L’altro giorno Alberto Melloni ha rilasciato una breve intervista a La Stampa a proposito del Papa. Solo quattro domande. Sulla prima risposta (la domanda riguardava il messaggio lanciato da Benedetto XVI a Praga) si potrebbe pure convenire. Secondo Melloni, Papa Ratzinger a Praga ha riaperto la questione, da tempo tramontata, delle radici cristiane dell’Europa. Questione tramontata, perché l’aveva già posta, senza successo, Giovanni Paolo II. «Ora Ratzinger — sostiene Melloni — ci torna sopra per inerzia». Può darsi che abbia ragione.
Personalmente, mi chiedo anch’io quale possa essere l’utilità di tale richiamo alle radici cristiane dell’Europa. Che l’Europa abbia radici cristiane è un dato di fatto, che nessuno può negare: basta guardarsi intorno, basta studiare la storia, basta conoscere la cultura europea: non si può far finta di non vedere che l’Europa è figlia del cristianesimo. Ma il problema, almeno per noi cristiani, non è tanto quello di riconoscere un dato storico; il problema è che questa Europa, dalle radici cristiane, non è piú cristiana. Questo è il problema di cui, come cristiani, dobbiamo prendere coscienza. L’unica preoccupazione di un cristiano dovrebbe essere non che da qualche parte sia scritto che l’Europa ha radici (giudeo?) cristiane, ma che l’Europa sia effettivamente cristiana. Orbene, c’è da chiedersi: rammentare all’attuale Europa totalmente secolarizzata che essa ha delle radici cristiane è sufficiente perché essa ridiventi cristiana?
Se devo essere sincero, mi ero dimenticato che Giovanni Paolo II era stato per ben tre volte a Praga. Ebbene, quale è stato il risultato di queste tre visite del Papa che riempiva le piazze, del grande comunicatore che trascinava le folle, del leader carismatico che piaceva a i giovani? Che Praga è, a quanto pare, la città piú atea d’Europa. Se non c’è riuscito Wojtyla, col suo carisma, ci riuscirà Ratzinger, col suo stile discreto? Staremo a vedere. Io, per il momento, mi permetto di sollevare qualche dubbio. Perché?
Come ho già scritto in altre occasioni, per me, all’apostasia non c’è rimedio. Essa è uno dei peccati contro lo Spirito Santo (“impugnare la verità conosciuta”); e noi sappiamo che per tali peccati non esiste perdono. Bisogna solo aspettare che questa Europa finisca da sé e che dalle sue ceneri nasca una nuova Europa. In questo momento ciò che importa è che la Chiesa — piccolo gregge, “resto d’Israele” — tenga accesa la fiamma, conservi la fede; cosicché, al momento opportuno possa costituire il seme della rinascita. Ma credo che Ratzinger non sia estraneo a tali riflessioni. Solo che, come Papa, non può farsene interprete piú di tanto, essendo esse politicamente scorrette.
Come vedete, non escludo che in certi casi si possa discutere su ciò che il Papa dice o fa. Anzi, personalmente, io muoverei un ulteriore appunto alla visita di Benedetto XVI nella Repubblica Ceca. Capisco che quest’anno ricorre il XX anniversario della caduta del Muro, e quindi le rievocazioni diventano pressoché inevitabili; ma chiedo: è proprio necessario continuare a parlare di un fenomeno che appartiene al passato? Quale significato può avere condannare oggi il comunismo? Il comunismo andava condannato quando esisteva, non oggi che è morto e sepolto. Troppo comodo scaricare la colpa dell’ateismo e dell’indifferentismo attuali su un regime che non esiste piú da vent’anni. Non sarà per caso responsabile di tale situazione il sistema in cui noi oggi viviamo? Ho l’impressione che il passato diventi spesso un alibi per non parlare del presente: continuiamo a condannare nazismo e comunismo, ma facciamo fatica a esprimere un giudizio critico sul presente, come se vivessimo nel migliore dei mondi possibili. Spesso non ci rendiamo conto (o facciamo finta di non renderci conto) dei limiti del presente e continuiamo a deplorare regimi che la storia ha già definitivamente giudicato. Faccio un esempio: come mai la Chiesa non si esprime in maniera netta sul Trattato di Lisbona (anzi, a quanto pare, i Vescovi irlandesi hanno invitato i loro fedeli a votare a favore della sua ratifica...). Si dirà: non è compito della Chiesa far politica. Bene, se è politica occuparsi del presente, è politica anche esprimere giudizi sul passato; se, al contrario, possiamo esprimere giudizi morali sul passato, possiamo farlo anche nei confronti del presente.
