Non so se ricordate, nel mio post del 21 settembre ponevo la domanda: «Qualcuno sa dirmi che cosa sta succedendo?». Ebbene, ricevetti immediata risposta, il giorno stesso, da Sandro Magister, che pubblicò un articolo sul suo sito www.chiesa, dove spiegava la posta in gioco: il Progetto culturale promosso dal Card. Ruini. In quell’articolo Magister cercava di dimostrare la vitalità di tale Progetto contro chi lo dava per morto. Le prove di tale vitalità: «una proposta al paese su “l’emergenza educativa”, una nuova scuola di teologia applicata a una società “plurale”, un convegno internazionale su “Dio oggi”».
Questo avveniva il 21 settembre, giorno in cui doveva iniziare la riunione del Consiglio permanente della CEI. Probabilmente, Magister deve essersi reso conto che nella Conferenza episcopale non c’è poi tutto questo entusiasmo per il Progetto culturale; ed ecco che ieri è tornato alla carica con un’intervista pubblicata sul Foglio. Tale intervista risulta ancora piú esplicita dell’articolo di una settimana fa. Ora, a poco a poco, incominciano a delinearsi i contorni della partita in corso.
A prima vista, le forze in gioco, secondo Magister, sarebbero le seguenti: da una parte la CEI, dall’altra la Segreteria di Stato; da una parte Avvenire, dall’altra L’Osservatore Romano. Aggiungo io: da una parte Magister, dall’altra Vian (si vedano le scaramucce da me riportate nel succitato post del 21 settembre).
Magister non fa nulla per nascondere la sua insofferenza verso la nuova linea adottata dal Card. Bertone, «linea “concordataria”, fatta di buon vicinato, di rapporti istituzionali cortesi, utilizzata anche dove i concordati non ci sono proprio», una linea secondo Magister, non «all’altezza delle linee maestre dei due grandi pontificati di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI». Per dimostrare la sua tesi, Magister allarga lo scenario: l’attuale politica della Segreteria di Stato non solo non è condivisa dalla Conferenza episcopale italiana, ma neanche da quella americana e neppure dal Card. Zen.
Magister sa il fatto suo; non parla a vanvera. I fatti a cui fa riferimento non possono in alcun modo essere negati. Che con l’avvento di Bertone alla Segreteria di Stato ci sia stato un cambiamento di rotta, è abbastanza evidente. Che questo possa destare qualche perplessità, è comprensibile. Mi sembra altrettanto legittimo che non solo i giornalisti, ma anche dei Vescovi possano avanzare delle riserve. Anche perché bisogna riconoscere che, in qualche caso, sono state prese posizioni piuttosto discutibili. Magister non lo rammenta, ma in questo quadro va inserito anche l’increscioso incidente dell’Osservatore Romano con l’Arcivescovo di Recife, a proposito della bambina brasiliana costretta ad abortire. In quell’occasione dovette intervenire la Congregazione per la dottrina della fede a chiudere il caso.
Tutto questo è vero. Però lo stesso Magister è costretto ad ammettere che la partita che si sta giocando è, in fondo, tutta italiana. Senza scomodare la Segreteria di Stato e le sue innegabili tensioni con gli episcopati in diverse parti del mondo, va serenamente riconosciuto che il conflitto è interno alla Chiesa italiana. Non sono un vaticanista, ma mi sembra piuttosto evidente che il vero problema sia l’uscita di scena del Card. Ruini e la sorte del sua creatura, quel Progetto culturale attraverso il quale Ruini pensava di rimanere in qualche modo protagonista anche del “dopo-Ruini”.
Personalmente trovo del tutto normale che una successione provochi qualche scossa di assestamento. Da che mondo è mondo, in qualsiasi ambiente, è sempre avvenuto. Soprattutto quando un determinato ruolo è stato ricoperto dalla stessa persona per tanti anni, e diciamo pure con un certo successo, è inevitabile che l’eredità si riveli alquanto pesante per chi è chiamato a succedergli. Per quanto il successore scelga una linea di continuità, è normale che egli abbia un carattere diverso, adotti uno stile diverso e debba affrontare problemi diversi. Se poi il predecessore aveva una personalità forte, capace di riscuotere l’unanimità e di mettere a tacere eventuali voci discordi, è ovvio che, non appena egli viene sostituito, quell’unanimità improvvisamente scompaia, e ciascuno abbia da dire la sua, dando l’impressione che la CEI sia diventata un’armata Brancaleone.
