In questi giorni si fa un gran parlare di Paolo VI. L'occasione è data dalla pubblicazione del libro di Andrea Tornielli, Paolo VI. L'audacia di un Papa, Mondadori. Significa che il vaticanista del Giornale ha fatto un buon lavoro. Peccato che, almeno per il momento, non posso leggerlo; speriamo di poterlo fare quanto prima. Qui vorrei soltanto portare, per quanto può valere, la mia testimonianza personale su Papa Montini.
Anche se, come dice Messori, Tornielli "smentisce gli stereotipi su Paolo VI", quegli stereotipi, a quanto pare, fanno fatica a scomparire. Tutte le volte che si scrive qualcosa su di lui, si ripetono sempre le solite banalità: Papa amletico, raffinato intellettuale, distaccato e incompreso dalle folle, ecc. ecc. Ma è mai possibile che ancora non ci si renda conto che siamo tutti vittime di campagne mediatiche? Chi ha deciso che Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II sono stati Papi amati dalle folle, mentre Paolo VI e Benedetto XVI non riescono a incontrare il favore popolare? I media. Ma siamo proprio cosí sicuri che ciò corrisponda alla realtà?
Personalmente ritengo che Paolo VI sia stato uno dei piú grandi Papi del XX secolo. Ha un merito grandissimo: ha saputo portare a conclusione il Concilio (impresa certo non facile) e poi ha realizzato l'applicazione del Concilio (impresa ancora piú difficile). La Chiesa, grazie al Cielo, è guidata dallo Spirito di Dio: forse c'era bisogno di un Papa un tantino incosciente come Giovanni XXIII per convocare il Vaticano II, ma certamente lui non si rendeva conto di che cosa bolliva in pentola e di che cosa avrebbe significato convocare un Concilio. Come giustamente ricorda Messori, Papa Roncalli pensava di cavarsela in pochi mesi, con l'approvazione unanime degli schemi preparati dalla Curia Romana; pensava di ripetere per la Chiesa intera l'esperienza del Sinodo Romano (e questo la dice lunga sul tanto sbandierato "progressismo" del "Papa Buono"). Una volta avviato il Concilio, ci pensò la Provvidenza a sostituire il direttore d'orchestra. Montini era certamente ben visto dai novatores (per la sua apertura mentale e la sua formazione), ma ben presto questi cambiarono il loro giudizio su colui che speravano avrebbe realizzato i loro piani. Quali furono le "colpe" commesse da Paolo VI agli occhi della lobby progressista?
Innanzi tutto, Papa Montini diede una svolta al Concilio: quello che doveva essere semplicemente, nei programmi di Giovanni XXIII, un concilio "pastorale", divenne un concilio "ecclesiologico", che si proponeva di portare a termine l'opera iniziata dal Vaticano I. È ovvio che in tal modo si dava al Concilio una valenza dottrinale che, nei piani iniziali, non avrebbe dovuto avere.
Una colpa ancora piú grave fu la "Nota praevia" alla Lumen gentium. I progressisti erano riusciti a far passare un concetto di collegialità che metteva fortemente in discussione il primato pontificio. Paolo VI, dimostrando un grande senso di rispetto verso il Concilio, non volle modificare la costituzione che era stata approvata, ma volle che fosse integrata da una "Nota praevia", alla cui luce essa avrebbe dovuto essere interpretata, per evitare qualsiasi ambiguità.
Altra colpa di Paolo VI fu quella di aver avocato a sé certi temi molto "sensibili", sui quali ancor oggi si continua a tornare in maniera ossessiva: celibato e contraccezione. Credo che questa non gliel'abbiano mai perdonata: aver esautorato il Concilio! Quando poi, in entrambi i casi, confermò l'insegnamento tradizionale (con la Sacerdotalis caelibatus e l'Humanae vitae) si arrivò allo scontro frontale, che dura tuttora.
E voi un Papa cosí lo chiamate amletico, indeciso? Ma per favore... Mi fanno poi ridere i tradizionalisti radicali che accusano Paolo VI di aver distrutto la Chiesa. Ma è possibile che non ci si renda conto che Papa Montini la Chiesa l'ha salvata? In confronto a quel che ha fatto Paolo VI, Giovanni Paolo II ("il Grande") — absit iniuria verbo — scompare: Papa Wojtyla si è trovata la pappa bell'e fatta; le grandi scelte erano state già compiute; si trattava solo di portare avanti un programma ormai avviato. Paolo VI, no: lui si è trovato a governare la Chiesa in un momento in cui tutto veniva messo in discussione; non c'era piú nulla di certo; non si sapeva piú che cosa fosse doveroso conservare e che cosa fosse possibile cambiare. Chi fece tale discernimento (che oggi ci pare ovvio, ma allora non lo era) fu Paolo VI. La Chiesa ha un immenso debito nei suoi confronti.
