Ho letto su AsiaNews una bellissima intervista a Padre Carlo Buzzi, missionario del PIME in Bangladesh, che, avendo scelto di vivere fra i musulmani, conosce bene quella realtà.
Ebbene, i due aspetti che, secondo Padre Buzzi, caratterizzano l'Islam sono la profonda fede in Dio e una vita regolata dalla religione (preghiera, digiuno, aiuto del prossimo). Per noi, che siamo abituati a giudicare tutto e tutti dall'alto in basso, potrebbe sembrare scontato; ma non lo è. Non lo è, perché in Occidente non ci sono piú né la fede né, tanto meno, la pratica cristiana. E proprio per questo non siamo capaci di riconoscere e accettare che in qualche altra parte del mondo ciò ancora esista. Siccome noi, succubi di secoli di razionalismo e illuminismo, non crediamo piú, pensiamo che non sia possibile che ci sia ancora qualcuno che creda veramente e si abbandoni totalmente in Dio. E cosí bolliamo la fede dei musulmani come "fanatismo".
Non parliamo poi della pratica religiosa. Ormai noi siamo "adulti"; non abbiamo piú bisogno di certe espressioni adatte a popoli ignoranti. Noi ce la intendiamo direttamente con Dio, come fa acutamente notare il missionario del PIME:
«Molti cristiani pensano: io parlo con Dio, me la intendo col Signore, non è necessario andare in chiesa, voglio bene a Dio e al prossimo, basta questo. Il musulmano no, sa che c’è una regola precisa che va osservata: pregare cinque volte al giorno, andare in moschea, fare il digiuno, fare l’elemosina legale, essere solidali con chi ha meno di noi, ecc.».
E perciò liquidiamo sbrigativamente l'Islam come farisaico e ipocrita. Sia ben chiaro, Padre Buzzi riconosce che ci siano ipocrisia, fariseismo, legalismo e costrizione nell'Islam; ma ciò non significa che tutti i musulmani siano ipocriti: la maggior parte di loro crede veramente in ciò che fa.
A parte la fede, che è un atteggiamento interiore su cui è ben difficile giudicare tanto fra i cristiani quanto fra i musulmani, credo che sia importante riflettere un attimino su questo secondo aspetto della religione, quello della disciplina esteriore. Noi ormai ci abbiamo rinunciato in maniera pressoché definitiva, perché lo consideriamo secondario se non addirittura superfluo. Fa notare Padre Buzzi:
«Noi mettiamo troppo l‘accento sul fatto interiore, sulla coscienza personale (che può anche essere oscurata, ignorante) e non sulla legalità dell’osservanza della Legge, i musulmani mettono troppo l’accento sulla pratica esteriore e legalistica e a volte anche farisaica della Legge».
Che ci sia un primato dell'interiorità sull'esteriorità, non ci piove. Il fatto è che, a forza di spiritualizzare il cristianesimo, esso si è talmente rarefatto, che è scomparso del tutto. L'osservanza esteriore, su cui forse esagerano i musulmani, ha la sua (relativa) importanza. Certo, se con essa pretendiamo di conquistarci la salvezza (come pensavano i farisei) siamo sulla strada sbagliata; ma quando l'osservanza è l'espressione di un atteggiamento di umiltà, di obbedienza, di "sottomissione" (= Islam) a Dio, essa non solo è importante, ma necessaria, indispensabile, perché ci pone nell'atteggiamento giusto che dobbiamo assumere di fronte a Dio. Di fronte a Dio non possiamo avere alcuna pretesa: se vogliamo essere salvati da lui, dobbiamo riconoscere la nostra condizione di mendicanti.
Senza considerare l'altro aspetto, sottolineato dal missionario: il carattere che crea la sottomissione a tale disciplina:
«Alle 6 del mattino, i bambini, piova o faccia sole, con la loro piccola stuoia sotto il braccio, vanno in moschea e vi rimangono fin verso le sette. L’islam è radicato perché costa fatica pregare cinque volte al giorno, alzarsi presto, la circoncisione che fanno a sei-sette-otto anni è una grande sofferenza. Poi il digiuno, che è un fatto comunitario, un’emulazione l’un con l’altro: Hai fatto il digiuno? Io l’ho fatto…. Il digiuno è un sacrificio, ma lo affrontano con grande determinazione. Poi c’è la preghiera. Alzarsi alle cinque per pregare tutti i giorni segna la vita, crea carattere, decisione, spirito di sacrificio. L’islam io vedo che è forte perché crea persone che vivono la fede con convinzione».
Esattamente ciò che noi abbiamo definitivamente perso. Che cosa possiamo attenderci da un Occidente il cui unico ideale di vita, scrupolosamente inculcato fin dai primi anni di vita è: divertirsi? Per questo abbiamo paura dell'Islam: non perché sono terroristi e vogliono costruirsi la bomba atomica (come qualcuno vorrebbe farci credere), ma perché sono spiritualmente piú forti di noi.
Ma noi siamo cristiani; loro no! Mi spiace, noi non siamo piú cristiani: abbiamo abiurato la nostra fede. È vero, i musulmani non riconoscono la divinità di Cristo; ma sono nella condizione di poterlo incontrare: il loro atteggiamento è quello proprio dei "poveri del Signore", pronti ad accogliere la salvezza quando questa si manifesterà loro. Non mi sembra casuale che ci sia in loro una certa ammirazione del cristianesimo: evidentemente, ne afferrano la superiorità. E questo, penso, sia sufficiente, per essere graditi a Dio. Con Pietro posso dire: «In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto» (At 10:34-35). Che Dio si stia preparando un popolo che ci rimpiazzi, quando si sarà consumata l'apostasia?
