giovedì 17 settembre 2009

Chiese brutte: problema educativo o "politico"?

Ho letto ieri l’articolo del Giornale che riportava il giudizio espresso da Mons. Ravasi sulle chiese moderne: «Un certo cattivo gusto nelle chiese, oggi, è un dato di fatto. Per questo è indispensabile una formazione di tipo estetico a partire dai seminari e dalle parrocchie».

Tale intervento è stato accolto favorevolmente, come segno di un’inversione di tendenza della Chiesa in campo artistico. Da parte mia, mi permetto di fare qualche considerazione.

Non voglio parlare del passato; sarebbe del tutto inutile: il passato è passato. Concentriamoci piuttosto sul presente e sul futuro. Ebbene, mi sembra abbastanza comodo — oltreché velleitario — pensare di risolvere il problema appellandosi alla formazione. Oggi sembra che tutti i problemi si possano e si debbano risolvere sul piano educativo. Per carità, sono il primo a riconoscere il ruolo basilare e insostituibile dell’educazione; ma non è vero che le responsabilità vadano sempre e solo individuate in un difetto di formazione. Perché, se cosí fosse, qualsiasi problema sarebbe esclusivamente un problema della “base”. Il che mi sembra, onestamente, un comodo alibi, con cui i “vertici” cercano di nascondere le proprie responsabilità. I problemi hanno, il piú delle volte, cause “politiche”, e attendono, per essere risolti, soluzioni “politiche”.

Da parte mia, non ho nulla, in linea di principio, contro una “formazione estetica” nei seminari (semmai, mi chiedo come questa possa avvenire in una parrocchia...). Siccome però sono direttamente coinvolto nel lavoro di formazione, ho l’impressione che talvolta ci si attenda troppo da noi formatori: dovremmo essere in grado non solo di dare una formazione spirituale-teologica ai candidati al sacerdozio, ma prima di questa dovremmo assicurare ai seminaristi una formazione umana e culturale, e successivamente dovremmo completare la loro formazione con un addestramento pastorale e con corsi integrativi nei piú svariati settori (che vanno dall’economia alla politica, dalle scienze umane alla tecnologia, e chi piú ne ha piú ne metta: adesso aggiungiamoci anche l’arte). Sinceramente, non vi sembra un po’ troppo? Abbiamo già da sudare sette camicie, perché i candidati giungono in seminario senza alcuna formazione di base: non è piú come una volta che si entrava in seminario da bambini e tutti seguivano, nel seminario stesso, gli studi classici; oggi arrivano con studi un po’ raffazzonati, e tu devi ricominciare da capo, a partire dalle abilità linguistiche di base, spesso carenti (altro che latino e lingue bibliche e moderne...). Figuriamoci, ora dobbiamo dare loro anche una formazione estetica. Ma ci si rende conto che oggi la maggior parte dei candidati viene dal terzo mondo, dove non si ha idea di che cosa sia l’arte? Ma, in ogni caso, si può accettare la sfida, in quanto anche un pizzico di estetica fa parte di una educazione integrale.

Il problema però, a mio parere, non sta qui, nella formazione dei futuri sacerdoti. Semplicemente perché non è il povero parroco che decide della costruzione di una chiesa. È vero, molto spesso la parrocchia viene eretta prima della costruzione della chiesa, per cui il parroco ha una responsabilità nella richiesta e ispirazione dei progetti. Ma poi tali progetti devono essere approvati dalla commissione o dai responsabili deputati in ogni diocesi per l’architettura sacra. Quindi il problema non è tanto quello di avere parroci con senso estetico (ovviamente, se ce l’hanno, tanto meglio); il problema è, appunto, un problema “politico”: sono gli organi diocesani competenti che devono funzionare. Se viene presentato il progetto di una chiesa-scatola, esso deve semplicemente essere cestinato. Ci vuol tanto? Allora il vero problema è, sí, un problema di formazione, ma non tanto di formazione del clero, quanto piuttosto di formazione dei tecnici, di coloro che prendono le decisioni in materia.

Tali organi competenti dovrebbero avere delle regole ben precise, valide per tutti, e non lasciate al gusto personale di questo o quell’esperto. Per esempio, la prima regola, suggerita dal buon senso, dovrebbe essere che, quando si deve costruire una chiesa, ci si deve rivolgere a un architetto cristiano-cattolico-praticante-esperto in liturgia, non a un architetto qualsiasi, fosse pure di grido. Mi dite voi che senso ha far progettare una chiesa a un architetto ebreo o, addirittura, ateo? E poi ci meravigliamo che le chiese moderne sono fredde, senz’anima... Ma che volete che ne capisca di una chiesa un architetto non-credente? Per lui sarà unicamente una questione di luci e di volumi. Ancora una volta dunque si pone, sí, un problema di formazione, ma di formazione di artisti cristiani. Il principio dell’art pour l’art nella Chiesa non trova spazio; o l’arte sacra è espressione della fede (e non di una fede astratta, ma di una fede vissuta), o non è.