Eccellenza Reverendissima,
Non so se questa "lettera aperta" giungerà mai nelle Sue mani. Io l'affido agli angeli, perché Gliela recapitino personalmente. Già altra volta avevo scritto un articolo avendo in mente la vostra Fraternità; lo pubblicai su questo blog (fu il mio primo post), ed esso giunse miracolosamente a destinazione: fu ripreso dai vostri siti e definito "molto interessante".
Questa volta mi rivolgo a Lei, perché so che sono in corso i preparativi dei colloqui dottrinali con la Santa Sede, da voi a lungo richiesti e finalmente, con la remissione della scomunica, accordati da Papa Benedetto XVI. A quanto mi risulta, Lei è già stato a Roma per prendere i primi contatti con la Congregazione per la Dottrina della Fede.
Personalmente, sono sempre stato del parere che non ci sia bisogno di "colloqui" per la riammissione nella comunione della Chiesa cattolica. L'unica cosa necessaria, a parer mio, dovrebbe essere la professione di fede prevista dai sacri canoni. Una volta che condividiamo la stessa fede, dovremmo essere in piena comunione. Sul resto, che non è compreso in quella professione di fede, ritengo che sia sempre possibile discutere liberamente, ma stando all'interno, non all'esterno della Chiesa. L'accettazione di un Concilio, che si è autodefinito "pastorale", non dovrebbe, secondo me, essere una condizione per la riammissione nella comunione ecclesiastica. Sono d'accordo che sia quanto mai urgente una riflessione sul valore e l'interpretazione del Vaticano II; ma non mi sembra che questo debba essere oggetto di una trattativa fra la Santa Sede e la Fraternità di San Pio X; mi sembra piuttosto un problema che riguarda l'intera Chiesa. È per questo motivo che ho proposto piú volte da questo blog che il prossimo Sinodo dei Vescovi sia dedicato all'interpretazione del Concilio.
Ma tant'è: a quanto pare, sia da parte vostra, sia da parte della Sede Apostolica un chiarimento sul Vaticano II è considerato come una condizione previa a qualsiasi altro tipo di accordo. Di qui la necessità di "colloqui dottrinali". Orbene, visto che tali colloqui dottrinali ci saranno, mi permetta di darLe qualche consiglio. Non perché pretenda di saperne piú di Lei, ma solo per esprimerLe, in spirito di fraterna carità, quel che sento in questo delicato momento.
Innanzi tutto, quando verrà a Roma per discutere con la CDF, non venga nella veste di colui che contesta o, peggio, rifiuta il Concilio. Questo significherebbe il fallimento immediato di qualsiasi dialogo. Venga piuttosto come uno che accetta il Vaticano II per quello che esso ha voluto essere, ed è effettivamente stato, cioè un concilio pastorale. Dica pure al Card. Levada che l'unica cosa che voi rifiutate — e su questo siamo tutti d'accordo — è l'assolutizzazione e l'ideologizzazione del Concilio, non il Concilio in quanto tale. Gli dica pure che voi trovate nei documenti del Vaticano II alcuni testi ambigui. Anche su questo, il Card. Levada dovrebbe convenire con Lei. Lo stesso Paolo VI trovò ambigua la trattazione della collegialità episcopale fatta dalla Lumen gentium, tanto è vero che sentí il bisogno di allegare a quella costituzione una "Nota praevia". Aggiunga che, essendoci delle ambiguità nei testi conciliari, si rende necessaria un'opera di interpretazione. Ma, per favore, non si presenti con la pretesa di essere Lei o la Sua Fraternità gli interpreti autorevoli del Concilio. Chieda piuttosto che sia la Sede Apostolica a dare un'interpretazione autentica dei passi piú oscuri. Qualcosa è stato già fatto (la detta "Nota praevia"; la spiegazione del significato dell'espressione "subsistit in"), ma molto rimane ancora da fare. Il criterio generale di tale interpretazione è stato già indicato da Benedetto XVI nel discorso alla Curia Romana del 22 dicembre 2005: l'ermeneutica della riforma in contrapposizione all'ermeneutica della discontinuità e della rottura. E gli dica che voi, su questo, non solo siete pienamente d'accordo col Santo Padre, ma volete mettervi a sua completa disposizione per aiutarlo in quest'opera di rilettura del Concilio nel solco della ininterrotta tradizione della Chiesa.
