domenica 31 ottobre 2010

Il gioco delle parti

Ho l’impressione che abbiano avuto poca risonanza le rivelazioni fatte dal Vescovo Bernard Fellay in una recente conferenza alla Angelus Press (la casa editrice della FSSPX negli Stati Uniti), in occasione del 40° anniversario della fondazione della Fraternità. Ne ha riferito Brian McCall su The Remnant (traduzione italiana di ampi stralci dell’articolo su Messainlatino.it; a chi conosce l’inglese non posso che consigliare la lettura diretta dell’originale). Io, da parte mia, non faccio che ripensarci; perché tali rivelazioni sovvertono completamente l’idea che ci eravamo fatta della situazione. Finora pensavamo che la Fraternità fondata da Mons. Lefebvre, da quando questi aveva ordinato illecitamente quattro Vescovi, non fosse piú in piena comunione con la Chiesa cattolica. Sapevamo pure che l’attuale Pontefice ha molto a cuore una riconciliazione con i lefebvriani, e per questo ha, prima, liberalizzato la celebrazione della Messa tridentina; ha poi revocato la scomunica ai quattro Vescovi; ha infine iniziato una serie di colloqui volti a superare le divergenze dottrinali e favorire cosí la riconciliazione. Ma, stando alla nota della Segreteria di Stato del 4 febbraio 2009, sapevamo pure che la FSSPX «non gode di alcun riconoscimento canonico nella Chiesa cattolica» e che, di conseguenza, i quattro Vescovi non esercitano lecitamente il loro ministero (lo stesso si poteva pensare dei sacerdoti della Fraternità, illecitamente ordinati da quei Vescovi).

Ed ecco che Mons. Fellay ci rivela che non è vero niente; che la realtà è completamente diversa. Con ciò non voglio dire che non credo al Superiore generale della FSSPX; non c’è nessun motivo per mettere in dubbio le sue parole; quel che racconta non solo è pienamente verosimile, ma è, anzi, l’unica spiegazione plausibile per tanti aspetti che finora rimanevano incomprensibili. Ma la cosa è talmente grossa, che io — confesso — sono rimasto sconvolto. Non che quanto rivelato mi dispiaccia (semmai, conferma la mia posizione sulla questione); rimango però stupefatto dalla duplicità della Santa Sede. Probabilmente, il primo a essere stupefatto è proprio Mons. Fellay, il quale è giunto a concludere che la Santa Sede abbia adottato una politica bifronte in seguito a tutta una serie di esperienze fatte in questi anni. 

Le prove che porta sono fondamentalmente tre. La piú convincente mi sembra la prima, riguardante la giurisdizione per l’ascolto delle confessioni: quando i sacerdoti della Fraternità ricorrono alla Santa Sede per i casi riservati, questa non ha nulla da eccepire e concede loro il potere di assolvere, riconoscendo cosí indirettamente la validità delle loro assoluzioni. Personalmente trovo tale argomento fortissimo anche perché dimostra un riconoscimento della Santa Sede da parte della Fraternità: i suoi sacerdoti non si arrogano poteri che non hanno, ma — va detto a loro onore — ricorrono alla Sede Apostolica come farebbe qualsiasi altro sacerdote cattolico.

La seconda prova non mi sembra che abbia grande valore. Mi pare ovvio che se un sacerdote (validamente ordinato) lascia la FSSPX per entrare in una diocesi o in un istituto o in una società che godono di riconoscimento canonico, la Santa Sede lo può tranquillamente dispensare da eventuali irregolarità e impedimenti all’esercizio del ministero. È diverso il caso degli Anglicani: in tal caso la Chiesa non riconosce la validità dei loro ordini, e perciò è necessario essere riordinati per poter svolgere il ministero.

Interessante anche la terza prova, quella di un “riconoscimento temporaneo” della Fraternità, concesso, nel marzo 2009, in cambio dello spostamento delle ordinazioni dalla Germania in Svizzera. La cosa, per quanto possa apparire bizzarra, ha un suo senso. Soprattutto perché, anche in questo caso, si è trattato di un reciproco riconoscimento: la Santa Sede ha riconosciuto la validità e la liceità di quelle ordinazioni; la FSSPX ha riconosciuto l’autorità della Santa Sede, acconsentendo alla richiesta che le veniva rivolta.

