Don Gianluigi (che ha la mia stessa età), nel rispondere al mio post If only... #3, dice di condividere sostanzialmente la mia descrizione della liturgia preconciliare. Riconosce che i tradizionalisti, allora, non usavano argomenti convincenti per difendere le loro posizioni; al contrario dei giovani, che erano piú battaglieri nel sostenere le loro idee (è anche vero che questa è solo l'impressione che avevamo noi, che all'epoca eravamo giovani, e forse non capivamo abbastanza le istanze di chi era piú vecchio di noi, mentre eravamo molto sensibili a tutto ciò che sapeva di nuovo...). Ad ogni modo, don Gianluigi conclude cosí il suo messaggio:
«Caro Giovanni, ci voleva sí una riforma; era già iniziata quando siamo nati noi; poi è arrivato il tempo dell'assurdo e del brutto: brutte chiese, brutta arte, brutta musica. Riprendiamo da dove eravamo rimasti negli anni 1955-1965».
Concordo pienamente con quest'ultima affermazione. In fondo, è il senso di quanto cercavo di esprimere nell'articolo Concilio e "spirito del Concilio", pubblicato nel primo post di questo blog. In quell'articolo muovevo varie critiche al Concilio (critiche che piacquero molto agli ambienti tradizionalisti, a cominciare dai lefebvriani); fra queste c'era l'obiezione che il Vaticano II non segnava affatto un "nuovo inizio" nella storia della Chiesa, ma costituiva semplicemente una tappa di un movimento di riforma già in corso da svariati decenni, con questa differenza: che fino ad allora le riforme erano state promosse dalla Sede Apostolica ed erano state condivise piú o meno da tutti; il Concilio invece (che si supporrebbe rappresentare l'intera Chiesa) provocò una lacerazione all'interno della Chiesa. Come mai? Che cosa era successo?
In fondo, se consideriamo i documenti conciliari, li troviamo perfettamente in linea con la tradizione immediatamente precedente (anche se poi esso incoraggia un ritorno alla "grande tradizione" della Chiesa). Da questo punto di vista, il Concilio rappresenta il frutto piú maturo di quel movimento di riforma già in corso nella Chiesa. Il problema nacque nel momento dell'interpretazione e dell'applicazione del Concilio: tali operazioni furono praticamente monopolizzate dall'ala progressista, che era già presente nel Concilio, ma che in quella sede aveva dovuto necessariamente scendere a compromesso con l'ala conservatrice per l'approvazione dei documenti conciliari. Dopo il Concilio, sfruttando le ambiguità insite nei testi conciliari e appellandosi a un presunto "spirito del Concilio", la lobby progressista impose la propria interpretazione del Concilio, che sembrava l'unica autorizzata. Anche la riforma liturgica risentí di tale interpretazione unilaterale, che perciò provocò la reazione lefebvriana, polarizzando cosí le posizioni su due atteggiamenti contrapposti e difficilmente conciliabili.
Come uscire da questo vicolo cieco in cui si trova attualmente la Chiesa? Personalmente non vedo altra via di uscita che il ritorno di tutti al punto di partenza, che non è — sia bene inteso — la Chiesa preconciliare, ma il Concilio stesso. Per quanto si possa discutere, legittimamente, sul Vaticano II (dal momento che non si tratta di un concilio dogmatico, ma "pastorale"), bisogna pur riconoscere che esso è l'unico punto di equilibrio, nel quale tutti — tradizionalisti e progressisti — possiamo ritrovarci. Se vogliamo ristabilire la comunione all'interno della Chiesa, penso che dovremmo fare tutti un passo indietro e tornare al Vaticano II e ripartire di lí, senza pregiudizi ideologici, ma lasciandoci condurre esclusivamente dallo Spirito di Dio verso le mete che egli stesso ci indicherà.
«Caro Giovanni, ci voleva sí una riforma; era già iniziata quando siamo nati noi; poi è arrivato il tempo dell'assurdo e del brutto: brutte chiese, brutta arte, brutta musica. Riprendiamo da dove eravamo rimasti negli anni 1955-1965».
Concordo pienamente con quest'ultima affermazione. In fondo, è il senso di quanto cercavo di esprimere nell'articolo Concilio e "spirito del Concilio", pubblicato nel primo post di questo blog. In quell'articolo muovevo varie critiche al Concilio (critiche che piacquero molto agli ambienti tradizionalisti, a cominciare dai lefebvriani); fra queste c'era l'obiezione che il Vaticano II non segnava affatto un "nuovo inizio" nella storia della Chiesa, ma costituiva semplicemente una tappa di un movimento di riforma già in corso da svariati decenni, con questa differenza: che fino ad allora le riforme erano state promosse dalla Sede Apostolica ed erano state condivise piú o meno da tutti; il Concilio invece (che si supporrebbe rappresentare l'intera Chiesa) provocò una lacerazione all'interno della Chiesa. Come mai? Che cosa era successo?
In fondo, se consideriamo i documenti conciliari, li troviamo perfettamente in linea con la tradizione immediatamente precedente (anche se poi esso incoraggia un ritorno alla "grande tradizione" della Chiesa). Da questo punto di vista, il Concilio rappresenta il frutto piú maturo di quel movimento di riforma già in corso nella Chiesa. Il problema nacque nel momento dell'interpretazione e dell'applicazione del Concilio: tali operazioni furono praticamente monopolizzate dall'ala progressista, che era già presente nel Concilio, ma che in quella sede aveva dovuto necessariamente scendere a compromesso con l'ala conservatrice per l'approvazione dei documenti conciliari. Dopo il Concilio, sfruttando le ambiguità insite nei testi conciliari e appellandosi a un presunto "spirito del Concilio", la lobby progressista impose la propria interpretazione del Concilio, che sembrava l'unica autorizzata. Anche la riforma liturgica risentí di tale interpretazione unilaterale, che perciò provocò la reazione lefebvriana, polarizzando cosí le posizioni su due atteggiamenti contrapposti e difficilmente conciliabili.
Come uscire da questo vicolo cieco in cui si trova attualmente la Chiesa? Personalmente non vedo altra via di uscita che il ritorno di tutti al punto di partenza, che non è — sia bene inteso — la Chiesa preconciliare, ma il Concilio stesso. Per quanto si possa discutere, legittimamente, sul Vaticano II (dal momento che non si tratta di un concilio dogmatico, ma "pastorale"), bisogna pur riconoscere che esso è l'unico punto di equilibrio, nel quale tutti — tradizionalisti e progressisti — possiamo ritrovarci. Se vogliamo ristabilire la comunione all'interno della Chiesa, penso che dovremmo fare tutti un passo indietro e tornare al Vaticano II e ripartire di lí, senza pregiudizi ideologici, ma lasciandoci condurre esclusivamente dallo Spirito di Dio verso le mete che egli stesso ci indicherà.