Eccellenza Reverendissima, sono sicuro che su quanto ho scritto finora Lei si trovi in buona misura d'accordo. Mi pare di percepirlo dal tono dei Suoi ultimi interventi, molto piú concilianti e possibilisti di un tempo. Ma so pure che deve fare i conti, all'interno della Fraternità, con posizioni piú massimaliste, che La mettono in guardia dall'essere troppo arrendevole nei confronti della Santa Sede. A mio modesto parere, dovrebbe far capire a questi Suoi confratelli che non c'è nulla da guadagnare, in questo momento, a irrigidirsi su posizioni intransigenti. Il Santo Padre ha già fatto molti passi verso di voi; ora sta a voi fare qualche passo verso di lui.
Questo non significa cedere sui vostri principi; perché, se veramente avete a cuore le sorti della Chiesa, non c'è luogo migliore, per far valere quei principi, che la Chiesa stessa. Rimanendone fuori, voi lascerete la Chiesa in balia di quelle forze distruttive che la stanno a poco a poco portando alla rovina. Finché voi continuerete a rifiutare il Concilio, queste forze avranno buon gioco a dire: "Vedete? Loro sono fuori della Chiesa, perché rifiutano il Concilio; noi siamo la vera Chiesa, perché accettiamo, difendiamo e attuiamo il Concilio". Se anche voi accettate il Concilio, rimarranno spiazzati; e a quel punto si rivelerà chi è veramente cattolico e chi non lo è; chi interpreta il Concilio alla luce della tradizione e chi lo interpreta ideologicamente, appellandosi a un suo preteso "spirito".
Questo non significa neppure tradire l'eredità dell'Arcivescovo Lefebvre. Lei sa meglio di me che il vostro Fondatore partecipò al Concilio, dando un notevole contributo alle discussioni e all'elaborazione dei suoi documenti, che approvò e firmò nella loro totalità. Come mai? Non si rendeva conto delle ambiguità in essi contenute? Evidentemente sperava che se ne potesse dare un'interpretazione ortodossa. Fu solo quando vide che l'interpretazione e l'applicazione del Concilio era diventata monopolio dei modernisti che irrigidì le sue posizioni. Sono convinto che, se avesse visto che c'era spazio nella Chiesa per continuare le sue battaglie dall'interno, non sarebbe mai giunto a una rottura con la Sede Apostolica. Ora che questo spazio esiste, ed è lo stesso Sommo Pontefice a offrirvelo, mi sembrerebbe sciocco non sfruttare questa occasione irripetibile. Si tratta di scegliere se rimanere nel seno della Chiesa e di lí svolgere un ruolo, certamente difficile, ma prezioso per la salvaguardia della tradizione e la rivitalizzazione della Chiesa stessa; oppure preferire di rimanere ai margini o addirittura fuori della Chiesa, col rischio di trasformarsi nel tralcio separato dalla vite, destinato a seccare.
Eccellenza, mi scusi se mi sono permesso di intervenire su tali delicate questioni. La posso assicurare che, da parte mia, non c'è alcuna pretesa e alcun interesse, c'è solo il desiderio di vedere il ristabilimento della piena comunione nella Chiesa. La Chiesa ha bisogno di voi e voi avete bisogno della Chiesa.
