarlo in favore del suo popolo e riconciliarlo con lui. E se anche uno solo, che fosse secondo il suo cuore, potrebbe tanto, quanto potrebbero in molti?
Ma com'è insozzata la faccia della sua bella Sposa: il vino è fatto aceto, le uve sono mutate in lambrusche, il sale è scipito, l'abominazione è entrata nel luogo santo, la castità che dovrebbe essere nei ministri del sangue [di Cristo] è convertita in sporcizia, l'umiltà in ambizione, la liberalità in avarizia, la carità in invidia, la parsimonia in crapula, la pazienza e mansuetudine in ira e sdegno, la sollecitudine in inerzia; e in breve la virtú in vizio, la dolcezza in amarezza, la devozione in freddezza e tiepidezza. La mente, che dovrebbe essere abitacolo del Dio vivente, diventa ospizio di ogni cattivo e vano pensiero. Il cuore, che dovrebbe essere conservato con ogni custodia e diligenza, diventa preda di ogni nemico, albergo di ogni iniquità: tutto il mondo è posto in uno stato malvagio.
Perciò avete ragione, anima benedetta, nell'avere compassione di questa povera Sposa di Cristo e quindi disporvi e decidere di cominciare in voi stesso a riformarla, allontanandovi da ogni opera morta e collocandovi nel seno e nel grembo della pietà del celeste e benigno Padre vostro, che, siatene certo, non vi farà mancare il suo aiuto perché possiate portare a compimento il vostro giusto e santo desiderio. E tutto questo fatelo con cuore allegro, allontanando da voi ogni cosa che abbia somiglianza dell'uomo terreno. Ricordandovi del grado eccelso della vostra dignità, diventate e mantenetevi irreprensibile, cosí da essere degno del frutto del sangue [di Cristo] che assumete e servite ad altri.
Io non mi sottrarrò mai da quello che il Signore mi concederà di poter fare per aiutarvi a tradurre in pratica il desiderio che avete di essere fedele dispensatore e degno ministro [di Cristo]. Il che si degni di concedervi per sua pietà e misericordia; e con lui vi lascio, chiedendovi di pregare per me e di ricordarmi ne[lla celebrazione de]i vostri sacrifici».
Forse è davvero provvidenziale questo Anno sacerdotale in un momento di gravissima crisi per la Chiesa. Forse la Chiesa è in crisi perché in crisi sono i suoi sacerdoti. La Chiesa ha bisogno di essere riformata; ma perché ciò accada, secondo la "divina madre", dobbiamo innanzi tutto "aver compassione di questa povera Sposa di Cristo", e poi dobbiamo disporci e decidere di cominciare a riformarla in noi stessi.
Cinquant'anni fa è stato convocato un Concilio, che si proponeva il rinnovamento della Chiesa. Quel Concilio ha scritto cose bellissime (anche riguardo ai sacerdoti), che però sono rimaste sulla carta; nella vita di ogni giorno, pur invocando sempre il Concilio e il suo "spirito", si è preferito far riferimento a ideologie che nulla avevano a che vedere con quel Concilio e con il suo vero spirito. Sarebbe ora, dopo cinquanta anni, di por mano alla vera riforma della Chiesa, cominciando da noi stessi, consapevoli che la Chiesa cambierà volto solo quando i suoi sacerdoti muteranno la loro mente e il loro cuore.
Secondo la Negri, il primo passo, perché ciò possa avvenire, consiste nella consapevolezza della dignità sacerdotale ("Ricordatevi del grado eccelso della vostra dignità"). In questi anni abbiamo fatto a gara a sminuire l'importanza del nostro ministero; oggi siamo invitati a riscoprire il privilegio di cui, senza alcun merito, siamo stati resi partecipi. Non rimane che corrispondere a tale grazia cosí da essere degni di quel sangue che beviamo e dispensiamo.
Da parte mia, senza volermi in alcun modo sovrapporre al Papa, ma solo nel desiderio di aggiungere qualche spunto di riflessione all'abbondante materiale da lui offertoci, mi piacerebbe riportare un testo sulla dignità del sacerdozio, scritto alcuni secoli fa, ma ancora estremamente attuale. Mi ha fatto piacere riscontrare sorprendenti affinità fra questo testo e alcune frasi di Papa Ratzinger e del Santo Curato d'Ars.
Si tratta di una lettera scritta dall'Angelica Paola Antonia Negri (1508-1555) al sacerdote veneziano Gaspare de Franceschi. Il titolo della lettera è, appunto, "Della dignità sacerdotale". Chi era Paola Antonia Negri?
Dovete sapere che il mio Fondatore, Sant'Antonio Maria Zaccaria (1502-1539), non fondò solo i Barnabiti (i "Chierici Regolari di San Paolo"), ma, accanto a loro, un ramo femminile (le "Angeliche di San Paolo") e uno laicale (i "Coniugati di San Paolo"). I tre "collegi", come venivano chiamati, costituivano un'unica famiglia spirituale (la "Congregazione di San Paolo"): Barnabiti, Angeliche e Coniugati pregavano e operavano insieme (finché le rigide norme tridentine non li obbligarono a separarsi). Siccome lo Zaccaria morí assai giovane, leader della nuova comunità divenne la carismatica maestra delle novizie, Paola Antonia Negri (chiamata "divina madre"), la quale presiedeva pure ai capitoli e prendeva le decisioni piú importanti (potete immaginare le reazioni...). Questa donna aveva una profondissima spiritualità e doveva esercitare un fascino straordinario, se è vero che, durante una missione in Veneto, tutti i rampolli della nobiltà veneziana volevano farsi Barnabiti (e infatti ben presto i "paolini" furono accusati di spionaggio, espulsi dai territori veneziani, e la Negri fu sottoposta a processo e allontanata dal suo monastero...).