Ho l’impressione che stia succedendo in Italia quanto, qualche anno fa, accadde nelle Filippine, alla morte del Card. Sin. Fino ad allora sembrava che ci fosse un episcopato compatto (tanto è vero che fu capace di far dimettere due capi di Stato); ora invece ogni Vescovo sembra andare per la sua strada. Ma so per certo che durante la gestione Sin, molti Vescovi non erano affatto d’accordo con lui; solo, non avevano la possibilità (o il coraggio) di esprimere il loro dissenso. Anche in Italia sta avvenendo qualcosa di simile: probabilmente sta emergendo l’insofferenza di molti Vescovi per la linea di Ruini; una linea che allora non poteva essere messa in discussione, ma che ora non si vede il motivo di continuare a seguire.
E veniamo al Progetto culturale. È ovvio che, finché c’era Ruini, esso passava come una scelta della Conferenza episcopale (mentre in realtà era una iniziativa del suo Presidente), e nessuno, per quanto discorde, si permetteva di criticarlo. Ora che Ruini non c’è piú, questo malessere probabilmente sta venendo a galla; e, sebbene per il momento non ci sia un esplicito rifiuto, lo si ignora, lasciando che se ne occupi personalmente il promotore. Assai significativo quanto afferma Magister: «Il Progetto culturale è vivo e continua a operare. Ma c’è, allo stesso tempo, un’inspiegabile freddezza a livelli anche alti della gerarchia cattolica, rispetto a queste iniziative ... Nella stessa prolusione del cardinale Bagnasco ai lavori dell’ultimo consiglio permanente della Cei, le parole “Progetto culturale” non sono state mai pronunciate, nonostante sia noto che proprio il Progetto culturale è uno dei bersagli fondamentali della tumultuosa operazione condotta per defenestrare Boffo. Nessun accenno nemmeno al convegno su Dio, che pure la Cei ha promosso».
Tento di dare una spiegazione. Probabilmente, quando Ruini è andato in pensione, per non farlo sentire messo da parte, e anche come forma di riconoscimento per quanto aveva fatto per la Chiesa italiana, gli si era voluto dare questo “contentino”: Continua ad occuparti del Progetto culturale; in fondo, si tratta di una tua creatura. E forse sta qui l’errore, che è all’origine di tutte le inquietudini odierne. Sí, perché il Progetto culturale non è un giocattolo; o meglio, è un giocattolo estremamente costoso: pensate che certe iniziative non costino nulla? Il Progetto culturale è una macchina mangia-soldi, con risultati peraltro ancora tutti da verificare. Penso (sia ben chiaro, si tratta di una mia supposizione; non ho alcuna entratura negli episcopi d’Italia) che tutto questo incominci a infastidire diverse Eccellenze. Finché Ruini era Presidente della CEI, non si poteva dire nulla; ma ora che lui non è piú nulla, perché continuare a buttar via soldi, senza vederne l’utilità? Oltre tutto, molti Vescovi devono cominciare a temere che da un giorno all’altro qualcuno possa mettere in discussione il meccanismo dell’8 per mille. L’attuale utilizzo dell’8 per mille (Avvenire, Sat2000, Progetto culturale) corrisponde alle finalità per cui esso è stato istituito? Ricordo che, quando ero rettore della Querce, posi espressamente anche a un certo livello la questione di un eventuale finanziamento “interno” delle scuole cattoliche, attingendo all’8 per mille. Fu risposto categoricamente che ciò non era possibile, perché non rientrava fra i suoi obiettivi...
Per cui, tutto sommato, piuttosto che parlare di un possibile conflitto fra CEI e Segreteria di Stato, forse sarebbe piú esatto dire che la Santa Sede si sta facendo in questo momento interprete dei sentimenti di una parte dell’episcopato italiano. Quando, il 9 settembre scorso, il Direttore dell’Osservatore Romano, alla presenza del Card. Ruini, paragonava il Progetto culturale all’Araba Fenice, probabilmente dava voce a un sentimento piú diffuso di quanto non sembri, anche fra i Vescovi.