Nell’ambito di questa terza rivelazione risulta abbastanza stupefacente l’affermazione attribuita a un porporato vaticano (tutto porta a pensare che si tratti del Card. Castrillón Hoyos), secondo cui il Papa non avrebbe condiviso quanto ufficialmente dichiarato nella nota della Segreteria di Stato del 4 febbraio 2009. Non che una cosa del genere non possa accadere (anzi, ci credo senza esitazioni); ma, secondo me, una cosa del genere non dovrebbe accadere. Ora, se è accaduta, perché è accaduta?

La risposta che azzarda Mons. Fellay è che il Papa non è libero di procedere al riconoscimento della Fraternità ed è costretto a seguire una politica bifronte, perché è condizionato dall’opposizione di alcuni episcopati. A questo proposito, mi permetto di far notare (non ho capito bene se ne abbia parlato Mons. Fellay o se sia una deduzione dell’articolista) che la collegialità in questo caso non c’entra nulla. La collegialità è una cosa seria; non può essere confusa con una subdola opposizione di qualche conferenza episcopale al volere del Santo Padre. Di che cosa si tratta? E qui veniamo alla rivelazione secondo me piú esplosiva della conferenza.

A quanto pare, già nel 2005 Benedetto XVI avrebbe avuto intenzione di risolvere la partita con i lefebvriani erigendo per loro una amministrazione apostolica. Pare che il decreto fosse già pronto e avesse solo bisogno di qualche ritocco giuridico. A questo punto sembra che si sia mosso l’episcopato tedesco per bloccare il progetto (minacciando qualcosa?). Sta di fatto che non se ne fece nulla e si passò a quello che ha tanto l’aria di essere un piano alternativo, che è poi ciò che tutti conosciamo: motu proprio Summorum Pontificum, revoca della scomunica, colloqui dottrinali (devo dire sinceramente che, secondo me, tale piano alternativo si è rivelato molto piú problematico di quello originario).

Che il grosso ostacolo alla libertà di azione di Benedetto XVI fosse costituito dagli episcopati di lingua tedesca, lo si era capito da un pezzo. Ma che si fosse arrivati a questo punto, non lo avrei mai sospettato. Ora, stando cosí le cose, c’è da pensare che con questo Papa non si arriverà mai a una soluzione della questione lefebvriana. Si dovrà aspettare un Papa libero da condizionamenti etnici (vedete che, tutto sommato, l’essere italiano per un Papa aveva i suoi vantaggi…) e, nel frattempo, andare avanti con l’attuale “gioco delle parti”.

Direi però che, nel frattempo, qualche cosa si potrebbe fare. Certamente, come ci ricorda Brian McCall e come lo stesso Benedetto XVI aveva chiesto all’inizio del pontificato, dobbiamo pregare per il Papa, perché il Signore non lo faccia fuggire di fronte ai “lupi”. Ma, oltre a questo, direi che un po’ piú di chiarezza non guasterebbe. Sono d’accordo che in certe situazioni bisogna dare un colpo alla botte e un colpo al cerchio: chi ha una responsabilità non può sempre seguire il proprio istinto, ma deve necessariamente tener conto di tutte le parti in gioco. Non è possibile, per ricucire uno strappo, provocarne uno maggiore. Però non penso che giovino a nessuno le sceneggiate. Io non so se il riferimento di McCall al film A Man for All Seasons sia solo un tentativo personale di interpretazione o se effettivamente esso descriva la realtà. In ogni caso, penso che, se non è possibile oggi giungere a un riconoscimento de jure della FSSPX, ci potrebbero perlomeno essere risparmiate le note della Segreteria di Stato a cui non crede neppure il Papa. In certi casi, sarebbe meglio il silenzio.

Se poi è vero che la FSSPX, a sua volta, riconosce di fatto l’autorità della Santa Sede, anch’essa farebbe bene a evitare certe sterili polemiche (che a questo punto appaiono pura accademia) e a concentrarsi sulla preghiera, lo studio e l’apostolato svolto in piena comunione col Santo Padre. Sapendo che il Papa apprezza il loro lavoro, i lefebvriani dovrebbero, secondo me, ricambiare tale fiducia sostenendo con tutte le forze la sua azione, senza creargli inutili difficoltà.