Se, come dicevo, sulla prima risposta si può anche convenire con Melloni, sul resto dell’intervista non si può in alcun modo essere d’accordo con lui. Il giudizio che egli esprime su Benedetto XVI, oltre a essere ingeneroso e offensivo, è totalmente sballato. «Il Papa è un teologo, segue rigidamente la sua linea di pensiero». Vuole dire: Ratzinger è un intellettuale, che vive fuori del mondo, prigioniero dei suoi pensieri, incapace di cogliere la realtà. «Della situazione italiana Ratzinger ha una visione molto limitata, non personalizza il nodo-Italia». Cosa di per sé possibile per uno straniero; ma non è questo il motivo, secondo Melloni; il motivo vero è il suo approccio intellettualistico: «Vede intellettualmente uno scenario in cui si agitano delle culture, delle tensioni. Non vede persone, ma prospettive».
Mi chiedo di chi stia parlando Melloni, se di Benedetto XVI o di sé stesso. Sí, perché quelle parole si attagliano perfettamente a chi le pronuncia: è Melloni l’intellettuale che vive fuori del mondo, applica i suoi schemi mentali alla realtà che lo circonda, è incapace di vedere persone (anche Papa Ratzinger è una persona), ma solo prospettive. Melloni non lo dice espressamente, ma è quel che sottintende: secondo lui, Benedetto XVI è un ideologo. Ma non si accorge che, se in tutta questa storia c’è un ideologo, questo è proprio lui.
Oltre tutto, mi sembra che non sia neppure coerente nella sua sbrigativa descrizione di Papa Ratzinger: da una parte lo considera un intellettuale che vive fra le nuvole; dall’altra, un cinico opportunista: «Il suo ragionamento è lineare: “Berlusconi è il premier, ascolta le nostre sollecitazioni, quindi non c’è ragione per non trattarlo bene”. Il resto sono problemi di carattere dottrinario ... Per il governo, Ratzinger è un cliente complicato perché è un negoziatore che non si arresta nelle sue richieste». Non mi sembra questa la descrizione esatta di un intellettuale che vive rinchiuso nelle sue astrazioni.
A parte il fatto che non ce lo vedo proprio Papa Ratzinger nelle vesti del “negoziatore” insaziabile; ho l’impressione che proprio su questo punto Melloni dimostri, da buon ideologo, di non aver capito nulla di Benedetto XVI. Sembrerebbe che l’unica preoccupazione del Papa sia quella di “difendere i principi non negoziabili”. Ancora una volta, dunque, un uomo che vive di astrazioni e che riduce il cristianesimo a una questione di “principi”. Basterebbe aver letto qualche scritto del Card. Ratzinger o anche solo ascoltare qualche intervento di Benedetto XVI per capire che per lui il cristianesimo non è affatto una questione di principi, ma è, innanzi tutto, un’esperienza, è vita. Ma come può cogliere certe sfumature un uomo accecato dall’ideologia, prigioniero dei suoi schemi mentali? È proprio vero, Melloni non vede persone, ma prospettive.
Personalmente, mi chiedo anch’io quale possa essere l’utilità di tale richiamo alle radici cristiane dell’Europa. Che l’Europa abbia radici cristiane è un dato di fatto, che nessuno può negare: basta guardarsi intorno, basta studiare la storia, basta conoscere la cultura europea: non si può far finta di non vedere che l’Europa è figlia del cristianesimo. Ma il problema, almeno per noi cristiani, non è tanto quello di riconoscere un dato storico; il problema è che questa Europa, dalle radici cristiane, non è piú cristiana. Questo è il problema di cui, come cristiani, dobbiamo prendere coscienza. L’unica preoccupazione di un cristiano dovrebbe essere non che da qualche parte sia scritto che l’Europa ha radici (giudeo?) cristiane, ma che l’Europa sia effettivamente cristiana. Orbene, c’è da chiedersi: rammentare all’attuale Europa totalmente secolarizzata che essa ha delle radici cristiane è sufficiente perché essa ridiventi cristiana?
Se devo essere sincero, mi ero dimenticato che Giovanni Paolo II era stato per ben tre volte a Praga. Ebbene, quale è stato il risultato di queste tre visite del Papa che riempiva le piazze, del grande comunicatore che trascinava le folle, del leader carismatico che piaceva a i giovani? Che Praga è, a quanto pare, la città piú atea d’Europa. Se non c’è riuscito Wojtyla, col suo carisma, ci riuscirà Ratzinger, col suo stile discreto? Staremo a vedere. Io, per il momento, mi permetto di sollevare qualche dubbio. Perché?
Come ho già scritto in altre occasioni, per me, all’apostasia non c’è rimedio. Essa è uno dei peccati contro lo Spirito Santo (“impugnare la verità conosciuta”); e noi sappiamo che per tali peccati non esiste perdono. Bisogna solo aspettare che questa Europa finisca da sé e che dalle sue ceneri nasca una nuova Europa. In questo momento ciò che importa è che la Chiesa — piccolo gregge, “resto d’Israele” — tenga accesa la fiamma, conservi la fede; cosicché, al momento opportuno possa costituire il seme della rinascita. Ma credo che Ratzinger non sia estraneo a tali riflessioni. Solo che, come Papa, non può farsene interprete piú di tanto, essendo esse politicamente scorrette.
