Dopo aver letto il mio post di sabato scorso su "Cirillo e Benedetto", un confratello mi ha procurato l'articolo "Roma-Mosca: prove tecniche d'intesa georeligiosa", del Prof. Roberto Morozzo della Rocca, docente all'Università di Roma Tre, pubblicato sull'ultimo numero della rivista Limes (3/2009), intitolato "Eurussia, il nostro futuro?". Purtroppo non posso darvi il link, perché non è pubblicato sul sito della "rivista italiana di geopolitica".
Si tratta di un interessantissimo articolo, che analizza i rapporti tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa russa dopo l'elezione del Patriarca Cirillo da una prospettiva diversa rispetto a quella del Dott. Robert Moynihan, una prospettiva che potremmo appunto definire "geopolitica". L'articolo approfondisce quello che io avevo chiamato nel mio post l'elemento etnico che aveva reso difficili le relazioni fra le due Chiese durante il pontificato di Giovanni Paolo II. Aggiunge un altro aspetto che avevo trascurato: l'esistenza della Chiesa "uniate" ucraina. Sono tutti elementi che giocano un ruolo non indifferente nella partita fra Santa Sede e Patriarcato di Mosca.
Molto interessante vedere come anche le tensioni scaturite dalla costituzione di alcune diocesi cattoliche sul "territorio canonico" della Chiesa ortodossa russa abbiano un risvolto positivo: il fatto che il Patriarcato di Mosca si lamenti di ciò solo con la Chiesa cattolica è indice di un rapporto privilegiato con noi; è il riconoscimento che Chiesa romana e Chiesa russa sono Chiesa apostoliche sorelle, ciascuna competente sul proprio territorio (secondo la concezione canonica orientale).
Nella seconda parte del suo studio, il Prof. Morozzo della Rocca si sofferma sulla politica ecumenica del nuovo Patriarca. A quanto pare, Cirillo sarebbe abbastanza disilluso: "L'ecumenismo come è stato praticato tra cristiani europei sarebbe secondo Kirill ormai logoro, spento, specie sul piano dottrinale". Forse non ha tutti i torti: l'ingenuo ottimismo di qualche anno fa deve fare i conti con divergenze dottrinali che appaiono insormontabili. Ormai sappiamo che cosa ci unisce e che cosa ci divide; abbiamo stilato dichiarazioni comuni, in cui sono stati evidenziati i punti su cui ci troviamo d'accordo; ma, arrivati ai punti che ci dividono, che cosa fare?
Quale sarebbe allora la proposta di Cirillo per l'ecumenismo oggi? Esso "potrebbe riprendere slancio qualora le maggiori Chiese europee si alleassero per resistere al relativismo etico che stravolge la concezione cristiana dell'uomo e secolarizza la società". "Kirill, come patriarca, piú ancora che in passato cercherà di trovare un accordo con la Chiesa cattolica romana in nome di una convergenza antropologica ed etica. Le sue idee coincidono singolarmente con quelle di Benedetto XVI e con il discorso cattolico sui valori «non negoziabili» connessi all'antropologia cristiana".
Tale prospettiva è certamente interessante, non va in alcun modo trascurata (se si può fare qualcosa per la povera vecchia Europa, va fatto); ma, se devo essere sincero, non mi entusiasma piú di tanto. Prima di tutto perché mi sembra un modo per un altro per accantonare il problema ecumenico propriamente detto, che, secondo me, non può essere accantonato. In fondo, agli ortodossi può anche andar bene cosí: lasciamo che tutto resti come è sempre stato: ciascuno a casa sua; voi non date noia a noi, noi non diamo noia a voi; cerchiamo di avere rapporti di buon vicinato e cerchiamo di collaborare per il recupero dei valori morali in Europa. Ma questo non è accettabile per un cattolico, che è, per sua natura, "ecumenico". Il ristabilimento della piena comunione fra le Chiese non può essere disatteso, proprio se vogliamo il bene dell'Europa. Che ci siano delle difficoltà, è vero; ma non mi sembra giusto arrendersi di fronte ad esse. Sono d'accordo che non si può essere ingenui (solo uno "spirito conciliare" da quattro soldi poteva alimentare certe illusioni...); è doveroso essere realisti; ma non possiamo porre limiti alla Provvidenza. Specialmente con gli ortodossi, mi sembra che gli ostacoli non siano insormontabili. Si tratta di conciliare il principio del primato con quello della collegialità, e di trovare nuove formule canoniche che permettano la compresenza di diverse tradizioni nell'unica Chiesa.
