In un articolo pubblicato ieri su OnePeterFive, Maike Hickson (foto) si chiede: “Potrebbe
l’aneddoto raccontato sulla rivista dei Cappuccini essere la chiave per svelare
i piani del Papa sull’ordinazione delle donne?”.
Di che si tratta? Si tratta di un aneddoto narrato tre anni fa (2014)
nell’editoriale del numero di aprile della rivista dei Cappuccini svizzeri Ite dal Direttore Fra Adrian Müller.
L’originale è in tedesco; non conoscendo il tedesco, vi traduco in italiano la versione
inglese della Hickson:
Papa Francesco non risiede nell’appartamento pontificio, ma piuttosto nell’albergo del Vaticano [l’Ospizio Santa Marta]. Lí le Guardie [Svizzere] hanno il compito di proteggere il Papa o, talvolta, quando mette la testa fuori dalla porta, andare a prendergli un caffè. Al nuovo Vescovo di Roma non piace fare colazione da solo. Perciò, di solito, si siede ogni volta accanto a qualcuno e incomincia a parlare con lui. In una di tali occasioni, pare che sia avvenuto il seguente incontro:
Si dice che Papa Francesco si sia seduto una mattina di fronte a un Arcivescovo e abbia portato il discorso sulla questione del sacerdozio femminile. Poi avrebbe chiesto al suo compagno di tavola che cosa ne pensasse. Quello taceva, non sapendo come rispondere a questa domanda. Dopo un momento di silenzio, si dice che Francesco abbia replicato: “Sí, sí, entrambi i miei predecessori ci hanno chiuso la porta”. Quindi, ridendo, avrebbe detto: “Per fortuna, io ho le chiavi”.
L’autore dell’editoriale si chiede “quali chiavi il Successore di Pietro
effettivamente ha?”. Beh, direi che la risposta sia abbastanza semplice: il
Papa ha le “chiavi del regno”, che Cristo ha consegnato a Pietro e ai suoi
successori: «A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai
sulla terra sarà legato nei cieli, tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà
sciolto nei cieli» (Mt 16:19). Penso che quella del Papa sia stata nulla piú
che una battuta sulle proprie prerogative. Anche se, personalmente, non la
trovo di buon gusto (sono stato educato all’adagio “scherza coi fanti e lascia
stare i santi”). Ma sappiamo che a Papa Bergoglio piace scherzare, e quindi
siamo pronti a perdonargli anche una battuta forse un po’ sopra le righe.
Quel che invece desta qualche preoccupazione è il contesto in cui è stata
fatta la battuta: una conversazione, per quanto inter pocula, sul
sacerdozio alle donne. Perché scegliere proprio un argomento cosí delicato per
fare una battuta che potrebbe essere facilmente fraintesa? In altre occasioni,
lo stesso Pontefice ha confermato che su tale questione non c’è spazio per ripensamenti:
Sull’ordinazione di donne nella Chiesa Cattolica, l’ultima parola chiara è stata data da San Giovanni Paolo II, e questa rimane. Questo rimane (Conferenza stampa durante il volo di ritorno dalla Svezia, 1° novembre 2016).
Allora, perché scherzarci sopra?
In ogni caso — senza con questo voler fare i musoni che non riescono
neppure a capire una battuta, ma solo per mettere i puntini sulle “i” — forse
val la pena di chiarire (non certo al Papa, che lo sa bene, ma ai miei
lettori) che il “potere delle chiavi” dato da Gesú a Pietro (e solo a lui, a
differenza del “potere di legare e sciogliere”, dato anche agli altri apostoli)
non è un potere assoluto: è un potere supremo (nel senso che è superiore
a qualsiasi altro potere umano), ma non è assoluto (nel senso che non è
sciolto da qualsiasi altro potere, avendo sopra di sé l’autorità di Cristo,
Capo della Chiesa).
Ci siamo occupati del “potere delle chiavi” in un recente post,
a cui rimandiamo. Qui ci limiteremo a ricordare quanto afferma in proposito il Catechismo
della Chiesa Cattolica:
Il “potere delle chiavi” designa l’autorità per governare la casa di Dio, che è la Chiesa. Gesú, il “Buon Pastore” (Gv 10:11), ha confermato tale incarico dopo la risurrezione: “Pasci le mie pecorelle” (Gv 21:15-17). Il potere di “legare e sciogliere” indica l’autorità di assolvere dai peccati, di pronunciare giudizi in materia di dottrina e prendere decisioni disciplinari nella Chiesa. Gesú ha conferito tale autorità alla Chiesa attraverso il ministero degli Apostoli [cf Mt 18:18] e particolarmente di Pietro, il solo cui ha esplicitamente affidato le chiavi del Regno (n. 553).
