Ieri Massimo mi ha inviato il seguente messaggio:
«Le scrivo riguardo al post "In nessun altro c'è salvezza". Concordo su tutto. Però ho un dubbio. È vero quanto lei osserva sui cosiddetti "atei devoti". Epperò il termine non rende l'idea. Forse dovrebbero essere chiamati "vestali della ragione". Il problema della Chiesa è quello da lei indicato, l'apostasia; quello del mondo di oggi è quello di aver abbandonato la ragione. E in molti casi questo produce dei veri e propri danni non solo alla morale, ma alle persone. Pensiamo al dramma dell'aborto (le vittime sono molte piú che nella Shoah), la povertà del terzo mondo che, detta cosí, sembra nulla, ma in realtà significa milioni di morti innocenti, etc. Allora, la domanda è questa: per salvare delle vite si può far sponda con chi, pur non condividendo la fede in Gesú Cristo, condivide almeno ancora la centralità dell'uomo? Ed il corretto uso della ragione non è anch'esso un mezzo per arrivare a Dio e una base per evangelizzare?»
Si pone qui il problema del rapporto del cristiano (e quindi della Chiesa) con i non-cristiani e i non-credenti. È ovvio che il mio discorso di ieri era volutamente radicale, perché intendeva evidenziare alcuni principi irrinunciabili. Ma non voleva essere in alcun modo un discorso fondamentalista (qualche anno fa si sarebbe detto "integralista"; ma chi usa piú questo termine?). Bisogna tenere sempre ben presente che il cattolicesimo è agli antipodi del fondamentalismo. Il cattolico è per sua natura universale, aperto a tutto e a tutti.
Per sapere come muoversi in questo campo, non ho alcuna esitazione a rinviare al Concilio Vaticano II, che, essendo un concilio pastorale, aveva di mira proprio simili questioni:
«Rivolgiamo anche il nostro pensiero a tutti coloro che credono in Dio e che conservano nelle loro tradizioni preziosi elementi religiosi ed umani, augurandoci che un dialogo fiducioso possa condurre tutti noi ad accettare con fedeltà gli impulsi dello Spirito e a portarli a compimento con alacrità.
Per quanto ci riguarda, il desiderio di stabilire un dialogo che sia ispirato dal solo amore della verità e condotto con la opportuna prudenza, non esclude nessuno: né coloro che hanno il culto di alti valori umani, benché non ne riconoscano ancora l'autore, né coloro che si oppongono alla Chiesa e la perseguitano in diverse maniere.
Essendo Dio Padre principio e fine di tutti, siamo tutti chiamati ad essere fratelli. E perciò, chiamati a una sola e identica vocazione umana e divina, senza violenza e senza inganno, possiamo e dobbiamo lavorare insieme alla costruzione del mondo nella vera pace» (Gaudium et spes, n. 92).
«Anche i comuni valori umani richiedono non di rado una simile cooperazione dei cristiani che perseguono finalità apostoliche con coloro che non professano il cristianesimo, ma riconoscono tali valori. Con questa cooperazione dinamica e prudente che è di grande importanza nelle attività temporali, i laici danno testimonianza a Cristo, salvatore del mondo, e all'unità della famiglia umana» (Apostolicam actuositatem, n. 27).
Abbiamo in questi testi tutte le coordinate per poterci muovere con sicurezza in tale settore (si noti l'insistenza sulla prudenza!). Da parte mia aggiungerò solo, con san Tommaso, che gratia non tollit sed perficit naturam. La natura è presupposta dalla grazia. Anche se, sappiamo bene, la natura, dopo il peccato, è malata e ha perciò bisogno di essere risanata (dalla grazia, appunto). La mia insistenza sulla fede non esclude la ragione (altrimenti si risolverebbe in fideismo, che è un'eresia); come la mia insistenza su Cristo non esclude i valori umani. Quello che intendevo dire è che è puramente illusorio pensare che la ragione sia autosufficiente; essa ha bisogno della fede, per essere pienamente ragione (pensate che sia una pura coincidenza che il mondo abbia smarrito la ragione nel momento stesso in cui ha abbandonato Cristo?). Ciò non toglie che la ragione sia il punto di partenza nella ricerca di Dio, non perché da sola lo possa trovare (ciò è possibile solo grazie alla rivelazione), ma perché ne sente il bisogno, ne postula l'esistenza (vedi la definizione del Concilio Vaticano I circa la possibilità di conoscere Dio naturalmente). Allo stesso modo, sarebbe illusorio pensare che i valori umani possano essere pienamente riconosciuti e rispettati a prescindere la Cristo; ma ciò non toglie che tali valori possano essere "intravisti" e stimati anche da chi cristiano non è.
