Giorni fa ZENIT ha pubblicato una recensione del libro di Ralph McInerny, Vaticano II. Che cosa è andato storto? (Fede & Cultura, Verona 2009), successivamente ripresa da altri siti. Siccome questo blog si è sempre interessato delle problematiche concernenti il Concilio Vaticano II, non posso ignorare tale pubblicazione. Premetto che non possiedo il volume, e perciò devo basarmi esclusivamente su quanto riportato nella suddetta recensione.
A quanto pare, la tesi dell’Autore, è che il problema non sta nel Concilio in quanto tale, ma nella sua interpretazione. E fin qui ci troviamo perfettamente d’accordo: penso che ormai tale distinzione possa considerarsi appurata. Secondo lui, il problema è nato nel 1968, anno in cui la contestazione non entrò solo nelle università, ma anche nella Chiesa, specialmente in concomitanza con la pubblicazione dell’Humanae vitae. Il rifiuto di tale enciclica, afferma McInerny, va al di là delle questioni di morale sessuale e si pone come contestazione globale dell’autorità del Papa e del Magistero. “Per McInerny, è questa confusione ed aperta ribellione culminata con l’opposizione alla Enciclica Humanae vitae che ha indebolito la Chiesa e generato la crisi di vocazioni e di perdita di fede”.
Molto probabilmente la domanda (non so se posta da McInerny o dall’autore della recensione, Antonio Gaspari) se l’attuale crisi della Chiesa vada ricondotta a cause esterne alla Chiesa stessa o sia una diretta conseguenza del Concilio non avrà mai una risposta. La storia non si fa con i “se”: non sapremo mai che cosa sarebbe avvenuto alla Chiesa se non ci fosse stato il Vaticano II. Quel che sappiamo è che il Concilio c’è stato; che in esso non si possono rinvenire veri e propri errori; al massimo, possiamo addebitargli qualche eccessiva illusione circa le “magnifiche sorti e progressive” del mondo moderno e qualche ambiguità nei suoi documenti. Ma sappiamo pure che, durante e soprattutto dopo il Concilio, si è diffuso nella Chiesa un forte dissenso, che ha provocato confusione e disorientamento nei fedeli. Non sarà dunque proprio questo dissenso la causa dell’attuale crisi della Chiesa? Non saprei dare una risposta definitiva. Mi sembra però che si tratti di una tesi degna della massima attenzione.
Anche perché — aggiungo io — se cosí fosse, il problema della crisi della Chiesa non potrebbe essere piú ricondotto al Concilio stesso (che anzi andrebbe rivalutato) e neppure soltanto alla corrente progressista, che ha interpretato a suo modo il Vaticano II (mettendo lo “spirito del Concilio” al di sopra del Concilio stesso), ma anche a coloro che hanno rifiutato il Concilio e contestato l’autorità pontificia da posizioni tradizionaliste (anche costoro hanno dato, oggettivamente, al di là delle loro intenzioni, un contributo al dissenso ecclesiale).
Io, almeno per il momento, sospendo qualsiasi giudizio; ma voi capite bene che assumendo la tesi di McInerny e portandola alle sue logiche conseguenze, cambia tutto. In ogni caso, mi pare che McInerny, con la sua tesi, si faccia interprete di quella che era la posizione di Paolo VI. Papa Montini, che, nonostante lo si dipinga spesso come Papa “progressista”, era perfettamente consapevole e “geloso” del proprio ruolo primaziale, ha sempre considerato il rifiuto del Vaticano II e delle riforme ad esso seguite (come la riforma liturgica) come un rifiuto dell’autorità della Chiesa (che nel Concilio si era manifestata) e di quella pontificia (che approvava ed emanava quelle riforme). I tradizionalisti hanno sempre descritto il loro atteggiamento come una reazione alla demolizione della Chiesa operata dalle forze progressiste; essi hanno sempre invocato lo “stato di necessità” come giustificazione di un’aperta opposizione alla legittima autorità della Chiesa. Non sta a me dire se tale posizione sia giusta o sbagliata. Dico solo (pur sapendo che la storia non si fa con i “se”): ma se invece di opporsi a Roma, ci si fosse tutti stretti intorno al Papa, le cose non sarebbero andate in modo diverso?
