«Partiamo male!», avrebbe detto un vaticanista inglese alla conferenza stampa per la presentazione del motu proprio con cui si istituisce il nuovo “Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione”. Perché, secondo il giornalista, si sarebbe partiti male? Perché la lettera apostolica Ubicumque et semper è stata pubblicata soltanto in latino (il testo ufficiale) e nella traduzione italiana.
Certo, si potrebbe ribattere al vaticanista che, di per sé, la Santa Sede non sarebbe tenuta a fornire le traduzioni dei suoi documenti in tutte le lingue: potrebbe essere sufficiente pubblicare i documenti nella lingua ufficiale della Chiesa (il latino); altri poi dovrebbero provvedere a tradurli (è ciò che di fatto è già avvenuto: Zenit ha già tradotto il motu proprio in inglese e spagnolo). Probabilmente un tempo avveniva proprio cosí; ma — diciamoci la verità — è tollerabile che oggi, sia per la generalizzata ignoranza del latino, sia per la effettiva internazionalizzazione della Chiesa, un documento venga pubblicato, oltre che nel suo testo originale, esclusivamente in traduzione italiana? Ci credo che poi parlano di “deitalianizzare” la Curia!
Ma quello che mi interessa non è tanto il fatto in sé stesso, quanto una situazione generale della Curia Romana, di cui quel fatto è solo una manifestazione. Mi spiego: ho l’impressione che, negli ultimi tempi, si stiano moltiplicando le occasioni che dimostrano la superficialità, l’improvvisazione, il pressappochismo di chi gestisce attualmente l’apparato curiale.
Gli esempi piú recenti che mi vengono in mente: un anno fa fu annunciata l’istituzione di ordinariati personali per l’accoglienza di gruppi di anglicani che chiedono di essere ammessi nella Chiesa cattolica; la relativa costituzione apostolica fu pubblicata solo dopo alcune settimane. Durante l’Anno sacerdotale era stato annunciato che esso si sarebbe concluso con la proclamazione del Santo Curato d’Ars come patrono dei sacerdoti; alla fine non se ne fece nulla. Prima del recente viaggio nel Regno Unito, era stato annunciato che il Papa avrebbe utilizzato nelle liturgie la nuovissima traduzione inglese, appena approvata, del Messale Romano; poi invece è stata usata la vecchia versione. A questo si potrebbero aggiungere le mancate traduzioni — che hanno rovinato l’estate di Raffaella… — dei documenti papali sul sito della Santa Sede (qualcuno era arrivato al punto di ipotizzare un vero e proprio boicottaggio nei confronti del Santo Padre).
Capisco che si tratta di fenomeni di diversissima natura, che possono essere spiegati in tanti modi diversi. Ma c’è una cosa che li accomuna tutti: dànno un’impressione di scarsa professionalità. Mi chiedo: che bisogno c’è di annunciare qualcosa, quando non si è sicuri che poi quella cosa si realizzerà? In certi casi, meglio stare zitti. Talvolta sembra quasi che ci si voglia fare belli a divulgare una notizia, quando non è ancora del tutto sicura, senza rendersi conto che certe decisioni richiedono diversi passaggi e a un certo punto potrebbero, per un motivo o per l’altro, incepparsi. Cosí per le traduzioni: non si potrebbe attendere un giorno in piú per la conferenza stampa, in modo da avere a disposizione le diverse traduzioni? Se a Zenit riescono ad approntarle in poche ore, perché questo non dovrebbe essere possibile in Curia? Ripeto: scarsa professionalità.
Direte: nihil sub sole novi; da che mondo è mondo (pardon, da che Chiesa è Chiesa), è sempre stato cosí. Il Card. Biffi era solito replicare, a quanti sostengono che la Chiesa è una grande organizzazione internazionale, che in realtà si tratta della piú grande disorganizzazione di tutti i tempi. A volere, si potrebbe anche usare tale disorganizzazione come ulteriore prova della soprannaturalità della Chiesa: se essa è riuscita a sopravvivere nonostante tale disorganizzazione, vuol dire proprio che non è una realtà puramente umana.
Ma ciò non toglie che la disorganizzazione rimanga e vada condannata. A tale disorganizzazione non possono essere attribuite cause preternaturali (è colpa del diavolo…), ma puramente umane. Se in Curia ci sono degli incompetenti, sarebbe bene che si facessero da parte. Altrimenti saremo costretti a concludere che, quando il Santo Padre nei suoi interventi parla di arrivismo e carrierismo fra il clero, non stia parlando in generale, ma si riferisca a qualche situazione particolare a lui nota.