Va riconosciuto senza tentennamenti che la verità e il bene non sono monopolio della Chiesa: raggi di verità e di bene possono essere presenti in ogni cultura (si pensi all'uso che fecero delle antiche filosofie pagane i primi cristiani). I cristiani considerano tali raggi come semina Verbi: la loro origine è unica. Dobbiamo essere sempre pronti a riconoscere e valorizzare questi semi ovunque essi siano presenti. Dobbiamo sempre essere pronti a discernere l'azione dello Spirito, ovunque essa si manifesti, perché sappiamo che lo Spirito soffia dove vuole. Il cristiano (soprattutto il cattolico) è l'uomo aperto per definizione; non ha paura di nulla e di nessuno, perché conosce l'origine di ogni cosa.
È dunque possibile un dialogo e una collaborazione con i non-cristiani e i non-credenti? Senz'ombra di dubbio. Purché tale dialogo e collaborazione non siano eccessivamente teorizzati, idealizzati, assolutizzati e considerati come un fine; ma vengano praticati con semplicità e considerati come un dovere e come uno strumento. Mi spiego.
1. Si tratta innanzi tutto di una questione di civiltà: non siamo delle monadi, ma degli esseri umani che convivono con i loro simili. È doveroso coltivare "rapporti di buon vicinato", se vogliamo vivere in pace con tutti.
2. Se esistono dei problemi comuni, questi vanno affrontati e risolti insieme. Come in un condominio, dove, se c'è da riverniciare la scale, si convoca l'assemblea dei condomini e si decide insieme. Durante l'assemblea naturalmente ciascuno dà il suo contributo, secondo le proprie conoscenze, competenze e responsabilità.
3. Queste "riunioni di condominio" diventano occasioni preziose (oltre che, qualche volta, per litigare) per conoscersi, stimarsi reciprocamente ed eventualmente fare amicizia. Per noi cristiani il dialogo diventa un'occasione per condividere con altri ciò che abbiamo di piú caro. Senza montare in cattedra, abbiamo l'occasione di testimoniare la nostra fede. Il dialogo diventa cosí un umile strumento di evangelizzazione. Ma, per favore, non ne facciamo un feticcio! La missione della Chiesa non è il dialogo, ma l'annuncio di Cristo.
«Le scrivo riguardo al post "In nessun altro c'è salvezza". Concordo su tutto. Però ho un dubbio. È vero quanto lei osserva sui cosiddetti "atei devoti". Epperò il termine non rende l'idea. Forse dovrebbero essere chiamati "vestali della ragione". Il problema della Chiesa è quello da lei indicato, l'apostasia; quello del mondo di oggi è quello di aver abbandonato la ragione. E in molti casi questo produce dei veri e propri danni non solo alla morale, ma alle persone. Pensiamo al dramma dell'aborto (le vittime sono molte piú che nella Shoah), la povertà del terzo mondo che, detta cosí, sembra nulla, ma in realtà significa milioni di morti innocenti, etc. Allora, la domanda è questa: per salvare delle vite si può far sponda con chi, pur non condividendo la fede in Gesú Cristo, condivide almeno ancora la centralità dell'uomo? Ed il corretto uso della ragione non è anch'esso un mezzo per arrivare a Dio e una base per evangelizzare?»
Si pone qui il problema del rapporto del cristiano (e quindi della Chiesa) con i non-cristiani e i non-credenti. È ovvio che il mio discorso di ieri era volutamente radicale, perché intendeva evidenziare alcuni principi irrinunciabili. Ma non voleva essere in alcun modo un discorso fondamentalista (qualche anno fa si sarebbe detto "integralista"; ma chi usa piú questo termine?). Bisogna tenere sempre ben presente che il cattolicesimo è agli antipodi del fondamentalismo. Il cattolico è per sua natura universale, aperto a tutto e a tutti.
Per sapere come muoversi in questo campo, non ho alcuna esitazione a rinviare al Concilio Vaticano II, che, essendo un concilio pastorale, aveva di mira proprio simili questioni:
«Rivolgiamo anche il nostro pensiero a tutti coloro che credono in Dio e che conservano nelle loro tradizioni preziosi elementi religiosi ed umani, augurandoci che un dialogo fiducioso possa condurre tutti noi ad accettare con fedeltà gli impulsi dello Spirito e a portarli a compimento con alacrità.
Per quanto ci riguarda, il desiderio di stabilire un dialogo che sia ispirato dal solo amore della verità e condotto con la opportuna prudenza, non esclude nessuno: né coloro che hanno il culto di alti valori umani, benché non ne riconoscano ancora l'autore, né coloro che si oppongono alla Chiesa e la perseguitano in diverse maniere.