In secondo luogo, mentre condivido che è possibile, e forse doveroso, cercare convergenze sui comuni valori umani nel dialogo con i "laici" e i non-cristiani (dal momento che non ci sono altri terreni comuni su cui incontrarsi), fra cristiani mi sembra un po' poco accontentarsi di questo, come se non avessimo altro su cui trovarci d'accordo. E Gesú Cristo? Capirei di piú una "crociata" comune di rievangelizzazione del vecchio continente, piuttosto che una campagna per il recupero dei valori morali. Oltre tutto, mi sembra un tantino rischioso, per i cristiani, insistere piú del dovuto sull'etica, come se questa fosse concebile a prescindere dai suoi fondamenti teologici. Esiste un problema di fondo: può l'uomo salvarsi da solo, con i suoi sforzi? Può l'uomo vivere secondo la legge morale senza il soccorso della grazia? È ovvio che questi discorsi non possiamo farli con i non-cristiani e i non-credenti, ma fra noi non possiamo eluderli.
Nel frattempo, viste le difficoltà dell'ecumenismo dottrinale e vista la pericolosità dell'ecumenismo etico, preferisco rifugiarmi in un altro tipo di ecumenismo, che chiamerei "estetico". Sono convinto che l'arte svolgerà (o meglio, sta già svolgendo) un ruolo non secondario nel ristabilimento della piena comunione fra le Chiese. Con le Chiese orientali sono soprattutto le arti figurative (le icone) che stanno a poco a poco avvicinandoci. Con le comunità scaturite dalla riforma, invece, credo che un ruolo importante possa essere giocato dalla musica: i meravigliosi inni liturgici della tradizione protestante (già in uso anche presso i cattolici) possono essere un ponte che unirà le nostre comunità piú di tanti sterili colloqui teologici.
Si tratta di un interessantissimo articolo, che analizza i rapporti tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa russa dopo l'elezione del Patriarca Cirillo da una prospettiva diversa rispetto a quella del Dott. Robert Moynihan, una prospettiva che potremmo appunto definire "geopolitica". L'articolo approfondisce quello che io avevo chiamato nel mio post l'elemento etnico che aveva reso difficili le relazioni fra le due Chiese durante il pontificato di Giovanni Paolo II. Aggiunge un altro aspetto che avevo trascurato: l'esistenza della Chiesa "uniate" ucraina. Sono tutti elementi che giocano un ruolo non indifferente nella partita fra Santa Sede e Patriarcato di Mosca.
Molto interessante vedere come anche le tensioni scaturite dalla costituzione di alcune diocesi cattoliche sul "territorio canonico" della Chiesa ortodossa russa abbiano un risvolto positivo: il fatto che il Patriarcato di Mosca si lamenti di ciò solo con la Chiesa cattolica è indice di un rapporto privilegiato con noi; è il riconoscimento che Chiesa romana e Chiesa russa sono Chiesa apostoliche sorelle, ciascuna competente sul proprio territorio (secondo la concezione canonica orientale).
Nella seconda parte del suo studio, il Prof. Morozzo della Rocca si sofferma sulla politica ecumenica del nuovo Patriarca. A quanto pare, Cirillo sarebbe abbastanza disilluso: "L'ecumenismo come è stato praticato tra cristiani europei sarebbe secondo Kirill ormai logoro, spento, specie sul piano dottrinale". Forse non ha tutti i torti: l'ingenuo ottimismo di qualche anno fa deve fare i conti con divergenze dottrinali che appaiono insormontabili. Ormai sappiamo che cosa ci unisce e che cosa ci divide; abbiamo stilato dichiarazioni comuni, in cui sono stati evidenziati i punti su cui ci troviamo d'accordo; ma, arrivati ai punti che ci dividono, che cosa fare?
