venerdì 17 aprile 2009

Benedetto XVI , quattro anni di pontificato

Ieri era il compleanno del Papa; domenica prossima sarà l'anniversario della sua elezione. Occasioni buone per redigere bilanci di questo pontificato. Io non sono nessuno per fare bilanci; mi limiterò a esprimere qualche pensiero in libertà, secondo il mio solito, anche su questo argomento.

Innanzi tutto, alcune premesse. Prima premessa: sono romano. Noi romani vogliamo bene al Papa. Non a questo o a quel Papa, ma al Papa, chiunque egli sia. Quando, dopo secoli, con Giovanni Paolo II, abbiamo avuto un Papa straniero, non abbiamo fatto nessuna fatica ad accettarlo, semplicemente perché... era il Papa. Vogliamo bene al Papa, ma siamo anche un po' scanzonati: non dimentichiamo che Roma è la patria di Pasquino e del Belli.

Seconda premessa. Appartengo a un Ordine religioso che, pur rimanendo sempre fedele alla Chiesa, ha vissuto un rapporto spesso conflittuale con la Sede Apostolica. Alle origini i Barnabiti dovettero subire una visita apostolica, che li obbligò a rinunciare a molte novità che li caratterizzavano. Un momento di forte tensione fu quello vissuto nell'Ottocento a causa della questione rosminiana. Nel Novecento Pio X fu addirittura tentato di procedere alla soppressione dell'Ordine, perché sospetto di simpatie moderniste. Ma, nonostante ciò, i Barnabiti sono sempre stati figli obbedienti della Chiesa e i Papi hanno sempre saputo che potevano fidarsi di loro.

Terza premessa. La formazione che ho ricevuto, dai Domenicani e dai Gesuiti, è di assoluta fedeltà alla Chiesa, ma scevra da qualsiasi piaggeria. L'unica preoccupazione dei Domenicani era il culto per la verità. Dei Gesuiti ricorderò sempre l'atteggiamento di totale sottomissione al Pontefice nel momento del "commissariamento" della Compagnia da parte di Giovanni Paolo II.

Quarta premessa. Personalmente, sono rimasto alla bolla Unam Sanctam di Bonifacio VIII: credo con convinzione che "subesse Romano Pontifici omni humanæ creaturæ ... omnino esse de necessitate salutis". Ma, allo stesso tempo, sono altrettanto convinto che sottomissione al Papa non sia sinonimo di cortigianeria, ancor meno di "papolatria". Potete immaginare con quale spirito guardassi a certe manifestazioni "popolari" (non so se spontanee o indotte) durante il precedente pontificato.

Fatte queste premesse, veniamo a Benedetto XVI. Innanzi tutto, diciamo che nutrivo una grande ammirazione per lui prima che diventasse Papa. Mi sembrava che fosse una garanzia per la Chiesa la sua presenza a fianco di Giovanni Paolo II. Per quanto questo Papa abbia fatto molto per la Chiesa durante il suo pontificato, alcuni suoi atteggiamenti mi lasciavano un tantino perplesso (si pensi ai vari "mea culpa" e alle Giornate di Assisi). Ebbene, il fatto che ci fosse sempre il Card. Ratzinger a mettere i puntini sugli "i", mi dava sicurezza. Per questo mi aspettavo (e ho desiderato ardentemente) la sua elezione a Sommo Pontefice e, una volta avvenuta, l'ho accolta con gioia. Non dimenticherò mai quel momento: ero a Manila; ero andato a dormire; a un certo punto, durante la notte, mi sveglio e dico: Sta' a vedere che hanno fatto il Papa; accendo la televisione e vedo Ratzinger che stava rivolgendo il suo primo saluto e dando la sua prima benedizione. Pochi giorni dopo ero a Roma e potei partecipare alla sua prima udienza generale, quella nella quale spiegava perché aveva scelto il nome Benedetto.

Penso che questo Papa sia stato veramente voluto dallo Spirito Santo. Egli sta facendo quello che solo lui poteva fare. È stato fatto notare che con Giovanni Paolo II è finita la generazione dei Vescovi che avevano partecipato al Concilio; ora è la volta dei periti conciliari. Si noti che tali periti svolsero un ruolo non secondario durante il Concilio. Molti dei problemi provocati dal Vaticano II vanno ricondotti al lavoro di quei giovani teologi, che pensavano col Concilio di rifondare la Chiesa. Non so, perché non ho approfondito la questione, quale sia stato il contributo specifico dei vari Ratzinger, Küng, Rahner, Congar o De Lubac; so solo che molti Vescovi, specialmente quelli provenineti dall'Europa del Nord, dipendevano dalle loro teorie. Per questo dico che solo uno di loro oggi poteva porre rimedio ai danni che loro stessi avevano provocato. Sono ben consapevole che non si può mettere sullo stesso piano un Ratzinger e un Küng; ma in ogni modo fu Ratzinger a preparare il famoso discorso del Card. Frings contro il Sant'Uffizio (il caso ha voluto che lui stesso finisse su quella poltrona e sperimentasse come rivolte a sé critiche simili a quelle che lui aveva rivolto al Card. Ottaviani).

