Ho letto il discorso che Benedetto XVI ha pronunciato martedí sera nella Basilica di San Giovanni in Laterano, per l'apertura del convegno ecclesiale della Diocesi di Roma. Solitamente, tali convegni non mi entusiasmano piú di tanto, perché ho potuto personalmente sperimentarne l'inconcludenza: assorbono molte energie senza dare alcun effettivo risultato. Fu lo stesso Cardinal Ratzinger a parlare, anni fa, di "Chiesa auto-occupata" e di "intellettuali di sacrestia": mentre la secolarizzazione (e l'Islam) avanzano, noi impieghiamo il nostro tempo in convegni autoreferenziali, che lasciano il tempo che trovano. Solo leggendo il discorso del Santo Padre mi sono rammentato che a Roma, negli anni passati, c'è stato un Sinodo diocesano seguito da una Missione cittadina. Qualcuno di voi se ne ricordava? Ma, a quanto pare, anche Papa Ratzinger è costretto a fare buon viso a cattiva sorte.
Nel suo discorso, Benedetto XVI ha toccato numerosi aspetti. Non è mia intenzione passarli tutti in rassegna; chi vuole, può leggersi il testo integrale del discorso su ZENIT. Qui vorrei solo soffermarmi su due o tre punti, che mi trovano particolarmente interessato.
1. Il Papa è tornato, ancora una volta, sul problema dell'interpretazione del Concilio. Dopo aver ricordato alcune delle principali definizioni di Chiesa che troviamo nel Concilio (mistero di comunione, popolo di Dio e corpo di Cristo), sottolineandone la complementarietà, il Pontefice ha fatto notare che non sempre e dovunque la dottrina conciliare al riguardo è stata recepita nella prassi e assimilata nel tessuto ecclesiale senza difficoltà e secondo una giusta interpretazione:
«Come ho avuto modo di chiarire nel discorso alla Curia Romana del 22 dicembre del 2005, una corrente interpretativa, appellandosi ad un presunto "spirito del Concilio", ha inteso stabilire una discontinuità e addirittura una contrapposizione tra la Chiesa prima e la Chiesa dopo il Concilio, travalicando a volte gli stessi confini oggettivamente esistenti tra il ministero gerarchico e le responsabilità dei laici nella Chiesa .
La nozione di "Popolo di Dio", in particolare, venne da alcuni interpretata secondo una visione puramente sociologica, con un taglio quasi esclusivamente orizzontale, che escludeva il riferimento verticale a Dio.
Posizione, questa, in aperto contrasto con la parola e con lo spirito del Concilio, il quale non ha voluto una rottura, un'altra Chiesa, ma un vero e profondo rinnovamento, nella continuità dell'unico soggetto Chiesa, che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre identico, unico soggetto del Popolo di Dio in pellegrinaggio».
Con tali parole, Benedetto XVI conferma ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, che il Concilio non può essere considerato una sorta di "rifondazione" della Chiesa, un "nuovo inizio", ma solo un tentativo di rinnovamento nella continuità (ciò che può essere bene espresso con il termine di "riforma").
2. Quel tentativo di rinnovamento è stato utile, opportuno, necessario, ma non sempre coronato da successo:
«In secondo luogo, va riconosciuto che il risveglio di energie spirituali e pastorali nel corso di questi anni non ha prodotto sempre l'incremento e lo sviluppo desiderati. Si deve in effetti registrare in talune comunità ecclesiali che, ad un periodo di fervore e di iniziativa, è succeduto un tempo di affievolimento dell'impegno, una situazione di stanchezza, talvolta quasi di stallo, anche di resistenza e di contraddizione tra la dottrina conciliare e diversi concetti formulati in nome del Concilio, ma in realtà opposti al suo spirito e alla sua lettera».
È quanto ho cercato di esprimere, in maniera forse meno diplomatica, giorni fa nel mio post Eterogenesi dei fini. Da una parte le buone intenzioni, i pii desideri, le promesse e le speranze (una "nuova primavera dello Spirito", una "nuova Pentecoste"); dall'altra la dura realtà che ci sta davanti: chiese e seminari vuoti, ignoranza religiosa, secolarizzazione, apostasia.