A quanto pare, la tesi dell’Autore, è che il problema non sta nel Concilio in quanto tale, ma nella sua interpretazione. E fin qui ci troviamo perfettamente d’accordo: penso che ormai tale distinzione possa considerarsi appurata. Secondo lui, il problema è nato nel 1968, anno in cui la contestazione non entrò solo nelle università, ma anche nella Chiesa, specialmente in concomitanza con la pubblicazione dell’Humanae vitae. Il rifiuto di tale enciclica, afferma McInerny, va al di là delle questioni di morale sessuale e si pone come contestazione globale dell’autorità del Papa e del Magistero. “Per McInerny, è questa confusione ed aperta ribellione culminata con l’opposizione alla Enciclica Humanae vitae che ha indebolito la Chiesa e generato la crisi di vocazioni e di perdita di fede”.
Molto probabilmente la domanda (non so se posta da McInerny o dall’autore della recensione, Antonio Gaspari) se l’attuale crisi della Chiesa vada ricondotta a cause esterne alla Chiesa stessa o sia una diretta conseguenza del Concilio non avrà mai una risposta. La storia non si fa con i “se”: non sapremo mai che cosa sarebbe avvenuto alla Chiesa se non ci fosse stato il Vaticano II. Quel che sappiamo è che il Concilio c’è stato; che in esso non si possono rinvenire veri e propri errori; al massimo, possiamo addebitargli qualche eccessiva illusione circa le “magnifiche sorti e progressive” del mondo moderno e qualche ambiguità nei suoi documenti. Ma sappiamo pure che, durante e soprattutto dopo il Concilio, si è diffuso nella Chiesa un forte dissenso, che ha provocato confusione e disorientamento nei fedeli. Non sarà dunque proprio questo dissenso la causa dell’attuale crisi della Chiesa? Non saprei dare una risposta definitiva. Mi sembra però che si tratti di una tesi degna della massima attenzione.
Anche perché — aggiungo io — se cosí fosse, il problema della crisi della Chiesa non potrebbe essere piú ricondotto al Concilio stesso (che anzi andrebbe rivalutato) e neppure soltanto alla corrente progressista, che ha interpretato a suo modo il Vaticano II (mettendo lo “spirito del Concilio” al di sopra del Concilio stesso), ma anche a coloro che hanno rifiutato il Concilio e contestato l’autorità pontificia da posizioni tradizionaliste (anche costoro hanno dato, oggettivamente, al di là delle loro intenzioni, un contributo al dissenso ecclesiale).
Io, almeno per il momento, sospendo qualsiasi giudizio; ma voi capite bene che assumendo la tesi di McInerny e portandola alle sue logiche conseguenze, cambia tutto. In ogni caso, mi pare che McInerny, con la sua tesi, si faccia interprete di quella che era la posizione di Paolo VI. Papa Montini, che, nonostante lo si dipinga spesso come Papa “progressista”, era perfettamente consapevole e “geloso” del proprio ruolo primaziale, ha sempre considerato il rifiuto del Vaticano II e delle riforme ad esso seguite (come la riforma liturgica) come un rifiuto dell’autorità della Chiesa (che nel Concilio si era manifestata) e di quella pontificia (che approvava ed emanava quelle riforme). I tradizionalisti hanno sempre descritto il loro atteggiamento come una reazione alla demolizione della Chiesa operata dalle forze progressiste; essi hanno sempre invocato lo “stato di necessità” come giustificazione di un’aperta opposizione alla legittima autorità della Chiesa. Non sta a me dire se tale posizione sia giusta o sbagliata. Dico solo (pur sapendo che la storia non si fa con i “se”): ma se invece di opporsi a Roma, ci si fosse tutti stretti intorno al Papa, le cose non sarebbero andate in modo diverso?