Confesso che non mi sono mai piaciuti quei superiori che prima non hanno il coraggio di comandare, e poi si lamentano che non vengono obbediti. Capisco che non sempre si può dare il precetto; ma se si preferisce chiedere solo favori, non ci si può poi lamentare che qualcuno talvolta risponda picche: bisogna semplicemente accettare tale eventualità.
Qualcosa di simile sta succedendo nella Chiesa d'oggi: alla convocazione del Concilio Vaticano II si è volutamente escluso per esso un carattere dogmatico e si è preferito considerarlo un concilio pastorale; ora si pretende che tutti lo accettino incondizionatamente, e ci si lamenta se qualcuno si permette di criticarlo.
Si potrebbe fare un'osservazione analoga a proposito del terzo comma della formula conclusiva della professione di fede, di cui ho parlato in diversi miei post nei giorni scorsi. Con tale comma si dichiara di accettare gli "insegnamenti che il Romano Pontefice o il Collegio episcopale propongono quando esercitano il loro magistero autentico, sebbene non intendano proclamarli con atto definitivo". Anche qui, noto una tendenza nella Chiesa attuale a non fare definizioni dogmatiche (se non erro, l'ultimo dogma definito è l'Assunzione di Maria nel 1950); salvo poi scandalizzarsi se in alcuni casi certi insegnamenti non definitivi del magistero vengono contestati da qualcuno. Capisco, anche in questo caso, che non si può definire ogni giorno un nuovo dogma; capisco che prima di arrivare a una definizione dogmatica, c'è bisogno di una lunga preparazione, fatta di tanti pronunciamenti non definitivi, che però fanno a poco a poco maturare la consapevolezza che si tratta di una verità divinamente rivelata. Capisco che, oltre al magistero straordinario, esiste un magistero ordinario, che non può essere preso troppo alla leggera, ma deve assere accolto con grande rispetto (pur senza escludere possibili, eccezionali, legittime dissociazioni).
Noto però con piacere che i tre commi della formula conclusiva della professione di fede usano, ciascuno, una espressione diversa per indicare l'assenso richiesto dai diversi tipi di verità che ci vengono proposte. Nel primo comma, che riguarda le verità rivelate, si dice: "Credo con ferma fede" (firma fide credo). Nel secondo comma, che si riferisce alle verità proposte in modo definitivo), si usa l'espressione: "Fermamente accolgo e ritengo" (firmiter amplector ac retineo). Il terzo comma, che, come detto, concerne gli insegnamenti proposti dal magistero ordinario in modo non definitivo, è introdotto dalla seguente formulazione: "Aderisco con religioso ossequio della volontà e dell'intelletto" (religioso voluntatis et intellectus obsequio adhæreo).
A questo proposito, è ancora piú esplicito il Codice di diritto canonico. Il can. 750 §1 (che si riferisce al primo comma della professione di fede) recita: "Per fede divina e cattolica sono da credere tutte quelle cose...". Il §2 (introdotto da Giovanni Paolo II nel 1998 per "coprire" le verità di cui al secondo comma della professione di fede) aggiunge: "Si devono pure fermamente accogliere e ritenere...". Il can. 752 (che riprende il terzo comma) spiega: "Non proprio un assenso di fede, ma un religioso ossequio dell'intelletto e della volontà deve essere prestato...".
Da tutto ciò possiamo concludere che, come esiste una gerarchia di verità, cosí pure esiste una molteplicità di atteggiamenti con cui accogliere tali verità. Sono pienamente d'accordo. Anzi, stavo pensando: perché non sfruttare questa distinzione nei futuri colloqui con i lefebvriani? Si chiederà loro di accettare il Concilio. OK. Ma con quale dei tre assensi sopra descritti? Per fede divina e cattolica? Non mi pare proprio il caso: il Vaticano II non è una dottrina rivelata. Allora, si chiederà loro di "accogliere e ritenere fermamente" il Concilio? No, perché esso non ha alcun carattere di definitività. Non resta che il terzo tipo di assenso: "Aderisco con religioso ossequio della volontà e dell'intelletto". Credo che, per l'accettazione del Vaticano II, tale formulazione possa tranquillamente bastare. Rimane il problema dell'interpretazione del Concilio. Ma di questo abbiamo già detto.