I tempi in cui vissero Sant'Antonio Maria Zaccaria e l'Angelica Paola Antonia Negri erano tempi non facili, per molti versi simili ai nostri giorni. Anche allora si sentiva bisogno di una riforma della Chiesa: qualcuno pensò di attuarla consumando uno scisma e mettendo in discussione la tradizionale fede cattolica, altri — i santi — invece capirono che l'unico modo per rinnovare la Chiesa era quello di partire dal rinnovamento interiore di sé stessi. C'è una frase della Negri, a proposito delle condizioni della Chiesa del suo tempo, che mi ha colpito particolarmente: «Non dobbiamo scandalizzarci mai, se ben vedessimo la navicella di Cristo andare fluttuando, ma sempre perseverare nella fede» (lettera scritta ai Paolini di Venezia nell'Ottava dell'Epifania del 1549).
Ritroviamo la stessa ansia per la riforma della Chiesa nella lettera a Don Gaspare de Franceschi, scritta il 3 ottobre 1544:
«Io so, e non mi inganno, che questo ministero è tanto efficace, al punto che un vero sacerdote potrebbe costringere il Signore, che pure non può essere costretto, a capovolgere l'ordine della sua giustizia in somma misericordia; a ottenere qualunque grazia, come il ripristino dei corrotti costumi cristiani, la riforma degli uomini e della santa Chiesa. E questo perché è tanto grande l'amore che porta ai suoi consacrati, avendoli dotati di privilegi molto grandi, al punto che tutto possono con Dio: possono forzarlo in favore del suo popolo e riconciliarlo con lui. E se anche uno solo, che fosse secondo il suo cuore, potrebbe tanto, quanto potrebbero in molti?
Ma com'è insozzata la faccia della sua bella Sposa: il vino è fatto aceto, le uve sono mutate in lambrusche, il sale è scipito, l'abominazione è entrata nel luogo santo, la castità che dovrebbe essere nei ministri del sangue [di Cristo] è convertita in sporcizia, l'umiltà in ambizione, la liberalità in avarizia, la carità in invidia, la parsimonia in crapula, la pazienza e mansuetudine in ira e sdegno, la sollecitudine in inerzia; e in breve la virtú in vizio, la dolcezza in amarezza, la devozione in freddezza e tiepidezza. La mente, che dovrebbe essere abitacolo del Dio vivente, diventa ospizio di ogni cattivo e vano pensiero. Il cuore, che dovrebbe essere conservato con ogni custodia e diligenza, diventa preda di ogni nemico, albergo di ogni iniquità: tutto il mondo è posto in uno stato malvagio.
Perciò avete ragione, anima benedetta, nell'avere compassione di questa povera Sposa di Cristo e quindi disporvi e decidere di cominciare in voi stesso a riformarla, allontanandovi da ogni opera morta e collocandovi nel seno e nel grembo della pietà del celeste e benigno Padre vostro, che, siatene certo, non vi farà mancare il suo aiuto perché possiate portare a compimento il vostro giusto e santo desiderio. E tutto questo fatelo con cuore allegro, allontanando da voi ogni cosa che abbia somiglianza dell'uomo terreno. Ricordandovi del grado eccelso della vostra dignità, diventate e mantenetevi irreprensibile, cosí da essere degno del frutto del sangue [di Cristo] che assumete e servite ad altri.
Io non mi sottrarrò mai da quello che il Signore mi concederà di poter fare per aiutarvi a tradurre in pratica il desiderio che avete di essere fedele dispensatore e degno ministro [di Cristo]. Il che si degni di concedervi per sua pietà e misericordia; e con lui vi lascio, chiedendovi di pregare per me e di ricordarmi ne[lla celebrazione de]i vostri sacrifici».
Forse è davvero provvidenziale questo Anno sacerdotale in un momento di gravissima crisi per la Chiesa. Forse la Chiesa è in crisi perché in crisi sono i suoi sacerdoti. La Chiesa ha bisogno di essere riformata; ma perché ciò accada, secondo la "divina madre", dobbiamo innanzi tutto "aver compassione di questa povera Sposa di Cristo", e poi dobbiamo disporci e decidere di cominciare a riformarla in noi stessi.
Cinquant'anni fa è stato convocato un Concilio, che si proponeva il rinnovamento della Chiesa. Quel Concilio ha scritto cose bellissime (anche riguardo ai sacerdoti), che però sono rimaste sulla carta; nella vita di ogni giorno, pur invocando sempre il Concilio e il suo "spirito", si è preferito far riferimento a ideologie che nulla avevano a che vedere con quel Concilio e con il suo vero spirito. Sarebbe ora, dopo cinquanta anni, di por mano alla vera riforma della Chiesa, cominciando da noi stessi, consapevoli che la Chiesa cambierà volto solo quando i suoi sacerdoti muteranno la loro mente e il loro cuore.
Secondo la Negri, il primo passo, perché ciò possa avvenire, consiste nella consapevolezza della dignità sacerdotale ("Ricordatevi del grado eccelso della vostra dignità"). In questi anni abbiamo fatto a gara a sminuire l'importanza del nostro ministero; oggi siamo invitati a riscoprire il privilegio di cui, senza alcun merito, siamo stati resi partecipi. Non rimane che corrispondere a tale grazia cosí da essere degni di quel sangue che beviamo e dispensiamo.