Don Gianluigi mi ha mandato il seguente messaggio dopo aver letto il mio post di sabato scorso:
«P. Giovanni, ti scrivo circa l'ultimo tuo post "If only... #2". Secondo me sei stato un po' troppo duro e sbrigativo col tuo lettore.
1. Perché criticare il NO [= Novus Ordo] non significa necessariamente ritenerlo invalido (io lo celebro quotidianamente eppure mi sento in dovere di muovere rilievi critici). Se teologi e liturgisti scrivono che c'è bisogno di una riforma della riforma (vedi don N. Bux con il libro "La riforma di Benedetto XVI") una qualche ragione ci sarà. Se il card. Ratzinger poteva scrivere alcuni anni fa che la riforma la quale avrebbe dovuto essere una rivitalizzazione della liturgia, in realtà si è rivelata una "devastazione" (cfr. "La reforme liturgique en question") significa che ci sono ragioni più che fondate per dubitare della reale bontà della liturgia riformata.
2. Tu citi Paolo VI, per indicare la sua volontà di imporre il NO come alternativo al vecchio. E qui si rivela in tutta la sua tragica debolezza l'affare del Consilium ad exequendam Constitutionem de Sacra Liturgia che ha elaborato la nuova messa. Il papa disse: "Il nuovo Ordo è stato promulgato perché si sostituisse all’antico, dopo matura deliberazione, in seguito alle istanze del Concilio Vaticano II". Il papa non si avvide nemmeno che quello che egli aveva approvato smentiva le richieste del Concilio stesso (latino, intangibilità dei testi, gregoriano, polifonia). Quando il Papa se ne avvide, non fece nulla per riportare la riforma ai dettami della Sacrosanctum Concilium.
Egli non seguì e non chiese conto del lavoro del Consilium ad exequendam, tant'è vero che autorevoli membri si lamentarono del modo di procedere precipitoso di Bugnini (cfr. card. Antonelli). Non poteva nemmeno chiedere conto, perché non è stato tenuto un regolare verbale degli incontri e quindi non sappiamo, e manco il papa sapeva, le ragioni che portarono a togliere parti della messa tradizionale e a produrne delle altre. (Perché, per esempio, è stato tolto ogni riferimento esplicito alla Trinità a cui va il sacrificio di lode, sia nell'offertorio sia alla fine? Chi lo propose? con quali motivazioni?).
Ci fu una così "matura deliberazione" che il papa approvò — spero senza accorgersene — una definizione della messa quantomeno ambigua. La messa è un'azione sacrificale, mentre il n. 7 dell'Institutio la definì "riunione del popolo di Dio, che si raduna insieme... per celebrare il memoriale del Signore". Una formula che poteva accontentare anche i sei esperti protestanti che ebbero un ruolo attivo in questa fase, ma che certo limitava il concetto cattolico di messa. Dopo pochi mesi il papa approvò una nuova Institutio modificata. Ma quei concetti così nuovi rispetto alla teologia liturgica cattolica rimasero nei nuovi riti che da essi erano stati ispirati.
Questa nuova messa ancora sperimentale fu celebrata nell’ottobre del 1967; al Sinodo Episcopale, convocato a Roma, fu chiesto un giudizio sulla celebrazione della cosiddetta "messa normativa", ideata dal Consilium. Tale messa suscitò non poche perplessità tra i presenti al Sinodo, con una forte opposizione (43 non placet), moltissime e sostanziali riserve (62 iuxta modum) e 4 astensioni su 187 votanti. Nonostante ciò fu imposta a tutta la chiesa senza sostanziali modifiche.
3. Tu dici: "Che abbiamo impedito ai fedeli di fare esperienza diretta dell'autentica liturgia". Insomma la colpa sarebbe dei vescovi e dei preti che non valorizzano appieno il NO e si lanciano in arbitrarie sperimentazioni. Ma a me sembra che le improvvisazioni e gli arbitrii scaturiscano dalla riforma stessa che lascia aperte troppe porte: quanti vel... pro opportunitate e simili circa i riti da compiere, che hanno finito per confondere le idee, tanto che in ogni paese si celebra un rito diverso.
