domenica 1 novembre 2009

Ognissanti

Quando si è bambini, si ha la massima stima e fiducia di alcune persone (i genitori, gli insegnanti, i sacerdoti, ecc.); a scuola ci educano al culto degli eroi; al catechismo ci propongono l’esempio dei santi. Anche se sappiamo che nel mondo ci sono alcuni “cattivi” (da cui dobbiamo guardarci attentamente), siamo convinti che la maggior parte dell’umanità sia “buona”. Poi, col passare degli anni, a poco a poco, incominciamo ad aprire gli occhi e ad accorgerci che la realtà è un tantino diversa da come ci era stata dipinta: scopriamo che i genitori non sono cosí perfetti come ce l’immaginavamo; gli insegnanti cosí sapienti come avevamo creduto; i sacerdoti cosí santi come ci erano apparsi. Studiando piú seriamente la storia, veniamo a sapere che quelli che ci erano stati presentati come eroi non erano poi tali. L’unica categoria che tiene sembrerebbe quella dei santi. OK, gli uomini sono quello che sono, però ci sono stati almeno alcuni che sono stati capaci di vivere a pieno la loro umanità. Leggendo le vite dei santi, restiamo affascinati dal loro esempio e nasce in noi il desiderio di imitarli: Si ille et iste, cur non ego?

Gli anni continuano a passare e ci accorgiamo che non è poi cosí facile riprodurre in noi l’esempio dei santi. Quello che era stato un motivo di entusiasmo e di fervore, diventa un motivo di frustrazione. A poco a poco incomincia a insinuarsi un dubbio: ma sarà poi vero che i santi hanno fatto quel che ne scrivono gli agiografi? Divenuti sempre piú scettici e vittime dello spirito ipercritico, incominciamo a sospettare che si tratti esclusivamente di un genere letterario. E cosí, sotto la spinta di nuove scoperte e rivelazioni, anche l’immagine dei santi comincia a ridimensionarsi. Giusto un esempio: Madre Teresa, che avevamo sempre immaginato completamente assorta in Dio, per anni visse nella piú assoluta oscurità e aridità. Ma allora... anche lei era come noi?

Sí, anche lei era come noi. Tutti i santi erano come noi, dei poveri uomini come noi, peccatori come noi. Allora incominciamo a capire che certe cose strane che leggevamo nelle vite dei santi avevano un senso: quando dicevano di essere dei peccatori, non era un modo di dire, né tanto meno una forma di umiltà pelosa; era la pura e semplice verità. Quando leggevamo che si confessavano tutti i giorni, non era perché fossero scrupolosi, ma perché sentivano effettivamente il bisogno della misericordia di Dio. Quando ci parlavano delle loro tentazioni e noi pensavamo che si trattasse di una specie di commedia, in realtà avevano sperimentato le stesse tentazioni che noi quotidianamente sperimentiamo e, lungi dall’averle sempre superate vittoriosamente, spesso forse ci sono caduti come noi quasi immancabilmente ci cadiamo. A quel punto i santi cessano di essere gli eroi a cui guardavamo con ammirazione (e frustrazione) e cominciano a essere nostri fratelli, in tutto simili a noi.

Ma allora dove sta la loro santità? Non sta certo nei loro sforzi, molto probabilmente destinati al fallimento come i nostri; ma nella grazia, che si è servita di loro, nonostante i loro limiti e le loro debolezze (o forse proprio per questo), per compiere meraviglie. L’unico grande merito dei santi è stato quello di aver permesso alla grazia di operare in loro. Quest’oggi, prima che celebrare le virtú e i meriti dei santi, celebriamo la grazia di Dio, che ha saputo trasformare delle povere creature in strumenti della sua potenza.