Colgo l'occasione per confermarmi, con sensi di distinto ossequio, dell'Eccellenza Vostra Rev.ma
dev.mo
Giovanni Scalese, CRSP
Non so se questa "lettera aperta" giungerà mai nelle Sue mani. Io l'affido agli angeli, perché Gliela recapitino personalmente. Già altra volta avevo scritto un articolo avendo in mente la vostra Fraternità; lo pubblicai su questo blog (fu il mio primo post), ed esso giunse miracolosamente a destinazione: fu ripreso dai vostri siti e definito "molto interessante".
Questa volta mi rivolgo a Lei, perché so che sono in corso i preparativi dei colloqui dottrinali con la Santa Sede, da voi a lungo richiesti e finalmente, con la remissione della scomunica, accordati da Papa Benedetto XVI. A quanto mi risulta, Lei è già stato a Roma per prendere i primi contatti con la Congregazione per la Dottrina della Fede.
Personalmente, sono sempre stato del parere che non ci sia bisogno di "colloqui" per la riammissione nella comunione della Chiesa cattolica. L'unica cosa necessaria, a parer mio, dovrebbe essere la professione di fede prevista dai sacri canoni. Una volta che condividiamo la stessa fede, dovremmo essere in piena comunione. Sul resto, che non è compreso in quella professione di fede, ritengo che sia sempre possibile discutere liberamente, ma stando all'interno, non all'esterno della Chiesa. L'accettazione di un Concilio, che si è autodefinito "pastorale", non dovrebbe, secondo me, essere una condizione per la riammissione nella comunione ecclesiastica. Sono d'accordo che sia quanto mai urgente una riflessione sul valore e l'interpretazione del Vaticano II; ma non mi sembra che questo debba essere oggetto di una trattativa fra la Santa Sede e la Fraternità di San Pio X; mi sembra piuttosto un problema che riguarda l'intera Chiesa. È per questo motivo che ho proposto piú volte da questo blog che il prossimo Sinodo dei Vescovi sia dedicato all'interpretazione del Concilio.
Ma tant'è: a quanto pare, sia da parte vostra, sia da parte della Sede Apostolica un chiarimento sul Vaticano II è considerato come una condizione previa a qualsiasi altro tipo di accordo. Di qui la necessità di "colloqui dottrinali". Orbene, visto che tali colloqui dottrinali ci saranno, mi permetta di darLe qualche consiglio. Non perché pretenda di saperne piú di Lei, ma solo per esprimerLe, in spirito di fraterna carità, quel che sento in questo delicato momento.
Innanzi tutto, quando verrà a Roma per discutere con la CDF, non venga nella veste di colui che contesta o, peggio, rifiuta il Concilio. Questo significherebbe il fallimento immediato di qualsiasi dialogo. Venga piuttosto come uno che accetta il Vaticano II per quello che esso ha voluto essere, ed è effettivamente stato, cioè un concilio pastorale. Dica pure al Card. Levada che l'unica cosa che voi rifiutate — e su questo siamo tutti d'accordo — è l'assolutizzazione e l'ideologizzazione del Concilio, non il Concilio in quanto tale. Gli dica pure che voi trovate nei documenti del Vaticano II alcuni testi ambigui. Anche su questo, il Card. Levada dovrebbe convenire con Lei. Lo stesso Paolo VI trovò ambigua la trattazione della collegialità episcopale fatta dalla Lumen gentium, tanto è vero che sentí il bisogno di allegare a quella costituzione una "Nota praevia". Aggiunga che, essendoci delle ambiguità nei testi conciliari, si rende necessaria un'opera di interpretazione. Ma, per favore, non si presenti con la pretesa di essere Lei o la Sua Fraternità gli interpreti autorevoli del Concilio. Chieda piuttosto che sia la Sede Apostolica a dare un'interpretazione autentica dei passi piú oscuri. Qualcosa è stato già fatto (la detta "Nota praevia"; la spiegazione del significato dell'espressione "subsistit in"), ma molto rimane ancora da fare. Il criterio generale di tale interpretazione è stato già indicato da Benedetto XVI nel discorso alla Curia Romana del 22 dicembre 2005: l'ermeneutica della riforma in contrapposizione all'ermeneutica della discontinuità e della rottura. E gli dica che voi, su questo, non solo siete pienamente d'accordo col Santo Padre, ma volete mettervi a sua completa disposizione per aiutarlo in quest'opera di rilettura del Concilio nel solco della ininterrotta tradizione della Chiesa.