4. Ciò che Pio XII condannò nella Mediator Dei si è ripresentato nel NO, come l'archeologismo. Si è idealizzato il primo millennio (vedi comunione in mano e in piedi, scambio di pace), tranne il digiuno eucaristico e la preghiera rivolta a Oriente e si è bandito tutto ciò che era scaturito nel secondo millennio.
5. Infine quello che mi sembra più grave, non è stata rispettata l'essenza del rito romano. La messa tipica iniziava con il canto dell'introito, mentre le preghiere ai piedi dell'altare erano private del celebrante. L'offertorio esprimeva in modo inequivocabile il fine per cui si offre il sacrificio: cancellato completamente con preghiere prese non dalla tradizione, ma addirittura dall'ebraismo. Il canone che era un tutt'uno con le altre parti è stato reso intercambiabile con anafore realizzate a tavolino che non hanno un'origine comune con il rito stesso. La preghiera sotto voce che era una caratteristica codificata dal concilio di Trento e che favorisce la partecipazione intima e spirituale dei fedeli, disprezzata completamente, tanto che oggi si canta anche il canone.
Detto questo, penso che il tuo lettore avesse qualche ragione nell'affermare che non è abbastanza celebrare in latino e bene il NO per riportare un vero spirito liturgico. È insita nel NO la svolta antropologica di Rahner, che porta inevitabilmente il celebrante a sentirsi protagonista della liturgia, non foss'altro perché guarda in faccia i fedeli e parla continuamente per farsi sentire da loro e non da Dio. I fedeli sono condizionati dal suo sguardo, dalla sua espressione, dal tono di voce, dagli interventi ad libitum che possono essere in ogni momento. Rivolgersi a Dio diventa effettivamente un'impresa non facile.
Ma a Dio tutto è possibile».
Accolgo di buon grado l'avviso fraterno di don Gianluigi: se sono stato troppo duro e sbrigativo, chiedo scusa. Coloro che mi leggono da qualche tempo dovrebbero ormai sapere che talvolta mi lascio prendere la mano, specialmente quando si tratta di questioni che mi stanno molto a cuore, come in questo caso.
Per me la riforma liturgica, come tutte le cose umane, non è perfetta: ha molti limiti e potrebbe (dovrebbe?) essere migliorata (e per questo condivido non poche delle osservazioni di don Gianluigi); ma questo non significa che essa debba essere gettata a mare e si debba tornare, semplicemente, alla liturgia pre-conciliare.
Quando si sente parlare della liturgia prima del Concilio, sembra che questa fosse perfetta e che a un certo punto siano arrivati degli iconoclasti che abbiano voluto distruggere tutto, non si capisce bene perché. Se si è sentito il bisogno di una riforma liturgica, qualche motivo ci sarà pur stato. Io ho fatto in tempo a conoscere la liturgia tridentina, perché sono diventato chierichetto prima della riforma liturgica. E ricordo il mio parroco che celebrava la Messa in un quarto d'ora: non era uno spettacolo cosí edificante... Le chiese erano certamente piú piene di ora, ma non c'era tutta quella devozione e raccoglimento che oggi si immagina: in prima fila i bambini (il viceparroco doveva inventarsi tutti gli stratagemmi per tenerli un po' attenti); poi le donne che recitavano il rosario; poi gli uomini (quei pochi che c'erano...) che si facevano i fatti loro; e in fondo alla chiesa i giovani che... guardavano le ragazze. Per questo si è sentito il bisogno di una partecipazione piú attiva. Che poi, con la riforma liturgica, non si sia ottenuto il risultato (probabilmente perché si sono sbagliati i mezzi per raggiungerlo), è un'altra questione; ma perlomeno si dovrebbe riconoscere la buona intenzione e apprezzare lo sforzo per raggiungerlo.