3. C'è un altro punto che mi pare particolarmente interessante. Riguarda il ruolo dei laici nella Chiesa. Anche in questo caso si è fatta tanta retorica, si sono commessi anche tanti abusi, ma la mentalità è rimasta la stessa, cioè una mentalità "clericale". Si è pensato che, per promuovere i laici, bisognasse farne degli "operatori pastorali" (catechisti, lettori, accoliti, ministri dell'Eucaristia, ecc.), vale a dire dei "mezzi preti", dimostrando con ciò che il modello rimaneva pur sempre il prete, con il quale il laico, al massimo, sarebbe chiamato a "collaborare". E invece, sentite che cosa dice il Papa:
«È necessario ... migliorare l'impostazione pastorale, così che, nel rispetto delle vocazioni e dei ruoli dei consacrati e dei laici, si promuova gradualmente la corresponsabilità dell'insieme di tutti i membri del Popolo di Dio.
Ciò esige un cambiamento di mentalità riguardante particolarmente i laici, passando dal considerarli "collaboratori" del clero a riconoscerli realmente "corresponsabili" dell'essere e dell'agire della Chiesa, favorendo il consolidarsi di un laicato maturo ed impegnato».
La mentalità "clericale" ritiene che unico "soggetto" dell'apostolato sia la gerarchia (Papa, Vescovi, sacerdoti). Ad essi possono essere aggregati i laici, in qualità di collaboratori. È il modello della vecchia Azione Cattolica, non a caso entrata in una crisi irreversibile. Ora il Papa ci dice: non piú "collaboratori", ma "corresponsabili". Io aggiungerei: non solo i laici non devono essere piú considerati collaboratori del clero; ma il clero, d'ora in poi, dovrebbe essere considerato collaboratore del laicato, nel senso che il soggetto primo dell'apostolato sono i laici; i sacerdoti dovrebbero considerarsi al loro servizio (quello che Giovanni Paolo II voleva esprimere quando diceva che il sacerdozio ministeriale è a servizio del sacerdozio comune); il compito principale del clero dovrebbe esser la formazione del laicato (un compito di retroguardia, ma quanto mai prezioso). Chi aveva intuito, ancor prima del Vaticano II, tale "rivoluzione copernicana" fu san Josemaría Escrivá de Balaguer: l'Opus Dei realizza nella vita di ogni giorno tale intuizione. Sarebbe ora che anche il resto della Chiesa arrivasse, prima o poi, alla stessa conclusione.
Nel suo discorso, Benedetto XVI ha toccato numerosi aspetti. Non è mia intenzione passarli tutti in rassegna; chi vuole, può leggersi il testo integrale del discorso su ZENIT. Qui vorrei solo soffermarmi su due o tre punti, che mi trovano particolarmente interessato.
1. Il Papa è tornato, ancora una volta, sul problema dell'interpretazione del Concilio. Dopo aver ricordato alcune delle principali definizioni di Chiesa che troviamo nel Concilio (mistero di comunione, popolo di Dio e corpo di Cristo), sottolineandone la complementarietà, il Pontefice ha fatto notare che non sempre e dovunque la dottrina conciliare al riguardo è stata recepita nella prassi e assimilata nel tessuto ecclesiale senza difficoltà e secondo una giusta interpretazione:
«Come ho avuto modo di chiarire nel discorso alla Curia Romana del 22 dicembre del 2005, una corrente interpretativa, appellandosi ad un presunto "spirito del Concilio", ha inteso stabilire una discontinuità e addirittura una contrapposizione tra la Chiesa prima e la Chiesa dopo il Concilio, travalicando a volte gli stessi confini oggettivamente esistenti tra il ministero gerarchico e le responsabilità dei laici nella Chiesa .
La nozione di "Popolo di Dio", in particolare, venne da alcuni interpretata secondo una visione puramente sociologica, con un taglio quasi esclusivamente orizzontale, che escludeva il riferimento verticale a Dio.
