Sono sempre stato del parere che i documenti pontifici debbano essere letti, studiati e applicati, piuttosto che commentati e discussi; ma quello presente è un caso un po' particolare. È stato rilevato da molti commentatori che si tratta di un atto inconsueto, senza precedenti. È vero, eravamo abituati a uno stile diverso. Quelli di noi nati prima del Concilio possono ancora ricordare la figura del Papa circondata da un'aura di ieraticità (vi ricordate la sedia gestatoria e i flabelli?), per cui sarebbe stato semplicemente impensabile che il Papa potesse scrivere una "lettera di spiegazione" ai Vescovi. Ma dobbiamo accettare che i tempi cambiano e che quindi anche lo stile di un Pontefice possa (debba?) adeguarsi alle nuove situazioni.
Però, proprio perché ci troviamo in tempi diversi dal passato (quando sarebbe stato pure impensabile qualsiasi discussione degli interventi pontifici), qualche puntualizzazione penso che sia legittimo farla. Tanto piú che si tratta di una "lettera personale", non di un atto magisteriale. Ed è proprio sulle formalità che vorrei soffermarmi, piú che sul contenuto della lettera. Piú avanti mi permetterò di fare anche qualche appunto ai contenuti; ora invece vorrei soffermarmi sulla lettera in quanto tale e su alcune reazioni che ha provocato.
Personalmente, ritengo che, per quanto possano cambiare i tempi e gli stili di esercizio del pontificato, non dovrebbe esserci bisogno di lettere di spiegazioni del Papa ai Vescovi. Se ce n'è bisogno, è davvero un brutto segno: significa che nella Chiesa c'è qualcosa che non va. Va detto, a onor del vero, che il Papa chiarifica, ma non ritratta. E questo è molto importante. Non è la prima volta che ciò avviene; ormai ci stiamo abituando. Il Papa si dimostra ogni giorno di piú un gran signore, sensibilissimo, delicatissimo, umilissimo, ma altrettanto fermo nei principi e nelle decisioni prese. Qualcuno ha usato a questo proposito una bellissima immagine; quella dell'aquila e delle galline: mentre l'aquila spicca il volo, le galline starnazzano. Però, se ci pensate bene, se questa metafora dovesse risultare vera, non c'è molto da rallegrarsi. C'è piuttosto da piangere, perché significa che la Chiesa, anziché l'ovile dove le pecore ascoltano la voce del pastore e lo seguono, si è ridotta a... un pollaio.
Con questa lettera, è stato detto, il Papa si è esposto in prima persona. Sí, è vero. Ma diciamoci francamente: vi sembra giusto che il Papa si esponga personalmente? Non vi sembra, per usare un termine ripreso dalla lettera, una "stonatura"? Se proprio ci fosse bisogno di spiegazioni, nella mia concezione forse un po' superata, non dovrebbe essere il Papa a darle. E dov'è la Curia? Se ora è il Papa che deve pensare personalmente a tali minuzie (perché di questo si tratta), mi spiegate che ci sta a fare la Curia Romana? C'è il rischio che si trasformi in un apparato burocratico capace solo di succhiare soldi. Finora era stato sempre riconosciuto alla Curia di essere una macchina agile ed efficiente al servizio del Papa. Ma se ora il Papa è costretto a dare spiegazioni in prima persona, mi sembra proprio che ci sia qualcosa che non va. Il Papa non può governare da solo la Chiesa. Il "lavoro di squadra" è piú che mai necessario. Parole come "collegialità" e "sinodalità", se non vogliono rischiare di rimanere semplici parole, debbono incominciare a incarnarsi in uno stile diverso di gestione della Chiesa. Uno stile collegiale, appunto, adeguato ai tempi in cui viviamo.
Quanto ai contenuti della lettera, c'è poco da dire. Però, incoraggiato dallo spirito di familiarità con cui il Papa l'ha scritta, consapevole di non dovere esibire alcuna patente di fedeltà e devozione al Pontefice, con spirito di filiale confidenza, mi permetto di esprimere alcune personali perplessità, che nulla tolgono alla sostanza del messaggio.
1. Mi è piaciuto molto l'invito rivolto ai difensori del Concilio a non "tagliare le radici di cui l'albero vive". Bellissima immagine. Mi è piaciuto pure l'invito rivolto ai lefebvriani a non "congelare l'autorità magisteriale della Chiesa all'anno 1962". Personalmente però aggiungerei che tale autorità magisteriale non può neppure essere congelata all'anno 1965.
2. Per quanto riguarda il riferimento al dialogo interreligioso, sinceramente devo dire che mi piaceva di piú il Ratzinger che disertava gli incontri di Assisi. Ma capisco che il ruolo che oggi ricopre non gli permette piú di agire in quel modo.
3. Nella lettera il Papa riconosce, con grande semplicità, di aver sottovalutato internet e si impegna in futuro a "prestare piú attenzione a quella fonte di notizie". A questo proposito mi viene spontaneo notare che, secondo me, non dovrebbe essere il Papa ad andare a cercarsi le notizie su internet, e neppure il suo segretario particolare; ma semmai dovrebbe esserci un ufficio ad hoc. In secondo luogo, mi permetto di rilevare che proprio in questa lettera si dimostra di non aver dato sufficiente attenzione a internet. È l'osservazione che faceva ieri Caterina: come può il Papa ringraziare gli ebrei, quando tutti sanno che il caso Williamson è stato creato ad arte per mettere il Papa in difficoltà? OK, il Vangelo ci dice che dobbiamo essere semplici come le colombe, ma aggiunge pure che dobbiamo essere prudenti come i serpenti.