Ebbene, i due aspetti che, secondo Padre Buzzi, caratterizzano l'Islam sono la profonda fede in Dio e una vita regolata dalla religione (preghiera, digiuno, aiuto del prossimo). Per noi, che siamo abituati a giudicare tutto e tutti dall'alto in basso, potrebbe sembrare scontato; ma non lo è. Non lo è, perché in Occidente non ci sono piú né la fede né, tanto meno, la pratica cristiana. E proprio per questo non siamo capaci di riconoscere e accettare che in qualche altra parte del mondo ciò ancora esista. Siccome noi, succubi di secoli di razionalismo e illuminismo, non crediamo piú, pensiamo che non sia possibile che ci sia ancora qualcuno che creda veramente e si abbandoni totalmente in Dio. E cosí bolliamo la fede dei musulmani come "fanatismo".
Non parliamo poi della pratica religiosa. Ormai noi siamo "adulti"; non abbiamo piú bisogno di certe espressioni adatte a popoli ignoranti. Noi ce la intendiamo direttamente con Dio, come fa acutamente notare il missionario del PIME:
«Molti cristiani pensano: io parlo con Dio, me la intendo col Signore, non è necessario andare in chiesa, voglio bene a Dio e al prossimo, basta questo. Il musulmano no, sa che c’è una regola precisa che va osservata: pregare cinque volte al giorno, andare in moschea, fare il digiuno, fare l’elemosina legale, essere solidali con chi ha meno di noi, ecc.».
E perciò liquidiamo sbrigativamente l'Islam come farisaico e ipocrita. Sia ben chiaro, Padre Buzzi riconosce che ci siano ipocrisia, fariseismo, legalismo e costrizione nell'Islam; ma ciò non significa che tutti i musulmani siano ipocriti: la maggior parte di loro crede veramente in ciò che fa.
A parte la fede, che è un atteggiamento interiore su cui è ben difficile giudicare tanto fra i cristiani quanto fra i musulmani, credo che sia importante riflettere un attimino su questo secondo aspetto della religione, quello della disciplina esteriore. Noi ormai ci abbiamo rinunciato in maniera pressoché definitiva, perché lo consideriamo secondario se non addirittura superfluo. Fa notare Padre Buzzi:
«Noi mettiamo troppo l‘accento sul fatto interiore, sulla coscienza personale (che può anche essere oscurata, ignorante) e non sulla legalità dell’osservanza della Legge, i musulmani mettono troppo l’accento sulla pratica esteriore e legalistica e a volte anche farisaica della Legge».
Che ci sia un primato dell'interiorità sull'esteriorità, non ci piove. Il fatto è che, a forza di spiritualizzare il cristianesimo, esso si è talmente rarefatto, che è scomparso del tutto. L'osservanza esteriore, su cui forse esagerano i musulmani, ha la sua (relativa) importanza. Certo, se con essa pretendiamo di conquistarci la salvezza (come pensavano i farisei) siamo sulla strada sbagliata; ma quando l'osservanza è l'espressione di un atteggiamento di umiltà, di obbedienza, di "sottomissione" (= Islam) a Dio, essa non solo è importante, ma necessaria, indispensabile, perché ci pone nell'atteggiamento giusto che dobbiamo assumere di fronte a Dio. Di fronte a Dio non possiamo avere alcuna pretesa: se vogliamo essere salvati da lui, dobbiamo riconoscere la nostra condizione di mendicanti.
Senza considerare l'altro aspetto, sottolineato dal missionario: il carattere che crea la sottomissione a tale disciplina:
«Alle 6 del mattino, i bambini, piova o faccia sole, con la loro piccola stuoia sotto il braccio, vanno in moschea e vi rimangono fin verso le sette. L’islam è radicato perché costa fatica pregare cinque volte al giorno, alzarsi presto, la circoncisione che fanno a sei-sette-otto anni è una grande sofferenza. Poi il digiuno, che è un fatto comunitario, un’emulazione l’un con l’altro: Hai fatto il digiuno? Io l’ho fatto…. Il digiuno è un sacrificio, ma lo affrontano con grande determinazione. Poi c’è la preghiera. Alzarsi alle cinque per pregare tutti i giorni segna la vita, crea carattere, decisione, spirito di sacrificio. L’islam io vedo che è forte perché crea persone che vivono la fede con convinzione».
Esattamente ciò che noi abbiamo definitivamente perso. Che cosa possiamo attenderci da un Occidente il cui unico ideale di vita, scrupolosamente inculcato fin dai primi anni di vita è: divertirsi? Per questo abbiamo paura dell'Islam: non perché sono terroristi e vogliono costruirsi la bomba atomica (come qualcuno vorrebbe farci credere), ma perché sono spiritualmente piú forti di noi.
Ma noi siamo cristiani; loro no! Mi spiace, noi non siamo piú cristiani: abbiamo abiurato la nostra fede. È vero, i musulmani non riconoscono la divinità di Cristo; ma sono nella condizione di poterlo incontrare: il loro atteggiamento è quello proprio dei "poveri del Signore", pronti ad accogliere la salvezza quando questa si manifesterà loro. Non mi sembra casuale che ci sia in loro una certa ammirazione del cristianesimo: evidentemente, ne afferrano la superiorità. E questo, penso, sia sufficiente, per essere graditi a Dio. Con Pietro posso dire: «In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto» (At 10:34-35). Che Dio si stia preparando un popolo che ci rimpiazzi, quando si sarà consumata l'apostasia?