Io, comunque, una proposta ce l’avrei per venir fuori da questo pasticcio. Vediamo se il Card. Bagnasco la prenderà in considerazione: perché non nominare Sandro Magister Direttore di Avvenire? Allora sí che ci sarà da divertirsi...
Questo avveniva il 21 settembre, giorno in cui doveva iniziare la riunione del Consiglio permanente della CEI. Probabilmente, Magister deve essersi reso conto che nella Conferenza episcopale non c’è poi tutto questo entusiasmo per il Progetto culturale; ed ecco che ieri è tornato alla carica con un’intervista pubblicata sul Foglio. Tale intervista risulta ancora piú esplicita dell’articolo di una settimana fa. Ora, a poco a poco, incominciano a delinearsi i contorni della partita in corso.
A prima vista, le forze in gioco, secondo Magister, sarebbero le seguenti: da una parte la CEI, dall’altra la Segreteria di Stato; da una parte Avvenire, dall’altra L’Osservatore Romano. Aggiungo io: da una parte Magister, dall’altra Vian (si vedano le scaramucce da me riportate nel succitato post del 21 settembre).
Magister non fa nulla per nascondere la sua insofferenza verso la nuova linea adottata dal Card. Bertone, «linea “concordataria”, fatta di buon vicinato, di rapporti istituzionali cortesi, utilizzata anche dove i concordati non ci sono proprio», una linea secondo Magister, non «all’altezza delle linee maestre dei due grandi pontificati di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI». Per dimostrare la sua tesi, Magister allarga lo scenario: l’attuale politica della Segreteria di Stato non solo non è condivisa dalla Conferenza episcopale italiana, ma neanche da quella americana e neppure dal Card. Zen.
Magister sa il fatto suo; non parla a vanvera. I fatti a cui fa riferimento non possono in alcun modo essere negati. Che con l’avvento di Bertone alla Segreteria di Stato ci sia stato un cambiamento di rotta, è abbastanza evidente. Che questo possa destare qualche perplessità, è comprensibile. Mi sembra altrettanto legittimo che non solo i giornalisti, ma anche dei Vescovi possano avanzare delle riserve. Anche perché bisogna riconoscere che, in qualche caso, sono state prese posizioni piuttosto discutibili. Magister non lo rammenta, ma in questo quadro va inserito anche l’increscioso incidente dell’Osservatore Romano con l’Arcivescovo di Recife, a proposito della bambina brasiliana costretta ad abortire. In quell’occasione dovette intervenire la Congregazione per la dottrina della fede a chiudere il caso.
Tutto questo è vero. Però lo stesso Magister è costretto ad ammettere che la partita che si sta giocando è, in fondo, tutta italiana. Senza scomodare la Segreteria di Stato e le sue innegabili tensioni con gli episcopati in diverse parti del mondo, va serenamente riconosciuto che il conflitto è interno alla Chiesa italiana. Non sono un vaticanista, ma mi sembra piuttosto evidente che il vero problema sia l’uscita di scena del Card. Ruini e la sorte del sua creatura, quel Progetto culturale attraverso il quale Ruini pensava di rimanere in qualche modo protagonista anche del “dopo-Ruini”.
Personalmente trovo del tutto normale che una successione provochi qualche scossa di assestamento. Da che mondo è mondo, in qualsiasi ambiente, è sempre avvenuto. Soprattutto quando un determinato ruolo è stato ricoperto dalla stessa persona per tanti anni, e diciamo pure con un certo successo, è inevitabile che l’eredità si riveli alquanto pesante per chi è chiamato a succedergli. Per quanto il successore scelga una linea di continuità, è normale che egli abbia un carattere diverso, adotti uno stile diverso e debba affrontare problemi diversi. Se poi il predecessore aveva una personalità forte, capace di riscuotere l’unanimità e di mettere a tacere eventuali voci discordi, è ovvio che, non appena egli viene sostituito, quell’unanimità improvvisamente scompaia, e ciascuno abbia da dire la sua, dando l’impressione che la CEI sia diventata un’armata Brancaleone.