Dunque, il “potere delle chiavi” consiste nell’autorità per governare la
Chiesa. Piú avanti il Catechismo aggiunge:
Del solo Simone, al quale diede il nome di Pietro, il Signore ha fatto la pietra della sua Chiesa. A lui ne ha affidato le chiavi [cf Mt 16:18-19]; l’ha costituito pastore di tutto il gregge [cf Gv 21:15-17] (n. 881).
Il Papa, Vescovo di Roma e successore di San Pietro, “è il perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità sia dei Vescovi sia della moltitudine dei fedeli” [LG 23]. “Infatti il Romano Pontefice, in virtú del suo ufficio di Vicario di Cristo e di Pastore di tutta la Chiesa, ha sulla Chiesa la potestà piena, suprema e universale, che può sempre esercitare liberamente” [LG 22; cf CD 2 e 9] (n. 882).
Dunque, il potere del Papa è “pieno, supremo e universale”, ma non
assoluto.
Il Concilio Vaticano I, che ha definito il dogma del primato del Romano
Pontefice (di solito si insiste di piú sull’infallibilità, senza rendersi conto
che si tratta solo di un necessario corollario del primato), ha solennemente
dichiarato:
Se uno dice che il Romano Pontefice ha solo un ufficio di ispezione o direzione, ma non la piena e suprema potestà di giurisdizione su tutta la Chiesa, non solo nelle cose che riguardano la fede e i costumi, ma anche in quelle che riguardano la disciplina e il governo della Chiesa diffusa su tutta la terra; o [se uno dice] che egli avrebbe solo la parte piú importante, ma non tutta la pienezza di questa suprema potestà; o [se uno dice] che la sua potestà non è ordinaria e immediata su tutte e singole le chiese [particolari] e su tutti e singoli i pastori e fedeli: anathema sit (Denzinger-Schönmetzer, n. 3064).
Siccome però ci furono, soprattutto in Germania, delle interpretazioni errate
della suddetta definizione, l’Episcopato tedesco emanò una dichiarazione
(gennaio-febbraio 1875), successivamente ratificata dal Papa Pio IX, in cui si precisava
la vera natura del primato pontificio:
I decreti del Concilio Vaticano non forniscono neppure un’ombra di fondamento all’asserzione, secondo cui il Papa con essi sarebbe diventato un principe assoluto, e anzi, in forza dell’infallibilità, assolutissimo, “piú di qualsiasi altro monarca assoluto nel mondo”. Innanzi tutto, il dominio della potestà ecclesiastica del Pontefice è essenzialmente diverso dal principato civile del monarca; né in alcun modo i cattolici negano la piena e somma potestà del signore di un territorio per quanto riguarda le questioni civili. Ma inoltre neppure rispetto alle questioni ecclesiastiche il Papa può chiamarsi un monarca assoluto, essendo lui subordinato al diritto divino e obbligato a ciò che Cristo ha disposto per la sua Chiesa. Egli non può mutare la costituzione data alla Chiesa dal divin fondatore, analogamente a quanto fa il legislatore civile che può mutare la costituzione dello Stato. La costituzione della Chiesa in tutti gli aspetti essenziali si fonda sull’ordinamento divino e perciò è immune da ogni arbitraria disposizione umana (Denzinger-Schönmetzer, n. 3114).
Piú chiaro di cosí! Tornando alla nostra questione (il sacerdozio
femminile), essa è appunto uno degli “aspetti essenziali” della costituzione della Chiesa, che nessuno — neppure il Papa — può modificare. Nella malaugurata
ipotesi che un giorno un Papa decidesse di cambiare l’attuale disciplina, la
sua decisione sarebbe semplicemente nulla; e i Vescovi che imponessero le mani
a una donna, non le farebbero altro che una carezza sulla chioma e
incorrerebbero nella scomunica latae sententiae riservata
alla Sede Apostolica (Normae de gravioribus delictis, 21 maggio 2010, art. 5).
Per cui, direi di starsene tranquilli, nessuno potrà mai attentare alla
costituzione divina della Chiesa.
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