Eccellenza Reverendissima, sono sicuro che su quanto ho scritto finora Lei si trovi in buona misura d'accordo. Mi pare di percepirlo dal tono dei Suoi ultimi interventi, molto piú concilianti e possibilisti di un tempo. Ma so pure che deve fare i conti, all'interno della Fraternità, con posizioni piú massimaliste, che La mettono in guardia dall'essere troppo arrendevole nei confronti della Santa Sede. A mio modesto parere, dovrebbe far capire a questi Suoi confratelli che non c'è nulla da guadagnare, in questo momento, a irrigidirsi su posizioni intransigenti. Il Santo Padre ha già fatto molti passi verso di voi; ora sta a voi fare qualche passo verso di lui.
Questo non significa cedere sui vostri principi; perché, se veramente avete a cuore le sorti della Chiesa, non c'è luogo migliore, per far valere quei principi, che la Chiesa stessa. Rimanendone fuori, voi lascerete la Chiesa in balia di quelle forze distruttive che la stanno a poco a poco portando alla rovina. Finché voi continuerete a rifiutare il Concilio, queste forze avranno buon gioco a dire: "Vedete? Loro sono fuori della Chiesa, perché rifiutano il Concilio; noi siamo la vera Chiesa, perché accettiamo, difendiamo e attuiamo il Concilio". Se anche voi accettate il Concilio, rimarranno spiazzati; e a quel punto si rivelerà chi è veramente cattolico e chi non lo è; chi interpreta il Concilio alla luce della tradizione e chi lo interpreta ideologicamente, appellandosi a un suo preteso "spirito".
Questo non significa neppure tradire l'eredità dell'Arcivescovo Lefebvre. Lei sa meglio di me che il vostro Fondatore partecipò al Concilio, dando un notevole contributo alle discussioni e all'elaborazione dei suoi documenti, che approvò e firmò nella loro totalità. Come mai? Non si rendeva conto delle ambiguità in essi contenute? Evidentemente sperava che se ne potesse dare un'interpretazione ortodossa. Fu solo quando vide che l'interpretazione e l'applicazione del Concilio era diventata monopolio dei modernisti che irrigidì le sue posizioni. Sono convinto che, se avesse visto che c'era spazio nella Chiesa per continuare le sue battaglie dall'interno, non sarebbe mai giunto a una rottura con la Sede Apostolica. Ora che questo spazio esiste, ed è lo stesso Sommo Pontefice a offrirvelo, mi sembrerebbe sciocco non sfruttare questa occasione irripetibile. Si tratta di scegliere se rimanere nel seno della Chiesa e di lí svolgere un ruolo, certamente difficile, ma prezioso per la salvaguardia della tradizione e la rivitalizzazione della Chiesa stessa; oppure preferire di rimanere ai margini o addirittura fuori della Chiesa, col rischio di trasformarsi nel tralcio separato dalla vite, destinato a seccare.
Eccellenza, mi scusi se mi sono permesso di intervenire su tali delicate questioni. La posso assicurare che, da parte mia, non c'è alcuna pretesa e alcun interesse, c'è solo il desiderio di vedere il ristabilimento della piena comunione nella Chiesa. La Chiesa ha bisogno di voi e voi avete bisogno della Chiesa.
Colgo l'occasione per confermarmi, con sensi di distinto ossequio, dell'Eccellenza Vostra Rev.ma
dev.mo
Giovanni Scalese, CRSP