giovedì 7 maggio 2009

Ancora sull'espiazione

Mentre prendo atto con piacere della chiarificazione di Mons. Zollitsch (vedi qui), vorrei pubblicare una lettera inviatami da un lettore, Stefano, rimasto colpito dalla citazione di San Pietro Crisologo riportata ieri:

«Mi perdoni se mi intrometto, da ignorante, sul dibattito riguardo al significato di espiazione e sacrificio.
Riprendo la bellissima citazione di S. Pietro Crisologo da lei postata sul blog:
«Deus fidem, non mortem quaerit; votum, non sanguinem sitit; placatur voluntate, non nece»
Io la interpreto così: non hanno valore (espiatorio) per Dio la sofferenza e la morte in sé e per sé, ma hanno valore la sofferenza e la morte accettate liberamente, volontariamente, per amore Suo e degli uomini. Cristo non avrebbe espiato i peccati degli uomini se fosse morto controvoglia, per costrizione (cosa impossibile data la sua divinità, ma supponiamolo per assurdo): li ha espiati perché si è offerto liberamente alla morte per amore verso il Padre e verso di noi. L'ira divina (cioè la giustizia divina, come da lei sapientemente rilevato) si è placata di fronte al sacrificio di Cristo non perché è stato versato del sangue e basta (come volevano gli dèi pagani), ma perché è stato versato del sangue per amore.
Mi sembra che su questo punto ci siano due errori da evitare: 1) hanno valore espiatorio la sofferenza e la morte in quanto tali (paganesimo); 2) la sofferenza e la morte non hanno alcun valore espiatorio, non c'entrano nulla con la redenzione: conta solo l'amore (modernismo attuale). Mi sembra che la posizione corretta, cattolica, sia questa: la sofferenza e la morte accettate per amore, cioè vivificate dalla carità, hanno un grandissimo valore espiatorio e acquistano grandissimi meriti davanti a Dio (nel caso dell'uomo Gesù Cristo, che era ed è anche vero Dio, meriti infiniti).
In conclusione, vorrei ricordare le stupende parole dello Spirito Santo e nel contempo di Isaia: "Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti" (Is 53, 5). Per le sue piaghe, sopportate per amore, siamo stati guariti.
Mi corregga se sbaglio».

Non c'è assolutamente nulla da correggere. Mi sembra che Stefano abbia perfettamente colto la profondità del mistero della redenzione.

Semmai aggiungerei una citazione dalla lettera agli Ebrei, che conferma la spiegazione di Stefano:

«Entrando nel mondo, Cristo dice: "Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco, io vengo — poiché di me sta scritto nel rotolo del libro — per fare, o Dio, la tua volontà".
Dopo aver detto prima: "Non hai voluto e non hai gradito né sacrifici né offerte, né olocausti né sacrifici per il peccato", cose tutte che vengono offerte secondo la legge, soggiunge: "Ecco, io vengo a fare la tua volontà". Con ciò stesso egli abolisce il primo sacrificio per stabilirne uno nuovo.
Ed è appunto per quella volontà che noi siamo stati santificati, per mezzo dell'offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre» (Eb 10:5-10)

Gesú ci ha salvati con la sua morte, perché con essa ha compiuto la volontà del Padre. E tale volontà è una volontà salvifica ("Ed è appunto per quella volontà che noi siamo stati santificati"), che si è realizzata nell'«offerta del corpo di Gesú Cristo» (= il suo sacrificio).