Come vedete, non escludo che in certi casi si possa discutere su ciò che il Papa dice o fa. Anzi, personalmente, io muoverei un ulteriore appunto alla visita di Benedetto XVI nella Repubblica Ceca. Capisco che quest’anno ricorre il XX anniversario della caduta del Muro, e quindi le rievocazioni diventano pressoché inevitabili; ma chiedo: è proprio necessario continuare a parlare di un fenomeno che appartiene al passato? Quale significato può avere condannare oggi il comunismo? Il comunismo andava condannato quando esisteva, non oggi che è morto e sepolto. Troppo comodo scaricare la colpa dell’ateismo e dell’indifferentismo attuali su un regime che non esiste piú da vent’anni. Non sarà per caso responsabile di tale situazione il sistema in cui noi oggi viviamo? Ho l’impressione che il passato diventi spesso un alibi per non parlare del presente: continuiamo a condannare nazismo e comunismo, ma facciamo fatica a esprimere un giudizio critico sul presente, come se vivessimo nel migliore dei mondi possibili. Spesso non ci rendiamo conto (o facciamo finta di non renderci conto) dei limiti del presente e continuiamo a deplorare regimi che la storia ha già definitivamente giudicato. Faccio un esempio: come mai la Chiesa non si esprime in maniera netta sul Trattato di Lisbona (anzi, a quanto pare, i Vescovi irlandesi hanno invitato i loro fedeli a votare a favore della sua ratifica...). Si dirà: non è compito della Chiesa far politica. Bene, se è politica occuparsi del presente, è politica anche esprimere giudizi sul passato; se, al contrario, possiamo esprimere giudizi morali sul passato, possiamo farlo anche nei confronti del presente.
Se, come dicevo, sulla prima risposta si può anche convenire con Melloni, sul resto dell’intervista non si può in alcun modo essere d’accordo con lui. Il giudizio che egli esprime su Benedetto XVI, oltre a essere ingeneroso e offensivo, è totalmente sballato. «Il Papa è un teologo, segue rigidamente la sua linea di pensiero». Vuole dire: Ratzinger è un intellettuale, che vive fuori del mondo, prigioniero dei suoi pensieri, incapace di cogliere la realtà. «Della situazione italiana Ratzinger ha una visione molto limitata, non personalizza il nodo-Italia». Cosa di per sé possibile per uno straniero; ma non è questo il motivo, secondo Melloni; il motivo vero è il suo approccio intellettualistico: «Vede intellettualmente uno scenario in cui si agitano delle culture, delle tensioni. Non vede persone, ma prospettive».
Mi chiedo di chi stia parlando Melloni, se di Benedetto XVI o di sé stesso. Sí, perché quelle parole si attagliano perfettamente a chi le pronuncia: è Melloni l’intellettuale che vive fuori del mondo, applica i suoi schemi mentali alla realtà che lo circonda, è incapace di vedere persone (anche Papa Ratzinger è una persona), ma solo prospettive. Melloni non lo dice espressamente, ma è quel che sottintende: secondo lui, Benedetto XVI è un ideologo. Ma non si accorge che, se in tutta questa storia c’è un ideologo, questo è proprio lui.
Oltre tutto, mi sembra che non sia neppure coerente nella sua sbrigativa descrizione di Papa Ratzinger: da una parte lo considera un intellettuale che vive fra le nuvole; dall’altra, un cinico opportunista: «Il suo ragionamento è lineare: “Berlusconi è il premier, ascolta le nostre sollecitazioni, quindi non c’è ragione per non trattarlo bene”. Il resto sono problemi di carattere dottrinario ... Per il governo, Ratzinger è un cliente complicato perché è un negoziatore che non si arresta nelle sue richieste». Non mi sembra questa la descrizione esatta di un intellettuale che vive rinchiuso nelle sue astrazioni.
A parte il fatto che non ce lo vedo proprio Papa Ratzinger nelle vesti del “negoziatore” insaziabile; ho l’impressione che proprio su questo punto Melloni dimostri, da buon ideologo, di non aver capito nulla di Benedetto XVI. Sembrerebbe che l’unica preoccupazione del Papa sia quella di “difendere i principi non negoziabili”. Ancora una volta, dunque, un uomo che vive di astrazioni e che riduce il cristianesimo a una questione di “principi”. Basterebbe aver letto qualche scritto del Card. Ratzinger o anche solo ascoltare qualche intervento di Benedetto XVI per capire che per lui il cristianesimo non è affatto una questione di principi, ma è, innanzi tutto, un’esperienza, è vita. Ma come può cogliere certe sfumature un uomo accecato dall’ideologia, prigioniero dei suoi schemi mentali? È proprio vero, Melloni non vede persone, ma prospettive.