Però, proprio perché ci troviamo in tempi diversi dal passato (quando sarebbe stato pure impensabile qualsiasi discussione degli interventi pontifici), qualche puntualizzazione penso che sia legittimo farla. Tanto piú che si tratta di una "lettera personale", non di un atto magisteriale. Ed è proprio sulle formalità che vorrei soffermarmi, piú che sul contenuto della lettera. Piú avanti mi permetterò di fare anche qualche appunto ai contenuti; ora invece vorrei soffermarmi sulla lettera in quanto tale e su alcune reazioni che ha provocato.
Personalmente, ritengo che, per quanto possano cambiare i tempi e gli stili di esercizio del pontificato, non dovrebbe esserci bisogno di lettere di spiegazioni del Papa ai Vescovi. Se ce n'è bisogno, è davvero un brutto segno: significa che nella Chiesa c'è qualcosa che non va. Va detto, a onor del vero, che il Papa chiarifica, ma non ritratta. E questo è molto importante. Non è la prima volta che ciò avviene; ormai ci stiamo abituando. Il Papa si dimostra ogni giorno di piú un gran signore, sensibilissimo, delicatissimo, umilissimo, ma altrettanto fermo nei principi e nelle decisioni prese. Qualcuno ha usato a questo proposito una bellissima immagine; quella dell'aquila e delle galline: mentre l'aquila spicca il volo, le galline starnazzano. Però, se ci pensate bene, se questa metafora dovesse risultare vera, non c'è molto da rallegrarsi. C'è piuttosto da piangere, perché significa che la Chiesa, anziché l'ovile dove le pecore ascoltano la voce del pastore e lo seguono, si è ridotta a... un pollaio.
Con questa lettera, è stato detto, il Papa si è esposto in prima persona. Sí, è vero. Ma diciamoci francamente: vi sembra giusto che il Papa si esponga personalmente? Non vi sembra, per usare un termine ripreso dalla lettera, una "stonatura"? Se proprio ci fosse bisogno di spiegazioni, nella mia concezione forse un po' superata, non dovrebbe essere il Papa a darle. E dov'è la Curia? Se ora è il Papa che deve pensare personalmente a tali minuzie (perché di questo si tratta), mi spiegate che ci sta a fare la Curia Romana? C'è il rischio che si trasformi in un apparato burocratico capace solo di succhiare soldi. Finora era stato sempre riconosciuto alla Curia di essere una macchina agile ed efficiente al servizio del Papa. Ma se ora il Papa è costretto a dare spiegazioni in prima persona, mi sembra proprio che ci sia qualcosa che non va. Il Papa non può governare da solo la Chiesa. Il "lavoro di squadra" è piú che mai necessario. Parole come "collegialità" e "sinodalità", se non vogliono rischiare di rimanere semplici parole, debbono incominciare a incarnarsi in uno stile diverso di gestione della Chiesa. Uno stile collegiale, appunto, adeguato ai tempi in cui viviamo.
Quanto ai contenuti della lettera, c'è poco da dire. Però, incoraggiato dallo spirito di familiarità con cui il Papa l'ha scritta, consapevole di non dovere esibire alcuna patente di fedeltà e devozione al Pontefice, con spirito di filiale confidenza, mi permetto di esprimere alcune personali perplessità, che nulla tolgono alla sostanza del messaggio.
1. Mi è piaciuto molto l'invito rivolto ai difensori del Concilio a non "tagliare le radici di cui l'albero vive". Bellissima immagine. Mi è piaciuto pure l'invito rivolto ai lefebvriani a non "congelare l'autorità magisteriale della Chiesa all'anno 1962". Personalmente però aggiungerei che tale autorità magisteriale non può neppure essere congelata all'anno 1965.
2. Per quanto riguarda il riferimento al dialogo interreligioso, sinceramente devo dire che mi piaceva di piú il Ratzinger che disertava gli incontri di Assisi. Ma capisco che il ruolo che oggi ricopre non gli permette piú di agire in quel modo.
3. Nella lettera il Papa riconosce, con grande semplicità, di aver sottovalutato internet e si impegna in futuro a "prestare piú attenzione a quella fonte di notizie". A questo proposito mi viene spontaneo notare che, secondo me, non dovrebbe essere il Papa ad andare a cercarsi le notizie su internet, e neppure il suo segretario particolare; ma semmai dovrebbe esserci un ufficio ad hoc. In secondo luogo, mi permetto di rilevare che proprio in questa lettera si dimostra di non aver dato sufficiente attenzione a internet. È l'osservazione che faceva ieri Caterina: come può il Papa ringraziare gli ebrei, quando tutti sanno che il caso Williamson è stato creato ad arte per mettere il Papa in difficoltà? OK, il Vangelo ci dice che dobbiamo essere semplici come le colombe, ma aggiunge pure che dobbiamo essere prudenti come i serpenti.