Quando leggo le critiche di parte tradizionalista al Novus Ordo (che per lo piú hanno un'unica origine: il Breve esame critico del "Novus Ordo Missae", a quanto pare promosso dalla compianta Cristina Campo e presentato a Papa Paolo VI dai Cardinali Ottaviani e Bacci), ho l'impressione che esse partano da un presupposto sbagliato. Tali critiche fondamentalmente consistono in un confronto tra il vecchio e il nuovo rito; e in genere sottolineano gli elementi del vecchio rito assenti nel nuovo. Presupponendo che il vecchio rito fosse perfetto, è ovvio che il nuovo risulti piuttosto carente. Ma probabilmente non è questo l'atteggiamento giusto: il Novus Ordo va considerato in sé stesso, non confrontato col Vetus (e in tale prospettiva penso che Paolo VI lo esaminò). Poi bisogna chiedersi: questo o quell'elemento è valido, è portatore di un significato teologico ortodosso o veicola una qualche tesi piú o meno ereticheggiante? Sinceramente, non mi sembra che nella nuova Messa ci siano eresie. È vero che l'offertorio (o "presentazione dei doni", come oggi viene chiamato) è radicalmente cambiato; è vero che esso non insiste piú cosí tanto sull'aspetto sacrificale; ma forse per questo la Messa ha perso il suo carattere sacrificale? Ci sono altri elementi che lo sottolineano (nello stesso offertorio, Paolo VI in persona volle conservare l'Orate fratres a rammentare tale verità). D'altra parte il Novus Ordo ha messo in luce tanti altri aspetti che nel Vetus Ordo, pur non venendo negati, erano forse un tantino trascurati. La Messa va vista nel suo insieme; non si possono isolare e assolutizzare i diversi elementi. Nell'insieme, mi pare che il nuovo rito della Messa sia equilibrato e piú ricco dell'antico. Ciò non toglie che ci siano alcuni aspetti che possano o addirittura debbano essere rivisti (p. es., il modo in cui sono stati reintrodotti l'oratio fidelium e il rito della pace o il modo di ricevere la comunione).
Che la riforma liturgica sia stata fatta un po' affrettatamente e che essa non sia l'attuazione fedele di quanto previsto dal Concilio, è un dato di fatto. Per questo vado ripetendo che, nonostante le legittime critiche che si possono rivolgere al Concilio, esso costituisce quel punto di equilibrio in cui tutti ci possiamo ritrovare (non solo in campo liturgico). Il Concilio aveva dato delle indicazioni sobrie, ma molto precise, su come si sarebbe dovuta realizzare la riforma liturgica. Il Consilium andò oltre il mandato conciliare (e in questo ha ragione don Gianluigi, con l'avallo di Paolo VI), e ora ne raccogliamo i frutti. Ci si fosse limitati a fare quanto il Concilio aveva prescritto, forse a quest'ora non staremmo qui a discutere.
È proprio in questo contesto di "ritorno al Concilio" che io mi faccio sostenitore di una liturgia rinnovata in latino: non è una mia idea balzana; è semplicemente ciò che aveva previsto il Concilio (Sacrosanctum Concilium, n. 36). Che il gregoriano debba essere il "canto proprio della liturgia romana" (non solo di quella tridentina, ma anche di quella rinnovata), non sono io a dirlo, ma il Concilio (ib., n.116). A proposito, don Gianluigi, hai mai provato a cantare in gregoriano la preghiera eucaristica? Per favore, fallo almeno una volta, poi sappimi dire quel che tu hai provato e la reazione dei fedeli che vi hanno assistito. Tu hai ragione a dire che nelle liturgie postconciliari, il protagonista è diventato il celebrante e i fedeli sono condizionati dalla sua presenza invadente. Ti assicuro, non c'è bisogno di voltare le spalle ai fedeli per scomparire. Basta spersonalizzare il piú possibile la propria performance; basta applicare alla lettera le rubriche del messale: tutti capiranno, senza fatica, che non stai recitando una parte, ma stai semplicemente eseguendo un rito che non ti appartiene, di cui tu sei soltanto un ministro. Il modo di celebrare la Messa, pur non toccando l'essenza del rito, ha la sua importanza, nel Vetus come nel Novus Ordo: tanto la Messa tridentina quanto quella postconciliare possono essere celebrate bene o male; e questo ha la sua incidenza sulla effettiva partecipazione dei fedeli. Forse uno dei limti della riforma liturgica è stato proprio questo: pensare che bastasse modificare qualche rito per ottenere la actuosa participatio. I liturgisti del Consilium forse non si avvidero che ciò che innanzi tutto si doveva fare era cambiare l'atteggiamento con cui ci si accosta ai santi misteri. Pertanto, ben venga una "riforma della riforma", ma con l'accortezza che a nulla varranno le migliori riforme esteriori se, cambiando i riti, non cambieremo anche i cuori.