Ho l’impressione che stia succedendo in Italia quanto, qualche anno fa, accadde nelle Filippine, alla morte del Card. Sin. Fino ad allora sembrava che ci fosse un episcopato compatto (tanto è vero che fu capace di far dimettere due capi di Stato); ora invece ogni Vescovo sembra andare per la sua strada. Ma so per certo che durante la gestione Sin, molti Vescovi non erano affatto d’accordo con lui; solo, non avevano la possibilità (o il coraggio) di esprimere il loro dissenso. Anche in Italia sta avvenendo qualcosa di simile: probabilmente sta emergendo l’insofferenza di molti Vescovi per la linea di Ruini; una linea che allora non poteva essere messa in discussione, ma che ora non si vede il motivo di continuare a seguire.
E veniamo al Progetto culturale. È ovvio che, finché c’era Ruini, esso passava come una scelta della Conferenza episcopale (mentre in realtà era una iniziativa del suo Presidente), e nessuno, per quanto discorde, si permetteva di criticarlo. Ora che Ruini non c’è piú, questo malessere probabilmente sta venendo a galla; e, sebbene per il momento non ci sia un esplicito rifiuto, lo si ignora, lasciando che se ne occupi personalmente il promotore. Assai significativo quanto afferma Magister: «Il Progetto culturale è vivo e continua a operare. Ma c’è, allo stesso tempo, un’inspiegabile freddezza a livelli anche alti della gerarchia cattolica, rispetto a queste iniziative ... Nella stessa prolusione del cardinale Bagnasco ai lavori dell’ultimo consiglio permanente della Cei, le parole “Progetto culturale” non sono state mai pronunciate, nonostante sia noto che proprio il Progetto culturale è uno dei bersagli fondamentali della tumultuosa operazione condotta per defenestrare Boffo. Nessun accenno nemmeno al convegno su Dio, che pure la Cei ha promosso».
Tento di dare una spiegazione. Probabilmente, quando Ruini è andato in pensione, per non farlo sentire messo da parte, e anche come forma di riconoscimento per quanto aveva fatto per la Chiesa italiana, gli si era voluto dare questo “contentino”: Continua ad occuparti del Progetto culturale; in fondo, si tratta di una tua creatura. E forse sta qui l’errore, che è all’origine di tutte le inquietudini odierne. Sí, perché il Progetto culturale non è un giocattolo; o meglio, è un giocattolo estremamente costoso: pensate che certe iniziative non costino nulla? Il Progetto culturale è una macchina mangia-soldi, con risultati peraltro ancora tutti da verificare. Penso (sia ben chiaro, si tratta di una mia supposizione; non ho alcuna entratura negli episcopi d’Italia) che tutto questo incominci a infastidire diverse Eccellenze. Finché Ruini era Presidente della CEI, non si poteva dire nulla; ma ora che lui non è piú nulla, perché continuare a buttar via soldi, senza vederne l’utilità? Oltre tutto, molti Vescovi devono cominciare a temere che da un giorno all’altro qualcuno possa mettere in discussione il meccanismo dell’8 per mille. L’attuale utilizzo dell’8 per mille (Avvenire, Sat2000, Progetto culturale) corrisponde alle finalità per cui esso è stato istituito? Ricordo che, quando ero rettore della Querce, posi espressamente anche a un certo livello la questione di un eventuale finanziamento “interno” delle scuole cattoliche, attingendo all’8 per mille. Fu risposto categoricamente che ciò non era possibile, perché non rientrava fra i suoi obiettivi...
Per cui, tutto sommato, piuttosto che parlare di un possibile conflitto fra CEI e Segreteria di Stato, forse sarebbe piú esatto dire che la Santa Sede si sta facendo in questo momento interprete dei sentimenti di una parte dell’episcopato italiano. Quando, il 9 settembre scorso, il Direttore dell’Osservatore Romano, alla presenza del Card. Ruini, paragonava il Progetto culturale all’Araba Fenice, probabilmente dava voce a un sentimento piú diffuso di quanto non sembri, anche fra i Vescovi.
Io, comunque, una proposta ce l’avrei per venir fuori da questo pasticcio. Vediamo se il Card. Bagnasco la prenderà in considerazione: perché non nominare Sandro Magister Direttore di Avvenire? Allora sí che ci sarà da divertirsi...