Qualcosa di simile sta succedendo nella Chiesa d'oggi: alla convocazione del Concilio Vaticano II si è volutamente escluso per esso un carattere dogmatico e si è preferito considerarlo un concilio pastorale; ora si pretende che tutti lo accettino incondizionatamente, e ci si lamenta se qualcuno si permette di criticarlo.
Si potrebbe fare un'osservazione analoga a proposito del terzo comma della formula conclusiva della professione di fede, di cui ho parlato in diversi miei post nei giorni scorsi. Con tale comma si dichiara di accettare gli "insegnamenti che il Romano Pontefice o il Collegio episcopale propongono quando esercitano il loro magistero autentico, sebbene non intendano proclamarli con atto definitivo". Anche qui, noto una tendenza nella Chiesa attuale a non fare definizioni dogmatiche (se non erro, l'ultimo dogma definito è l'Assunzione di Maria nel 1950); salvo poi scandalizzarsi se in alcuni casi certi insegnamenti non definitivi del magistero vengono contestati da qualcuno. Capisco, anche in questo caso, che non si può definire ogni giorno un nuovo dogma; capisco che prima di arrivare a una definizione dogmatica, c'è bisogno di una lunga preparazione, fatta di tanti pronunciamenti non definitivi, che però fanno a poco a poco maturare la consapevolezza che si tratta di una verità divinamente rivelata. Capisco che, oltre al magistero straordinario, esiste un magistero ordinario, che non può essere preso troppo alla leggera, ma deve assere accolto con grande rispetto (pur senza escludere possibili, eccezionali, legittime dissociazioni).
Noto però con piacere che i tre commi della formula conclusiva della professione di fede usano, ciascuno, una espressione diversa per indicare l'assenso richiesto dai diversi tipi di verità che ci vengono proposte. Nel primo comma, che riguarda le verità rivelate, si dice: "Credo con ferma fede" (firma fide credo). Nel secondo comma, che si riferisce alle verità proposte in modo definitivo), si usa l'espressione: "Fermamente accolgo e ritengo" (firmiter amplector ac retineo). Il terzo comma, che, come detto, concerne gli insegnamenti proposti dal magistero ordinario in modo non definitivo, è introdotto dalla seguente formulazione: "Aderisco con religioso ossequio della volontà e dell'intelletto" (religioso voluntatis et intellectus obsequio adhæreo).
A questo proposito, è ancora piú esplicito il Codice di diritto canonico. Il can. 750 §1 (che si riferisce al primo comma della professione di fede) recita: "Per fede divina e cattolica sono da credere tutte quelle cose...". Il §2 (introdotto da Giovanni Paolo II nel 1998 per "coprire" le verità di cui al secondo comma della professione di fede) aggiunge: "Si devono pure fermamente accogliere e ritenere...". Il can. 752 (che riprende il terzo comma) spiega: "Non proprio un assenso di fede, ma un religioso ossequio dell'intelletto e della volontà deve essere prestato...".
Da tutto ciò possiamo concludere che, come esiste una gerarchia di verità, cosí pure esiste una molteplicità di atteggiamenti con cui accogliere tali verità. Sono pienamente d'accordo. Anzi, stavo pensando: perché non sfruttare questa distinzione nei futuri colloqui con i lefebvriani? Si chiederà loro di accettare il Concilio. OK. Ma con quale dei tre assensi sopra descritti? Per fede divina e cattolica? Non mi pare proprio il caso: il Vaticano II non è una dottrina rivelata. Allora, si chiederà loro di "accogliere e ritenere fermamente" il Concilio? No, perché esso non ha alcun carattere di definitività. Non resta che il terzo tipo di assenso: "Aderisco con religioso ossequio della volontà e dell'intelletto". Credo che, per l'accettazione del Vaticano II, tale formulazione possa tranquillamente bastare. Rimane il problema dell'interpretazione del Concilio. Ma di questo abbiamo già detto.