«P. Giovanni, ti scrivo circa l'ultimo tuo post "If only... #2". Secondo me sei stato un po' troppo duro e sbrigativo col tuo lettore.
1. Perché criticare il NO [= Novus Ordo] non significa necessariamente ritenerlo invalido (io lo celebro quotidianamente eppure mi sento in dovere di muovere rilievi critici). Se teologi e liturgisti scrivono che c'è bisogno di una riforma della riforma (vedi don N. Bux con il libro "La riforma di Benedetto XVI") una qualche ragione ci sarà. Se il card. Ratzinger poteva scrivere alcuni anni fa che la riforma la quale avrebbe dovuto essere una rivitalizzazione della liturgia, in realtà si è rivelata una "devastazione" (cfr. "La reforme liturgique en question") significa che ci sono ragioni più che fondate per dubitare della reale bontà della liturgia riformata.
2. Tu citi Paolo VI, per indicare la sua volontà di imporre il NO come alternativo al vecchio. E qui si rivela in tutta la sua tragica debolezza l'affare del Consilium ad exequendam Constitutionem de Sacra Liturgia che ha elaborato la nuova messa. Il papa disse: "Il nuovo Ordo è stato promulgato perché si sostituisse all’antico, dopo matura deliberazione, in seguito alle istanze del Concilio Vaticano II". Il papa non si avvide nemmeno che quello che egli aveva approvato smentiva le richieste del Concilio stesso (latino, intangibilità dei testi, gregoriano, polifonia). Quando il Papa se ne avvide, non fece nulla per riportare la riforma ai dettami della Sacrosanctum Concilium.
Egli non seguì e non chiese conto del lavoro del Consilium ad exequendam, tant'è vero che autorevoli membri si lamentarono del modo di procedere precipitoso di Bugnini (cfr. card. Antonelli). Non poteva nemmeno chiedere conto, perché non è stato tenuto un regolare verbale degli incontri e quindi non sappiamo, e manco il papa sapeva, le ragioni che portarono a togliere parti della messa tradizionale e a produrne delle altre. (Perché, per esempio, è stato tolto ogni riferimento esplicito alla Trinità a cui va il sacrificio di lode, sia nell'offertorio sia alla fine? Chi lo propose? con quali motivazioni?).
Ci fu una così "matura deliberazione" che il papa approvò — spero senza accorgersene — una definizione della messa quantomeno ambigua. La messa è un'azione sacrificale, mentre il n. 7 dell'Institutio la definì "riunione del popolo di Dio, che si raduna insieme... per celebrare il memoriale del Signore". Una formula che poteva accontentare anche i sei esperti protestanti che ebbero un ruolo attivo in questa fase, ma che certo limitava il concetto cattolico di messa. Dopo pochi mesi il papa approvò una nuova Institutio modificata. Ma quei concetti così nuovi rispetto alla teologia liturgica cattolica rimasero nei nuovi riti che da essi erano stati ispirati.
Questa nuova messa ancora sperimentale fu celebrata nell’ottobre del 1967; al Sinodo Episcopale, convocato a Roma, fu chiesto un giudizio sulla celebrazione della cosiddetta "messa normativa", ideata dal Consilium. Tale messa suscitò non poche perplessità tra i presenti al Sinodo, con una forte opposizione (43 non placet), moltissime e sostanziali riserve (62 iuxta modum) e 4 astensioni su 187 votanti. Nonostante ciò fu imposta a tutta la chiesa senza sostanziali modifiche.
3. Tu dici: "Che abbiamo impedito ai fedeli di fare esperienza diretta dell'autentica liturgia". Insomma la colpa sarebbe dei vescovi e dei preti che non valorizzano appieno il NO e si lanciano in arbitrarie sperimentazioni. Ma a me sembra che le improvvisazioni e gli arbitrii scaturiscano dalla riforma stessa che lascia aperte troppe porte: quanti vel... pro opportunitate e simili circa i riti da compiere, che hanno finito per confondere le idee, tanto che in ogni paese si celebra un rito diverso.