Posizione, questa, in aperto contrasto con la parola e con lo spirito del Concilio, il quale non ha voluto una rottura, un'altra Chiesa, ma un vero e profondo rinnovamento, nella continuità dell'unico soggetto Chiesa, che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre identico, unico soggetto del Popolo di Dio in pellegrinaggio».
Con tali parole, Benedetto XVI conferma ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, che il Concilio non può essere considerato una sorta di "rifondazione" della Chiesa, un "nuovo inizio", ma solo un tentativo di rinnovamento nella continuità (ciò che può essere bene espresso con il termine di "riforma").
2. Quel tentativo di rinnovamento è stato utile, opportuno, necessario, ma non sempre coronato da successo:
«In secondo luogo, va riconosciuto che il risveglio di energie spirituali e pastorali nel corso di questi anni non ha prodotto sempre l'incremento e lo sviluppo desiderati. Si deve in effetti registrare in talune comunità ecclesiali che, ad un periodo di fervore e di iniziativa, è succeduto un tempo di affievolimento dell'impegno, una situazione di stanchezza, talvolta quasi di stallo, anche di resistenza e di contraddizione tra la dottrina conciliare e diversi concetti formulati in nome del Concilio, ma in realtà opposti al suo spirito e alla sua lettera».
È quanto ho cercato di esprimere, in maniera forse meno diplomatica, giorni fa nel mio post Eterogenesi dei fini. Da una parte le buone intenzioni, i pii desideri, le promesse e le speranze (una "nuova primavera dello Spirito", una "nuova Pentecoste"); dall'altra la dura realtà che ci sta davanti: chiese e seminari vuoti, ignoranza religiosa, secolarizzazione, apostasia.
3. C'è un altro punto che mi pare particolarmente interessante. Riguarda il ruolo dei laici nella Chiesa. Anche in questo caso si è fatta tanta retorica, si sono commessi anche tanti abusi, ma la mentalità è rimasta la stessa, cioè una mentalità "clericale". Si è pensato che, per promuovere i laici, bisognasse farne degli "operatori pastorali" (catechisti, lettori, accoliti, ministri dell'Eucaristia, ecc.), vale a dire dei "mezzi preti", dimostrando con ciò che il modello rimaneva pur sempre il prete, con il quale il laico, al massimo, sarebbe chiamato a "collaborare". E invece, sentite che cosa dice il Papa:
«È necessario ... migliorare l'impostazione pastorale, così che, nel rispetto delle vocazioni e dei ruoli dei consacrati e dei laici, si promuova gradualmente la corresponsabilità dell'insieme di tutti i membri del Popolo di Dio.
Ciò esige un cambiamento di mentalità riguardante particolarmente i laici, passando dal considerarli "collaboratori" del clero a riconoscerli realmente "corresponsabili" dell'essere e dell'agire della Chiesa, favorendo il consolidarsi di un laicato maturo ed impegnato».
La mentalità "clericale" ritiene che unico "soggetto" dell'apostolato sia la gerarchia (Papa, Vescovi, sacerdoti). Ad essi possono essere aggregati i laici, in qualità di collaboratori. È il modello della vecchia Azione Cattolica, non a caso entrata in una crisi irreversibile. Ora il Papa ci dice: non piú "collaboratori", ma "corresponsabili". Io aggiungerei: non solo i laici non devono essere piú considerati collaboratori del clero; ma il clero, d'ora in poi, dovrebbe essere considerato collaboratore del laicato, nel senso che il soggetto primo dell'apostolato sono i laici; i sacerdoti dovrebbero considerarsi al loro servizio (quello che Giovanni Paolo II voleva esprimere quando diceva che il sacerdozio ministeriale è a servizio del sacerdozio comune); il compito principale del clero dovrebbe esser la formazione del laicato (un compito di retroguardia, ma quanto mai prezioso). Chi aveva intuito, ancor prima del Vaticano II, tale "rivoluzione copernicana" fu san Josemaría Escrivá de Balaguer: l'Opus Dei realizza nella vita di ogni giorno tale intuizione. Sarebbe ora che anche il resto della Chiesa arrivasse, prima o poi, alla stessa conclusione.