Rispetto alle sue posizioni come Cardinale, Benedetto XVI in qualche caso ha dovuto fare retromarcia. Per esempio, lui che era così critico riguardo al dialogo interreligioso, ora passa per uno dei suoi maggiori sostenitori. Ciò non mi meraviglia, dal momento che, quando si assume un nuovo incarico, si vedono le cose con uno sguardo diverso. Ciò che conta è il modo in cui poi si fanno le cose. E mi sembra che, specialmente nei confronti dell'Islam, i termini del dialogo siano stati impostati correttamente (su un piano razionale piuttosto che teologico).

Soprattutto nei giorni immediatamente successivi alla sua elezione si parlava tanto di una riforma della Curia Romana, ma questa sembra ancora "di là da venire". Ciò dimostra quanto tutte le Curie siano realtà assai difficili da gestire. Si pensava che, eleggendo un uomo di Curia, sarebbe stato più facile procedere a una sua riforma. Invece ci siamo accorti che un uomo che viene da quell'ambiente è troppo condizionato da esso per poter muoversi liberamente. Non sempre la conoscenza approfondita di una realtà permette di intervenire su di essa; talvolta è meglio essere degli estranei per agire, forse con un po' di incoscienza, ma con maggiore libertà. Un fatto è certo: molte opposizioni derivano a Benedetto XVI da quegli stessi che gli erano nemici quando era Prefetto della Dottrina della Fede.

Uno dei punti a cui Benedetto XVI sembra dare maggiore attenzione è la liturgia. Questo perché è convinto che molti dei mali della Chiesa dipendono dal modo in cui viene intesa e celebrata la liturgia. Papa Ratzinger è pienamente consapevole che con la riforma liturgica si è andati troppo avanti. Per questo parla di una "riforma della riforma". Ho già detto più volte che questo programma mi trova pienamente d'accordo. Il problema è che ora l'immagine che si ha di lui è quella di uno che vuole semplicmente restaurare la liturgia tridentina. Il motu proprio Summorum Pontificum, in sé pienamente legittimo e comprensibile, ha trasmesso questa idea, dalla quale io stesso — lo confesso — non sono stato del tutto immune: "OK, ragazzi, finora abbiamo scherzato; la riforma liturgica è stato un diversivo; ora torniamo alle cose serie", sconfessando in tal modo il Vaticano II. Personalmente sono d'accordo che la riforma, così come è stata attuata (leggi: Mons. Bugnini), forse non corrispondeva alle prescrizioni del Concilio; ma che ci fosse bisogno di una riforma liturgica, penso che non ci piova. Si tratta, come continuo a ripetere, di "tornare" al Vaticano II (a quello vero). E questo è possibile solo attraverso una "riforma della riforma", che valga per tutti, non solo per alcuni.

Quanto al tentativo di ricucire lo scisma lefebvriano (non so se sia corretto usare questa espressione, ma la uso tanto per intenderci), anche qui sono pienamente in linea con Benedetto XVI. Anche in questo caso è stata giustamente sottolineata una questione personale: lo "scisma" si è consumato durante il suo mandato come Prefetto del Sant'Uffizio; evidentemente non vuole lasciare questa vita prima di aver risanato tale frattura. Un intento encomiabile. Certamente c'è anche il desiderio di recuperare alla causa della Chiesa delle forze fresche, pronte per l'evangelizzazione. Anche in questo caso, una preoccupazione più che legittima da parte di un Papa. Lo aveva già fatto Giovanni Paolo II con i vari movimenti ecclesiali. L'esperienza di quel Pontefice però dovrebbe ammaestrarci a non confidare troppo in queste realtà, trascurando il resto della Chiesa, considerata pressoché irrecuperabile. Capisco che la tentazione c'è, ma non si può dare per persa la struttura ordinaria della Chiesa (diocesi e parrocchie), perché è lì che si gioca la partita. Queste altre realtà (preziose, ma umanamente fallibili come il resto della Chiesa) possono aiutare, ma non possono essere sopravvalutate o addirittura esclusivizzate.

Ma l'aspetto più bello di questo pontificato è la capacità comunicativa che ha Benedetto XVI. Nonostante che abbia tutto il sistema mediatico contro, riesce a stabilire un contatto diretto con la gente (quella vera, non quella dipinta dai mezzi di comunicazione). E, una volta stabilito il contatto, riesce anche a trasmettere contenuti non sempre così ovvi e banali. I suoi discorsi sono profondi e talvolta difficili, ma la gente riesce a comprenderli.

Ho soltanto un rilievo da fare; riguarda la formazione di Papa Ratzinger. Benedetto XVI è un grande teologo; eppure si nota, o almeno io noto, qualche carenza nella sua formazione. Essa è avvenuta sulla Bibbia (studiata con metodo critico), sui Santi Padri e sui filosofi e teologi moderni; gli manca completamente la scolastica (specialmente san Tommaso). Non è colpa sua, naturalmente: dipende dall'ambiente da cui proviene. Anche Papa Wojtyla aveva avuto una formazione diversa, ma per lo meno aveva svolto parte dei suoi studi all'Angelicum; in questo caso invece tutta la formazione è avvenuta in Germania. Quello che però a me potrebbe apparire un limite forse costituisce un vantaggio: Benedetto XVI rappresenta il meglio della cultura moderna e dimostra che tale cultura può, senza rinnegare sé stessa, andare incontro a Cristo. Estremamente significativo in proposito risulta il suo libro Gesù di Nazaret: attraverso il metodo storico-critico, che tanta preoccupazione aveva dato alla Chiesa cattolica, viene provata la storicità di Cristo. Papa Ratzinger dimostra che, dopo tanto vagare, la cultura moderna approda lì da dove era partita.