Ma, al di là dei meriti che nessuno, se non stolto, può contestare, vorrei aggiungere che non è affatto vero che Papa Montini fosse distaccato e perciò incompreso dalla gente. Egli aveva un'umanità straordinaria che poteva essere percepita da chiunque lo accostasse. Ho sentito io con i miei orecchi le suorine che gridavano con la loro esile voce: "Santo Padre, ti vogliamo bene!", mentre passava con la sedia gestatoria e la gente correva per accompagnarlo e acclamarlo. È vero, non c'erano i cori da stadio dei pontificati successivi, ma la gente gridava con spontaneità e semplicità: "Viva il Papa!".
Fu Paolo VI a iniziare la prassi delle udienze generali del mercoledí: non c'erano le folle di oggi, naturalmente; ma, forse anche per questo, erano dei momenti di un'intensità straordinaria. Ricordo che, quando ero studente di filosofia all'Angelicum, siccome non avevamo lezione al mercoledí, quando potevo, andavo all'udienza (a quell'epoca era molto facile accedere all'Aula Nervi), per poter ascoltare le bellissime catechesi di Paolo VI. Oltre ai contenuti, sempre chiari e profondi, era un piacere sentirlo: curava anche la forma, sceglieva le parole adatte, le pronunciava col cuore. Già, il cuore di Paolo VI... "se il mondo sapesse il cuor ch'egli ebbe, assai lo loda e piú lo loderebbe". Ne sapeva qualcosa Mons. Lefebvre, che fu ricevuto e abbracciato paternamente da Papa Montini.
Questo non significa che accettassi tutto di Paolo VI. Molto spesso lo criticai, perché non capivo certi suoi atteggiamenti. Per esempio, non ho mai condiviso la sua Ostpolitik. In questi giorni sta facendo discutere molto l'accordo segreto con l'Unione Sovietica, perché non si parlasse in Concilio di comunismo. È stato giustamente fatto notare che si trattava di un accordo precedente, sottoscritto da Giovanni XIII; ma comunque Papa Montini portò avanti questa politica di compromesso con il comunismo, che personalmente non ho mai condiviso. Il momento di massimo disaccordo fu quando Paolo VI si "inginocchiò" davanti alle Brigate Rosse, un gesto lodato da tutti a quel tempo, ma che io non ho mai capito. Ma queste incomprensioni fanno parte della vita e non tolgono nulla alla stima e all'affetto che mi legavano e tuttora mi legano a lui. Me ne accorsi quando morí: provai gli stessi sentimenti che avevo sperimentato l'anno prima, alla morte di mio padre. E piansi. E credo di non essere stato il solo.
Paolo VI per me non è solo un grande Papa; non è solo un santo e un dottore della Chiesa. È un padre.
Anche se, come dice Messori, Tornielli "smentisce gli stereotipi su Paolo VI", quegli stereotipi, a quanto pare, fanno fatica a scomparire. Tutte le volte che si scrive qualcosa su di lui, si ripetono sempre le solite banalità: Papa amletico, raffinato intellettuale, distaccato e incompreso dalle folle, ecc. ecc. Ma è mai possibile che ancora non ci si renda conto che siamo tutti vittime di campagne mediatiche? Chi ha deciso che Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II sono stati Papi amati dalle folle, mentre Paolo VI e Benedetto XVI non riescono a incontrare il favore popolare? I media. Ma siamo proprio cosí sicuri che ciò corrisponda alla realtà?
Personalmente ritengo che Paolo VI sia stato uno dei piú grandi Papi del XX secolo. Ha un merito grandissimo: ha saputo portare a conclusione il Concilio (impresa certo non facile) e poi ha realizzato l'applicazione del Concilio (impresa ancora piú difficile). La Chiesa, grazie al Cielo, è guidata dallo Spirito di Dio: forse c'era bisogno di un Papa un tantino incosciente come Giovanni XXIII per convocare il Vaticano II, ma certamente lui non si rendeva conto di che cosa bolliva in pentola e di che cosa avrebbe significato convocare un Concilio. Come giustamente ricorda Messori, Papa Roncalli pensava di cavarsela in pochi mesi, con l'approvazione unanime degli schemi preparati dalla Curia Romana; pensava di ripetere per la Chiesa intera l'esperienza del Sinodo Romano (e questo la dice lunga sul tanto sbandierato "progressismo" del "Papa Buono"). Una volta avviato il Concilio, ci pensò la Provvidenza a sostituire il direttore d'orchestra. Montini era certamente ben visto dai novatores (per la sua apertura mentale e la sua formazione), ma ben presto questi cambiarono il loro giudizio su colui che speravano avrebbe realizzato i loro piani. Quali furono le "colpe" commesse da Paolo VI agli occhi della lobby progressista?
