Caterina, dopo aver letto i miei post sulla nuova traduzione italiana della Bibbia, mi chiede di allargare il discorso alla traduzione dei testi liturgici contenuti nel Messale Romano. E lo fa rinviandomi a un post del blog Cantuale Antonianum dello scorso maggio: “La traduzione politicamente corretta”.
Come si può vedere, avevo già commentato quel post con un «Puntuale, come al solito. Complimenti». Un commento che non posso che confermare anche in questa sede. Dobbiamo essere davvero grati a “fr. A. R.” per l’opera che sta portando avanti in favore della liturgia. Quello che fa maggiormente piacere è che non lo faccia con lo spirito nostalgico e le prevenzioni di tanti tradizionalisti dell’ultim’ora, ma in maniera intelligente.
Il post citato da Caterina dimostra una cosa solitamente messa in dubbio dai tradizionalisti: che coloro che hanno lavorato alla riforma liturgica hanno lavorato seriamente; i testi del Missale Romanum, oltre che essere ineccepibili dal punto di vista dottrinale, sono da ammirare e gustare per la loro bellezza. Certo, si potrà pure discutere su qualche singolo testo (soprattutto quelli di nuova composizione), ma nell’insieme non si può negare «la ricchezza spirituale e la profondità teologica di questo Messale» (Benedetto XVI, Lettera ai vescovi di tutto il mondo per presentare il motu proprio “Summorum Pontificum”, 7 luglio 2007).
I problemi sono nati con la traduzione del Messale nelle diverse lingue. Se devo essere sincero, fino a non molto tempo fa ero convinto che la traduzione italiana non fosse poi cosí male. Soprattutto se confrontata con la traduzione inglese ancora in vigore (che, piú che una traduzione, era una libera rielaborazione nel segno della piú assoluta banalità), la traduzione italiana appariva, tutto sommato il “meno peggio”.
Giustamente fr. A. R. ci fa notare invece come non si tratta affatto di una traduzione fedele; anzi, in certi passaggi, essa si dimostra addirittura illogica. Si potrà pure concedere che i traduttori furono un po’ condizionati dall’urgenza (per quanto quella che abbiamo fra mano non è, come nel caso della traduzione inglese, la prima edizione del Messale, ma la seconda) e — diciamolo pure — dal contesto culturale in cui lavorarono, che portava appunto a censurare alcuni concetti non “politicamente corretti”.
Ciò che appare invece assolutamente incomprensibile e inaccettabile è come mai, dopo circa dieci anni dalla pubblicazione dell’editio typica tertia del Missale Romanum, non solo non ne abbiamo ancora la traduzione italiana, ma — a quanto se ne sa — non è stata neppure intrapresa. Se non altro gli anglofoni, che per quarant’anni hanno dovuto sorbirsi la loro pessima traduzione, ora sanno che il prossimo anno potranno godersi la nuova versione, che si annuncia non solo fedele all’originale latino, ma anche bella dal punto di vista letterario. Per il momento non ho avuto modo di consultare il Proprio; è però a disposizione online il testo dell’Ordinario della Messa.
Che cosa stia succedendo in Italia, nessuno lo sa. Ciò appare tanto piú sorprendente, in quanto finora la Chiesa italiana era apparsa sempre all’avanguardia (si pensi, per esempio, al Messale della Beata Vergine Maria, tradotto in pochi mesi, in occasione dell’Anno mariano), tanto da costituire poi un punto di riferimento per altre conferenze episcopali.
Si potrebbe pensare che ciò che viene oggi richiesto dall’istruzione Liturgiam authenticam (28 marzo 2001), vale a dire una traduzione fedele dell’originale latino, sia pressoché irrealizzabile. Una traduzione “dinamica” dovrebbe necessariamente subentrare a una impossibile traduzione “statica”. Fr. A. R., nel suo piccolo, ci dimostra invece che è possibile tradurre fedelmente l’originale latino, senza con questo renderci incomprensibili. Semmai, incomprensibili sono molti testi “politicamente corretti” che infarciscono le nostre attuali liturgie (si pensi a certe intenzioni della preghiera dei fedeli…).
Ma forse non tutto il male vien per nuocere. Il ritardo nella pubblicazione della traduzione italiana della terza edizione del Missale Romanum potrebbe essere provvidenziale. Dopo l’elezione di Benedetto XVI molte cose stanno cambiando in campo liturgico, per esempio riguardo a una rivalutazione del latino nella celebrazione. A questo proposito, mi pare molto interessante un recente post di Cantuale Antonianum, dove si propone la stampa di messali bilingui, in latino e in italiano.
La proposta mi trova pienamente d’accordo, anche se l’esperienza mi insegna che oggi è veramente difficile trovare sacerdoti (e vescovi!) che conoscano il latino. Ma questo è il risultato di una certa politica, fatta di tante piccole scelte che, a poco a poco, hanno portato alla marginalizzazione del latino nella vita della Chiesa. Tra queste piccole scelte si può annoverare anche la decisione, in Italia, di pubblicare il Missale parvum separatamente (era inevitabile che in tal modo finisse nelle biblioteche), mentre invece esso era destinato a essere pubblicato in appendice ai messali nelle lingue vernacole. Per fortuna, in questo caso non si può scaricare la responsabilità sul povero Paolo VI, che invece fece di tutto per salvaguardare l’uso del latino nella liturgia. Alle prove portate da fr. A. R. personalmente posso aggiungere alcuni ricordi personali. Tutti gli anni, quando, all’inizio della Quaresima, riceveva il clero romano, lasciava loro sempre un dono: un anno fu, appunto, il Missale parvum, e un altro anno addirittura l’intero lezionario latino. Nel 1977 fece pubblicare un Missale Romanum cum lectionibus in quattro volumi in formato tascabile (come i volumi della Liturgia delle ore), oggi praticamente introvabile. Paolo VI desiderava vivamente che la liturgia rimanesse “latina” almeno per il clero; altri, non so se in mala fede o se presagendo l’evoluzione dei tempi, lavorarono per la pratica scomparsa del latino.
I tempi sembrano ormai maturi per un maggiore equilibrio. Una nuova edizione del Messale, che contenga il testo latino con accanto una nuova traduzione, piú fedele all’originale, penso che sarebbe un grande contributo in questo senso.