In attesa di leggere la nuova enciclica del Papa (di proposito mi sono rifiutato di leggere qualsiasi anticipazione) permettete che vi racconti una mia esperienza personale, per quel che può valere.
Quarant'anni fa ero studente di liceo. Come tutti i giovani, a un certo punto attraversai una crisi che mise in discussione tutti i valori che avevo ricevuto nella mia educazione. Devo dire onestamente di non avere, grazie a Dio, mai perso la fede, ma certo il mio rapporto con la Chiesa era diventato un tantino problematico. In quegli anni (eravamo subito dopo il Sessantotto) un buon cattolico doveva necessariamente essere di sinistra, perché il Vangelo era considerato non cosí diverso dal Capitale di Marx: compito del cristiano era quello di instaurare la giustizia sociale, se necessario anche attraverso la lotta armata e la rivoluzione. A qualcuno, oggi, verrà da sorridere; qualcun altro, attualmente di destra, si sentirà magari un po' imbarazzato, perché la pensava esattamente in quel modo (se non addirittura credeva che la religione fosse l'oppio dei popoli) e dava del "fascista" a chi la pensava in maniera diversa...
Ebbene, io che non ero di sinistra (perché ciò andava contro la formazione che avevo ricevuto in una famiglia democristiana e anticomunista) non potevo accettare quella tendenza, che in certi momenti sembrava ricevere addirittura l'appoggio delle gerarchie (vi ricordate la Populorum progressio, che in qualche modo giustificava il ricorso alla rivoluzione? Oggi sarei d'accordo, ma allora no). Per tale motivo non mi sentivo piú molto a mio agio nella Chiesa cattolica, che mi sembrava troppo politicizzata e sbilanciata a sinistra, e cominciai a chiedermi se non ci fosse un modo diverso di essere cristiani, senza necessariamente dover essere al contempo marxisti.
Continuai sempre a frequentare la parrocchia (San Carlo ai Catinari, in pieno centro di Roma, tenuta dai Barnabiti), ma con un atteggiamento spesso contestatore, come era comune in quegli anni. Per il catechismo e l'animazione giovanile venivano dal Gianicolo gli studenti teologi barnabiti, anche loro contestatori, naturalmente (chi non lo era in quegli anni?), ma con una posizione molto diversa da quella allora di moda: insistevano piú sulla fede, che non sull'impegno sociale. Questo era dovuto al loro Padre Maestro che si sforzava di formarli a diventare preti e non agitatori sociali. Sentivo una certa attrazione per quella proposta, anche se non avevo ancora gli strumenti per poter esprimere un giudizio. È ovvio che uno studente liceale (soprattutto di liceo classico) tali strumenti, prima o poi, se li va a cercare per suo conto; ma la cosa non è sempre facile, perché spesso non c'è nessuno che lo accompagni in tale ricerca. A parte l'ammirazione per certi filosofi, piú orecchiati che realmente compresi, subii una notevole attrattiva dal protestantesimo, perché mi sembrava che, al contrario della Chiesa cattolica cosí politicizzata, proponesse una fede pura.
Il mio parroco (un sant'uomo, che cercarva di salvare capra e cavoli, applicando in spirito di obbedienza il Concilio, ma rimanendo fedele alla tradizione della Chiesa), cercava di giustificare l'impegno sociale del cristiano col riferimento alla Rerum novarum e alla dottrina sociale della Chiesa; per cui, quando a scuola studiai le vicende di fine Ottocento, mi dissi: Bisogna che legga la Rerum novarum; sono curioso di sapere che cosa Leone XIII ha detto veramente. E andai a comprarmi l'enciclica in una libreria cattolica. Cominciai a leggerla: man mano che andavo avanti, scoprivo che condividevo tutto quello che vi era scritto. Avevo trovato la verità! E giunsi alla conclusione: se condivido tutto quello che il Papa dice, allora io sono cattolico; sono loro a non esserlo; si può essere attenti ai problemi sociali, senza necessariamente essere socialisti; e non è necessario diventare protestanti per rimanere cristiani. La lettura della prima enciclica sociale rimane una pietra miliare nella mia formazione: da quel momento cambiò tutto. Successivamente, soprattutto dopo il mio ingresso nella vita religiosa e l'inizio degli studi filosofici-teologici, mi lessi a poco a poco tutte le altre grandi encicliche sociali (scoprii un altro capolavoro nella Quadragesimo anno di Pio XI); in tempi piú recenti ho parzialmente rivisto le mie posizioni (siamo in fase di "revisionismo"...) sulla dottrina sociale della Chiesa (magari un giorno ne parleremo), ma rimane l'interesse per un giudizio cattolico sulla realtà politico-economico-sociale in cui viviamo. Per cui non vedo l'ora di poter leggere la Caritas in veritate...