4. Ciò che Pio XII condannò nella Mediator Dei si è ripresentato nel NO, come l'archeologismo. Si è idealizzato il primo millennio (vedi comunione in mano e in piedi, scambio di pace), tranne il digiuno eucaristico e la preghiera rivolta a Oriente e si è bandito tutto ciò che era scaturito nel secondo millennio.
5. Infine quello che mi sembra più grave, non è stata rispettata l'essenza del rito romano. La messa tipica iniziava con il canto dell'introito, mentre le preghiere ai piedi dell'altare erano private del celebrante. L'offertorio esprimeva in modo inequivocabile il fine per cui si offre il sacrificio: cancellato completamente con preghiere prese non dalla tradizione, ma addirittura dall'ebraismo. Il canone che era un tutt'uno con le altre parti è stato reso intercambiabile con anafore realizzate a tavolino che non hanno un'origine comune con il rito stesso. La preghiera sotto voce che era una caratteristica codificata dal concilio di Trento e che favorisce la partecipazione intima e spirituale dei fedeli, disprezzata completamente, tanto che oggi si canta anche il canone.
Detto questo, penso che il tuo lettore avesse qualche ragione nell'affermare che non è abbastanza celebrare in latino e bene il NO per riportare un vero spirito liturgico. È insita nel NO la svolta antropologica di Rahner, che porta inevitabilmente il celebrante a sentirsi protagonista della liturgia, non foss'altro perché guarda in faccia i fedeli e parla continuamente per farsi sentire da loro e non da Dio. I fedeli sono condizionati dal suo sguardo, dalla sua espressione, dal tono di voce, dagli interventi ad libitum che possono essere in ogni momento. Rivolgersi a Dio diventa effettivamente un'impresa non facile.
Ma a Dio tutto è possibile».
Accolgo di buon grado l'avviso fraterno di don Gianluigi: se sono stato troppo duro e sbrigativo, chiedo scusa. Coloro che mi leggono da qualche tempo dovrebbero ormai sapere che talvolta mi lascio prendere la mano, specialmente quando si tratta di questioni che mi stanno molto a cuore, come in questo caso.
Per me la riforma liturgica, come tutte le cose umane, non è perfetta: ha molti limiti e potrebbe (dovrebbe?) essere migliorata (e per questo condivido non poche delle osservazioni di don Gianluigi); ma questo non significa che essa debba essere gettata a mare e si debba tornare, semplicemente, alla liturgia pre-conciliare.
Quando si sente parlare della liturgia prima del Concilio, sembra che questa fosse perfetta e che a un certo punto siano arrivati degli iconoclasti che abbiano voluto distruggere tutto, non si capisce bene perché. Se si è sentito il bisogno di una riforma liturgica, qualche motivo ci sarà pur stato. Io ho fatto in tempo a conoscere la liturgia tridentina, perché sono diventato chierichetto prima della riforma liturgica. E ricordo il mio parroco che celebrava la Messa in un quarto d'ora: non era uno spettacolo cosí edificante... Le chiese erano certamente piú piene di ora, ma non c'era tutta quella devozione e raccoglimento che oggi si immagina: in prima fila i bambini (il viceparroco doveva inventarsi tutti gli stratagemmi per tenerli un po' attenti); poi le donne che recitavano il rosario; poi gli uomini (quei pochi che c'erano...) che si facevano i fatti loro; e in fondo alla chiesa i giovani che... guardavano le ragazze. Per questo si è sentito il bisogno di una partecipazione piú attiva. Che poi, con la riforma liturgica, non si sia ottenuto il risultato (probabilmente perché si sono sbagliati i mezzi per raggiungerlo), è un'altra questione; ma perlomeno si dovrebbe riconoscere la buona intenzione e apprezzare lo sforzo per raggiungerlo.