Quale sarebbe allora la proposta di Cirillo per l'ecumenismo oggi? Esso "potrebbe riprendere slancio qualora le maggiori Chiese europee si alleassero per resistere al relativismo etico che stravolge la concezione cristiana dell'uomo e secolarizza la società". "Kirill, come patriarca, piú ancora che in passato cercherà di trovare un accordo con la Chiesa cattolica romana in nome di una convergenza antropologica ed etica. Le sue idee coincidono singolarmente con quelle di Benedetto XVI e con il discorso cattolico sui valori «non negoziabili» connessi all'antropologia cristiana".
Tale prospettiva è certamente interessante, non va in alcun modo trascurata (se si può fare qualcosa per la povera vecchia Europa, va fatto); ma, se devo essere sincero, non mi entusiasma piú di tanto. Prima di tutto perché mi sembra un modo per un altro per accantonare il problema ecumenico propriamente detto, che, secondo me, non può essere accantonato. In fondo, agli ortodossi può anche andar bene cosí: lasciamo che tutto resti come è sempre stato: ciascuno a casa sua; voi non date noia a noi, noi non diamo noia a voi; cerchiamo di avere rapporti di buon vicinato e cerchiamo di collaborare per il recupero dei valori morali in Europa. Ma questo non è accettabile per un cattolico, che è, per sua natura, "ecumenico". Il ristabilimento della piena comunione fra le Chiese non può essere disatteso, proprio se vogliamo il bene dell'Europa. Che ci siano delle difficoltà, è vero; ma non mi sembra giusto arrendersi di fronte ad esse. Sono d'accordo che non si può essere ingenui (solo uno "spirito conciliare" da quattro soldi poteva alimentare certe illusioni...); è doveroso essere realisti; ma non possiamo porre limiti alla Provvidenza. Specialmente con gli ortodossi, mi sembra che gli ostacoli non siano insormontabili. Si tratta di conciliare il principio del primato con quello della collegialità, e di trovare nuove formule canoniche che permettano la compresenza di diverse tradizioni nell'unica Chiesa.
In secondo luogo, mentre condivido che è possibile, e forse doveroso, cercare convergenze sui comuni valori umani nel dialogo con i "laici" e i non-cristiani (dal momento che non ci sono altri terreni comuni su cui incontrarsi), fra cristiani mi sembra un po' poco accontentarsi di questo, come se non avessimo altro su cui trovarci d'accordo. E Gesú Cristo? Capirei di piú una "crociata" comune di rievangelizzazione del vecchio continente, piuttosto che una campagna per il recupero dei valori morali. Oltre tutto, mi sembra un tantino rischioso, per i cristiani, insistere piú del dovuto sull'etica, come se questa fosse concebile a prescindere dai suoi fondamenti teologici. Esiste un problema di fondo: può l'uomo salvarsi da solo, con i suoi sforzi? Può l'uomo vivere secondo la legge morale senza il soccorso della grazia? È ovvio che questi discorsi non possiamo farli con i non-cristiani e i non-credenti, ma fra noi non possiamo eluderli.
Nel frattempo, viste le difficoltà dell'ecumenismo dottrinale e vista la pericolosità dell'ecumenismo etico, preferisco rifugiarmi in un altro tipo di ecumenismo, che chiamerei "estetico". Sono convinto che l'arte svolgerà (o meglio, sta già svolgendo) un ruolo non secondario nel ristabilimento della piena comunione fra le Chiese. Con le Chiese orientali sono soprattutto le arti figurative (le icone) che stanno a poco a poco avvicinandoci. Con le comunità scaturite dalla riforma, invece, credo che un ruolo importante possa essere giocato dalla musica: i meravigliosi inni liturgici della tradizione protestante (già in uso anche presso i cattolici) possono essere un ponte che unirà le nostre comunità piú di tanti sterili colloqui teologici.