Quarant'anni fa ero studente di liceo. Come tutti i giovani, a un certo punto attraversai una crisi che mise in discussione tutti i valori che avevo ricevuto nella mia educazione. Devo dire onestamente di non avere, grazie a Dio, mai perso la fede, ma certo il mio rapporto con la Chiesa era diventato un tantino problematico. In quegli anni (eravamo subito dopo il Sessantotto) un buon cattolico doveva necessariamente essere di sinistra, perché il Vangelo era considerato non cosí diverso dal Capitale di Marx: compito del cristiano era quello di instaurare la giustizia sociale, se necessario anche attraverso la lotta armata e la rivoluzione. A qualcuno, oggi, verrà da sorridere; qualcun altro, attualmente di destra, si sentirà magari un po' imbarazzato, perché la pensava esattamente in quel modo (se non addirittura credeva che la religione fosse l'oppio dei popoli) e dava del "fascista" a chi la pensava in maniera diversa...
Ebbene, io che non ero di sinistra (perché ciò andava contro la formazione che avevo ricevuto in una famiglia democristiana e anticomunista) non potevo accettare quella tendenza, che in certi momenti sembrava ricevere addirittura l'appoggio delle gerarchie (vi ricordate la Populorum progressio, che in qualche modo giustificava il ricorso alla rivoluzione? Oggi sarei d'accordo, ma allora no). Per tale motivo non mi sentivo piú molto a mio agio nella Chiesa cattolica, che mi sembrava troppo politicizzata e sbilanciata a sinistra, e cominciai a chiedermi se non ci fosse un modo diverso di essere cristiani, senza necessariamente dover essere al contempo marxisti.
Continuai sempre a frequentare la parrocchia (San Carlo ai Catinari, in pieno centro di Roma, tenuta dai Barnabiti), ma con un atteggiamento spesso contestatore, come era comune in quegli anni. Per il catechismo e l'animazione giovanile venivano dal Gianicolo gli studenti teologi barnabiti, anche loro contestatori, naturalmente (chi non lo era in quegli anni?), ma con una posizione molto diversa da quella allora di moda: insistevano piú sulla fede, che non sull'impegno sociale. Questo era dovuto al loro Padre Maestro che si sforzava di formarli a diventare preti e non agitatori sociali. Sentivo una certa attrazione per quella proposta, anche se non avevo ancora gli strumenti per poter esprimere un giudizio. È ovvio che uno studente liceale (soprattutto di liceo classico) tali strumenti, prima o poi, se li va a cercare per suo conto; ma la cosa non è sempre facile, perché spesso non c'è nessuno che lo accompagni in tale ricerca. A parte l'ammirazione per certi filosofi, piú orecchiati che realmente compresi, subii una notevole attrattiva dal protestantesimo, perché mi sembrava che, al contrario della Chiesa cattolica cosí politicizzata, proponesse una fede pura.
Il mio parroco (un sant'uomo, che cercarva di salvare capra e cavoli, applicando in spirito di obbedienza il Concilio, ma rimanendo fedele alla tradizione della Chiesa), cercava di giustificare l'impegno sociale del cristiano col riferimento alla Rerum novarum e alla dottrina sociale della Chiesa; per cui, quando a scuola studiai le vicende di fine Ottocento, mi dissi: Bisogna che legga la Rerum novarum; sono curioso di sapere che cosa Leone XIII ha detto veramente. E andai a comprarmi l'enciclica in una libreria cattolica. Cominciai a leggerla: man mano che andavo avanti, scoprivo che condividevo tutto quello che vi era scritto. Avevo trovato la verità! E giunsi alla conclusione: se condivido tutto quello che il Papa dice, allora io sono cattolico; sono loro a non esserlo; si può essere attenti ai problemi sociali, senza necessariamente essere socialisti; e non è necessario diventare protestanti per rimanere cristiani. La lettura della prima enciclica sociale rimane una pietra miliare nella mia formazione: da quel momento cambiò tutto. Successivamente, soprattutto dopo il mio ingresso nella vita religiosa e l'inizio degli studi filosofici-teologici, mi lessi a poco a poco tutte le altre grandi encicliche sociali (scoprii un altro capolavoro nella Quadragesimo anno di Pio XI); in tempi piú recenti ho parzialmente rivisto le mie posizioni (siamo in fase di "revisionismo"...) sulla dottrina sociale della Chiesa (magari un giorno ne parleremo), ma rimane l'interesse per un giudizio cattolico sulla realtà politico-economico-sociale in cui viviamo. Per cui non vedo l'ora di poter leggere la Caritas in veritate...