Quando leggo le critiche di parte tradizionalista al Novus Ordo (che per lo piú hanno un'unica origine: il Breve esame critico del "Novus Ordo Missae", a quanto pare promosso dalla compianta Cristina Campo e presentato a Papa Paolo VI dai Cardinali Ottaviani e Bacci), ho l'impressione che esse partano da un presupposto sbagliato. Tali critiche fondamentalmente consistono in un confronto tra il vecchio e il nuovo rito; e in genere sottolineano gli elementi del vecchio rito assenti nel nuovo. Presupponendo che il vecchio rito fosse perfetto, è ovvio che il nuovo risulti piuttosto carente. Ma probabilmente non è questo l'atteggiamento giusto: il Novus Ordo va considerato in sé stesso, non confrontato col Vetus (e in tale prospettiva penso che Paolo VI lo esaminò). Poi bisogna chiedersi: questo o quell'elemento è valido, è portatore di un significato teologico ortodosso o veicola una qualche tesi piú o meno ereticheggiante? Sinceramente, non mi sembra che nella nuova Messa ci siano eresie. È vero che l'offertorio (o "presentazione dei doni", come oggi viene chiamato) è radicalmente cambiato; è vero che esso non insiste piú cosí tanto sull'aspetto sacrificale; ma forse per questo la Messa ha perso il suo carattere sacrificale? Ci sono altri elementi che lo sottolineano (nello stesso offertorio, Paolo VI in persona volle conservare l'Orate fratres a rammentare tale verità). D'altra parte il Novus Ordo ha messo in luce tanti altri aspetti che nel Vetus Ordo, pur non venendo negati, erano forse un tantino trascurati. La Messa va vista nel suo insieme; non si possono isolare e assolutizzare i diversi elementi. Nell'insieme, mi pare che il nuovo rito della Messa sia equilibrato e piú ricco dell'antico. Ciò non toglie che ci siano alcuni aspetti che possano o addirittura debbano essere rivisti (p. es., il modo in cui sono stati reintrodotti l'oratio fidelium e il rito della pace o il modo di ricevere la comunione).
Che la riforma liturgica sia stata fatta un po' affrettatamente e che essa non sia l'attuazione fedele di quanto previsto dal Concilio, è un dato di fatto. Per questo vado ripetendo che, nonostante le legittime critiche che si possono rivolgere al Concilio, esso costituisce quel punto di equilibrio in cui tutti ci possiamo ritrovare (non solo in campo liturgico). Il Concilio aveva dato delle indicazioni sobrie, ma molto precise, su come si sarebbe dovuta realizzare la riforma liturgica. Il Consilium andò oltre il mandato conciliare (e in questo ha ragione don Gianluigi, con l'avallo di Paolo VI), e ora ne raccogliamo i frutti. Ci si fosse limitati a fare quanto il Concilio aveva prescritto, forse a quest'ora non staremmo qui a discutere.
È proprio in questo contesto di "ritorno al Concilio" che io mi faccio sostenitore di una liturgia rinnovata in latino: non è una mia idea balzana; è semplicemente ciò che aveva previsto il Concilio (Sacrosanctum Concilium, n. 36). Che il gregoriano debba essere il "canto proprio della liturgia romana" (non solo di quella tridentina, ma anche di quella rinnovata), non sono io a dirlo, ma il Concilio (ib., n.116). A proposito, don Gianluigi, hai mai provato a cantare in gregoriano la preghiera eucaristica? Per favore, fallo almeno una volta, poi sappimi dire quel che tu hai provato e la reazione dei fedeli che vi hanno assistito. Tu hai ragione a dire che nelle liturgie postconciliari, il protagonista è diventato il celebrante e i fedeli sono condizionati dalla sua presenza invadente. Ti assicuro, non c'è bisogno di voltare le spalle ai fedeli per scomparire. Basta spersonalizzare il piú possibile la propria performance; basta applicare alla lettera le rubriche del messale: tutti capiranno, senza fatica, che non stai recitando una parte, ma stai semplicemente eseguendo un rito che non ti appartiene, di cui tu sei soltanto un ministro. Il modo di celebrare la Messa, pur non toccando l'essenza del rito, ha la sua importanza, nel Vetus come nel Novus Ordo: tanto la Messa tridentina quanto quella postconciliare possono essere celebrate bene o male; e questo ha la sua incidenza sulla effettiva partecipazione dei fedeli. Forse uno dei limti della riforma liturgica è stato proprio questo: pensare che bastasse modificare qualche rito per ottenere la actuosa participatio. I liturgisti del Consilium forse non si avvidero che ciò che innanzi tutto si doveva fare era cambiare l'atteggiamento con cui ci si accosta ai santi misteri. Pertanto, ben venga una "riforma della riforma", ma con l'accortezza che a nulla varranno le migliori riforme esteriori se, cambiando i riti, non cambieremo anche i cuori.