Innanzi tutto, Papa Montini diede una svolta al Concilio: quello che doveva essere semplicemente, nei programmi di Giovanni XXIII, un concilio "pastorale", divenne un concilio "ecclesiologico", che si proponeva di portare a termine l'opera iniziata dal Vaticano I. È ovvio che in tal modo si dava al Concilio una valenza dottrinale che, nei piani iniziali, non avrebbe dovuto avere.
Una colpa ancora piú grave fu la "Nota praevia" alla Lumen gentium. I progressisti erano riusciti a far passare un concetto di collegialità che metteva fortemente in discussione il primato pontificio. Paolo VI, dimostrando un grande senso di rispetto verso il Concilio, non volle modificare la costituzione che era stata approvata, ma volle che fosse integrata da una "Nota praevia", alla cui luce essa avrebbe dovuto essere interpretata, per evitare qualsiasi ambiguità.
Altra colpa di Paolo VI fu quella di aver avocato a sé certi temi molto "sensibili", sui quali ancor oggi si continua a tornare in maniera ossessiva: celibato e contraccezione. Credo che questa non gliel'abbiano mai perdonata: aver esautorato il Concilio! Quando poi, in entrambi i casi, confermò l'insegnamento tradizionale (con la Sacerdotalis caelibatus e l'Humanae vitae) si arrivò allo scontro frontale, che dura tuttora.
E voi un Papa cosí lo chiamate amletico, indeciso? Ma per favore... Mi fanno poi ridere i tradizionalisti radicali che accusano Paolo VI di aver distrutto la Chiesa. Ma è possibile che non ci si renda conto che Papa Montini la Chiesa l'ha salvata? In confronto a quel che ha fatto Paolo VI, Giovanni Paolo II ("il Grande") — absit iniuria verbo — scompare: Papa Wojtyla si è trovata la pappa bell'e fatta; le grandi scelte erano state già compiute; si trattava solo di portare avanti un programma ormai avviato. Paolo VI, no: lui si è trovato a governare la Chiesa in un momento in cui tutto veniva messo in discussione; non c'era piú nulla di certo; non si sapeva piú che cosa fosse doveroso conservare e che cosa fosse possibile cambiare. Chi fece tale discernimento (che oggi ci pare ovvio, ma allora non lo era) fu Paolo VI. La Chiesa ha un immenso debito nei suoi confronti.
Ma, al di là dei meriti che nessuno, se non stolto, può contestare, vorrei aggiungere che non è affatto vero che Papa Montini fosse distaccato e perciò incompreso dalla gente. Egli aveva un'umanità straordinaria che poteva essere percepita da chiunque lo accostasse. Ho sentito io con i miei orecchi le suorine che gridavano con la loro esile voce: "Santo Padre, ti vogliamo bene!", mentre passava con la sedia gestatoria e la gente correva per accompagnarlo e acclamarlo. È vero, non c'erano i cori da stadio dei pontificati successivi, ma la gente gridava con spontaneità e semplicità: "Viva il Papa!".
Fu Paolo VI a iniziare la prassi delle udienze generali del mercoledí: non c'erano le folle di oggi, naturalmente; ma, forse anche per questo, erano dei momenti di un'intensità straordinaria. Ricordo che, quando ero studente di filosofia all'Angelicum, siccome non avevamo lezione al mercoledí, quando potevo, andavo all'udienza (a quell'epoca era molto facile accedere all'Aula Nervi), per poter ascoltare le bellissime catechesi di Paolo VI. Oltre ai contenuti, sempre chiari e profondi, era un piacere sentirlo: curava anche la forma, sceglieva le parole adatte, le pronunciava col cuore. Già, il cuore di Paolo VI... "se il mondo sapesse il cuor ch'egli ebbe, assai lo loda e piú lo loderebbe". Ne sapeva qualcosa Mons. Lefebvre, che fu ricevuto e abbracciato paternamente da Papa Montini.
Questo non significa che accettassi tutto di Paolo VI. Molto spesso lo criticai, perché non capivo certi suoi atteggiamenti. Per esempio, non ho mai condiviso la sua Ostpolitik. In questi giorni sta facendo discutere molto l'accordo segreto con l'Unione Sovietica, perché non si parlasse in Concilio di comunismo. È stato giustamente fatto notare che si trattava di un accordo precedente, sottoscritto da Giovanni XIII; ma comunque Papa Montini portò avanti questa politica di compromesso con il comunismo, che personalmente non ho mai condiviso. Il momento di massimo disaccordo fu quando Paolo VI si "inginocchiò" davanti alle Brigate Rosse, un gesto lodato da tutti a quel tempo, ma che io non ho mai capito. Ma queste incomprensioni fanno parte della vita e non tolgono nulla alla stima e all'affetto che mi legavano e tuttora mi legano a lui. Me ne accorsi quando morí: provai gli stessi sentimenti che avevo sperimentato l'anno prima, alla morte di mio padre. E piansi. E credo di non essere stato il solo.
Paolo VI per me non è solo un grande Papa; non è solo un santo e un dottore della Chiesa. È un padre.