Non so che cosa sia successo: è misteriosamente scomparso da Papa Ratzinger blog [2] un post del 26 febbraio, nel quale Raffaella si chiedeva come mai la stampa cattolica e i movimenti non prendessero posizione dopo l'intervista di Küng, lasciando solo ai blog il compito di difendere la persona del Santo Padre. In quel post Raffaella metteva il dito sulla piaga (e forse proprio qui sta il motivo della sua scomparsa).
Vorrei prendere spunto da quel post per fare qualche riflessione di carattere piú generale sul rapporto tra Chiesa e modernità. Perché proprio di questo si tratta. Non so se vi siete accorti che la bufera provocata dalla remissione della scomunica ai quattro Vescovi lefebvriani (e dalle dichiarazioni negazioniste di uno di questi) si è scatenata proprio nel mentre la Santa Sede stava facendo un notevole sforzo di immagine per dimostrare che la Chiesa si è pienamente riconciliata con la modernità: celebrazioni galileiane, convegno su Darwin, lancio del canale vaticano su YouTube. Qualcuno ricorda nulla di queste iniziative? L'unica immagine rimasta è che il Papa toglie la scomunica a un Vescovo negazionista. Flop piú totale non si poteva immaginare. Mi dispiace per il Vaticano e per quelli che avevano ideato e stavano eseguendo questo intervento di lifting ecclesiale. Ma, mi duole dirlo, se la sono andata a cercare.
Eh sí, perché non è in questo modo che ci si riconcilia con la modernità. Non è abbracciando con secoli di ritardo le posizioni di chi era stato precedentemente condannato che si diventa moderni. Non è rincorrendo il mondo che si diventa ad esso accetti; perché il mondo cambia continuamente, e noi saremo sempre in ritardo. Oggi, diciamocelo chiaramente, non importa piú niente a nessuno di Galileo e di Darwin, se non quando c'è da polemizzare con la Chiesa. E noi procediamo a tardive quanto improbabili riabilitazioni?
Il problema della modernità non è tanto o solo un problema di contenuti, ma prima di tutto un problema di mentalità. E la mentalità è ancora, come dicevo in un post precedente, quella dell'ancien régime. Lo dimostra appunto quanto avvenuto con l'intervista a Küng. Nessuno che sia stato capace di controbattere e di farlo tempestivamente. Perché? La stampa cattolica non dovrebbe avere questo fra i suoi fini istituzionali? L'Osservatore Romano crede di essere moderno perché ora ci scrivono anche gli ebrei; Avvenire pensa di essere moderno perché ora ci scrivono anche gli atei. Poi, quando c'è da ribattere a Küng, latitano, lasciando che se ne occupino i blog. Come mai? Perché la loro mentalità è ancora quella del "bollettino ufficiale", quella delle "veline" (chiaramente, non quelle di Canale 5, ma quelle del MinCulPop): si aspetta che arrivi il comunicato ufficiale della Sala Stampa, altrimenti non ci si muove. Si ha paura di prendere posizione, perché si potrebbe sbagliare; si misurano le parole, altrimenti qualcuno potrebbe offendersi. Con tanti saluti alla tempestività e all'incisività dell'informazione. Certo che si può sbagliare. E con ciò? Se si sbaglia, ci si corregge; se si offende qualcuno, si chiede scusa. Dove sta il problema? No, noi non possiamo sbagliare! Ma non ci accorgiamo di essere ridicoli? Se fossimo un po' piú semplici, un po' piú umili, ma con un po' piú di passione per la verità, il problema del rapporto fra Chiesa e modernità, forse, sarebbe risolto.
Vorrei prendere spunto da quel post per fare qualche riflessione di carattere piú generale sul rapporto tra Chiesa e modernità. Perché proprio di questo si tratta. Non so se vi siete accorti che la bufera provocata dalla remissione della scomunica ai quattro Vescovi lefebvriani (e dalle dichiarazioni negazioniste di uno di questi) si è scatenata proprio nel mentre la Santa Sede stava facendo un notevole sforzo di immagine per dimostrare che la Chiesa si è pienamente riconciliata con la modernità: celebrazioni galileiane, convegno su Darwin, lancio del canale vaticano su YouTube. Qualcuno ricorda nulla di queste iniziative? L'unica immagine rimasta è che il Papa toglie la scomunica a un Vescovo negazionista. Flop piú totale non si poteva immaginare. Mi dispiace per il Vaticano e per quelli che avevano ideato e stavano eseguendo questo intervento di lifting ecclesiale. Ma, mi duole dirlo, se la sono andata a cercare.
Eh sí, perché non è in questo modo che ci si riconcilia con la modernità. Non è abbracciando con secoli di ritardo le posizioni di chi era stato precedentemente condannato che si diventa moderni. Non è rincorrendo il mondo che si diventa ad esso accetti; perché il mondo cambia continuamente, e noi saremo sempre in ritardo. Oggi, diciamocelo chiaramente, non importa piú niente a nessuno di Galileo e di Darwin, se non quando c'è da polemizzare con la Chiesa. E noi procediamo a tardive quanto improbabili riabilitazioni?
Il problema della modernità non è tanto o solo un problema di contenuti, ma prima di tutto un problema di mentalità. E la mentalità è ancora, come dicevo in un post precedente, quella dell'ancien régime. Lo dimostra appunto quanto avvenuto con l'intervista a Küng. Nessuno che sia stato capace di controbattere e di farlo tempestivamente. Perché? La stampa cattolica non dovrebbe avere questo fra i suoi fini istituzionali? L'Osservatore Romano crede di essere moderno perché ora ci scrivono anche gli ebrei; Avvenire pensa di essere moderno perché ora ci scrivono anche gli atei. Poi, quando c'è da ribattere a Küng, latitano, lasciando che se ne occupino i blog. Come mai? Perché la loro mentalità è ancora quella del "bollettino ufficiale", quella delle "veline" (chiaramente, non quelle di Canale 5, ma quelle del MinCulPop): si aspetta che arrivi il comunicato ufficiale della Sala Stampa, altrimenti non ci si muove. Si ha paura di prendere posizione, perché si potrebbe sbagliare; si misurano le parole, altrimenti qualcuno potrebbe offendersi. Con tanti saluti alla tempestività e all'incisività dell'informazione. Certo che si può sbagliare. E con ciò? Se si sbaglia, ci si corregge; se si offende qualcuno, si chiede scusa. Dove sta il problema? No, noi non possiamo sbagliare! Ma non ci accorgiamo di essere ridicoli? Se fossimo un po' piú semplici, un po' piú umili, ma con un po' piú di passione per la verità, il problema del rapporto fra Chiesa e modernità, forse, sarebbe risolto.