Essendo Dio Padre principio e fine di tutti, siamo tutti chiamati ad essere fratelli. E perciò, chiamati a una sola e identica vocazione umana e divina, senza violenza e senza inganno, possiamo e dobbiamo lavorare insieme alla costruzione del mondo nella vera pace» (Gaudium et spes, n. 92).
«Anche i comuni valori umani richiedono non di rado una simile cooperazione dei cristiani che perseguono finalità apostoliche con coloro che non professano il cristianesimo, ma riconoscono tali valori. Con questa cooperazione dinamica e prudente che è di grande importanza nelle attività temporali, i laici danno testimonianza a Cristo, salvatore del mondo, e all'unità della famiglia umana» (Apostolicam actuositatem, n. 27).
Abbiamo in questi testi tutte le coordinate per poterci muovere con sicurezza in tale settore (si noti l'insistenza sulla prudenza!). Da parte mia aggiungerò solo, con san Tommaso, che gratia non tollit sed perficit naturam. La natura è presupposta dalla grazia. Anche se, sappiamo bene, la natura, dopo il peccato, è malata e ha perciò bisogno di essere risanata (dalla grazia, appunto). La mia insistenza sulla fede non esclude la ragione (altrimenti si risolverebbe in fideismo, che è un'eresia); come la mia insistenza su Cristo non esclude i valori umani. Quello che intendevo dire è che è puramente illusorio pensare che la ragione sia autosufficiente; essa ha bisogno della fede, per essere pienamente ragione (pensate che sia una pura coincidenza che il mondo abbia smarrito la ragione nel momento stesso in cui ha abbandonato Cristo?). Ciò non toglie che la ragione sia il punto di partenza nella ricerca di Dio, non perché da sola lo possa trovare (ciò è possibile solo grazie alla rivelazione), ma perché ne sente il bisogno, ne postula l'esistenza (vedi la definizione del Concilio Vaticano I circa la possibilità di conoscere Dio naturalmente). Allo stesso modo, sarebbe illusorio pensare che i valori umani possano essere pienamente riconosciuti e rispettati a prescindere la Cristo; ma ciò non toglie che tali valori possano essere "intravisti" e stimati anche da chi cristiano non è.
Va riconosciuto senza tentennamenti che la verità e il bene non sono monopolio della Chiesa: raggi di verità e di bene possono essere presenti in ogni cultura (si pensi all'uso che fecero delle antiche filosofie pagane i primi cristiani). I cristiani considerano tali raggi come semina Verbi: la loro origine è unica. Dobbiamo essere sempre pronti a riconoscere e valorizzare questi semi ovunque essi siano presenti. Dobbiamo sempre essere pronti a discernere l'azione dello Spirito, ovunque essa si manifesti, perché sappiamo che lo Spirito soffia dove vuole. Il cristiano (soprattutto il cattolico) è l'uomo aperto per definizione; non ha paura di nulla e di nessuno, perché conosce l'origine di ogni cosa.
È dunque possibile un dialogo e una collaborazione con i non-cristiani e i non-credenti? Senz'ombra di dubbio. Purché tale dialogo e collaborazione non siano eccessivamente teorizzati, idealizzati, assolutizzati e considerati come un fine; ma vengano praticati con semplicità e considerati come un dovere e come uno strumento. Mi spiego.
1. Si tratta innanzi tutto di una questione di civiltà: non siamo delle monadi, ma degli esseri umani che convivono con i loro simili. È doveroso coltivare "rapporti di buon vicinato", se vogliamo vivere in pace con tutti.
2. Se esistono dei problemi comuni, questi vanno affrontati e risolti insieme. Come in un condominio, dove, se c'è da riverniciare la scale, si convoca l'assemblea dei condomini e si decide insieme. Durante l'assemblea naturalmente ciascuno dà il suo contributo, secondo le proprie conoscenze, competenze e responsabilità.
3. Queste "riunioni di condominio" diventano occasioni preziose (oltre che, qualche volta, per litigare) per conoscersi, stimarsi reciprocamente ed eventualmente fare amicizia. Per noi cristiani il dialogo diventa un'occasione per condividere con altri ciò che abbiamo di piú caro. Senza montare in cattedra, abbiamo l'occasione di testimoniare la nostra fede. Il dialogo diventa cosí un umile strumento di evangelizzazione. Ma, per favore, non ne facciamo un feticcio! La missione della Chiesa non è il dialogo, ma l'annuncio di Cristo.