Finalmente, il viaggio di Benedetto XVI in Terra Santa si è concluso. È tempo di tirare le somme. Non sta certamente a me fare un bilancio esaustivo del pellegrinaggio, anche perché sarebbe necessario averlo vissuto in prima persona: forse solo il Papa può esprimere un giudizio adeguato su come sono andate effettivamente le cose. Ma, per quel poco che mi è stato possibile percepire attraverso i media (soprattutto internet), mi sembra che si possano fissare alcuni punti.
1. Innanzi tutto, dobbiamo tirare un sospiro di sollievo per l'incolumità del Santo Padre. Forse voi penserete che, in fondo, non c'era motivo di preoccuparsi, che le mie erano solo le fisime di un inguaribile complottista. Sarà anche vero. Qualcuno però sostiene che non è inutile mettere in giro certe voci: servirebbe a bloccare eventuali male intenzionati (che si sentirebbero cosí scoperti). Non lo so. So di certo che non sono state inutili le innumerevoli preghiere che da tutta la Chiesa sono salite al Cielo per il suo Pastore. In ogni caso, ora sono molto contento che le mie preoccupazioni non si siano realizzate.
2. Molti sono rimasti delusi per i risultati della visita:
— gli ebrei, perché allo Yad Vashem il Papa non ha parlato di nazismo, perché non ha pronunciato il numero magico "sei milioni", perché ha usato il termine "uccisi" e non "sterminati", perché non è entrato nel Museo (dove c'è la foto di Pio XII con la discussa didascalia), ma soprattutto perché non ha chiesto scusa per le colpe della Chiesa;
— i musulmani, perché Benedetto XVI ha incontrato i familiari del soldato Gilad Shalit e non quelli dei prigionieri palestinesi, perché è andato allo Yad Vashem a rendere omaggio alle vittime della Shoah, ma non è andato a Gaza a rendere omaggio alle vittime dell'odierno Olocausto;
— i cattolici, perché si è mancato di rispetto al Santo Padre, perché questa visita non è stato un "trionfo" come tanti altri viaggi.
3. Io, invece, penso che meglio di cosí il pellegrinaggio di Benedetto XVI in Terra Santa non potesse andare. Era impensabile che un viaggio tanto difficile potesse risolversi in una passeggiata; c'era da aspettarsi degli ostacoli. Ciò che conta è che il Santo Padre è stato bravissimo a superarli.
— Il primo aspetto positivo da rilevare è che questo viaggio è stato innanzi tutto quello che doveva essere: una visita ai cristiani del luogo; l'incontro del Pastore con il suo gregge. Potrebbe sembrare scontato; ma, almeno all'inizio, non lo era. La Terra Santa non appartiene solo a ebrei e musulmani; appartiene anche a noi. Per i cristiani la Terra Santa non è un museo da visitare; è il luogo dove vive una, seppur minima, comunità cristiana. Non si vorrebbe che, nelle attuali tensioni, chi alla fine è destinato a soccombere siano proprio i cristiani, costretti ad abbandonare la loro terra.
— Sul piano politico, il Papa se l'è cavata alla grande. Ovviamente, come abbiamo già rilevato, non ha potuto fare a meno di pagare un inevitabile pedaggio; ma — abbiamo visto — qualunque cosa egli dirà, non sarà mai sufficiente per certi accigliati rabbini. In ogni caso, Benedetto XVI non ha detto quello che non voleva dire (semplicemente perché falso): che la colpa dell'Olocausto è della Chiesa cattolica. Anzi, non so se avete notato che in uno degli ultimi discorsi, dove ha fatto esplicito riferimento al nazismo, lo ha chiamato una "ideologia senza Dio". Inoltre non ha avuto nessuna paura a riconoscere il diritto dei palestinesi a una loro patria e a denunciare pubblicamente, senza mezzi termini, il muro della vergogna che divide Israele dai Territori palestinesi. Di piú il Papa non poteva fare, anche perché non è suo compito assumersi responsabilità che competono ad altri (significativo il riferimento alla "comunità internazionale").
4. Il quotidiano liberal Haaretz sintomaticamente ha scritto: "Hanno vinto i palestinesi!". Questo descrive bene la mentalità con cui è stata vissuta da molti tale visita: una sorta di gara fra israeliani e palestinesi. Forse non ha tutti i torti: il viaggio del Papa ha mostrato al mondo da che parte sta il torto e da che parte la ragione. È sotto gli occhi di tutti l'atteggiamento petulante di Israele (a parte le polemiche, si potrebbe elencare tutta una serie di interventi tesi a boicottare la visita papale) e l'accoglienza calorosa riservata al Pontefice dalle popolazioni arabe (cristiane e musulmane). Ma, al di là di tale sbrigativa distinzione fra arabi e israeliani (che non rende ragione della complessità della realtà), Benedetto XVI, con il suo consueto stile energico e mite, spirituale e non politico, è stato capace di discriminare fra gli estremisti e gli uomini di buona volontà: tra chi, in ogni campo, parla di pace (e semina odio) e chi, senza clamore e pagando di persona, costruisce una pacifica convivenza fra i popoli.
1. Innanzi tutto, dobbiamo tirare un sospiro di sollievo per l'incolumità del Santo Padre. Forse voi penserete che, in fondo, non c'era motivo di preoccuparsi, che le mie erano solo le fisime di un inguaribile complottista. Sarà anche vero. Qualcuno però sostiene che non è inutile mettere in giro certe voci: servirebbe a bloccare eventuali male intenzionati (che si sentirebbero cosí scoperti). Non lo so. So di certo che non sono state inutili le innumerevoli preghiere che da tutta la Chiesa sono salite al Cielo per il suo Pastore. In ogni caso, ora sono molto contento che le mie preoccupazioni non si siano realizzate.
2. Molti sono rimasti delusi per i risultati della visita:
— gli ebrei, perché allo Yad Vashem il Papa non ha parlato di nazismo, perché non ha pronunciato il numero magico "sei milioni", perché ha usato il termine "uccisi" e non "sterminati", perché non è entrato nel Museo (dove c'è la foto di Pio XII con la discussa didascalia), ma soprattutto perché non ha chiesto scusa per le colpe della Chiesa;
— i musulmani, perché Benedetto XVI ha incontrato i familiari del soldato Gilad Shalit e non quelli dei prigionieri palestinesi, perché è andato allo Yad Vashem a rendere omaggio alle vittime della Shoah, ma non è andato a Gaza a rendere omaggio alle vittime dell'odierno Olocausto;
— i cattolici, perché si è mancato di rispetto al Santo Padre, perché questa visita non è stato un "trionfo" come tanti altri viaggi.
3. Io, invece, penso che meglio di cosí il pellegrinaggio di Benedetto XVI in Terra Santa non potesse andare. Era impensabile che un viaggio tanto difficile potesse risolversi in una passeggiata; c'era da aspettarsi degli ostacoli. Ciò che conta è che il Santo Padre è stato bravissimo a superarli.
— Il primo aspetto positivo da rilevare è che questo viaggio è stato innanzi tutto quello che doveva essere: una visita ai cristiani del luogo; l'incontro del Pastore con il suo gregge. Potrebbe sembrare scontato; ma, almeno all'inizio, non lo era. La Terra Santa non appartiene solo a ebrei e musulmani; appartiene anche a noi. Per i cristiani la Terra Santa non è un museo da visitare; è il luogo dove vive una, seppur minima, comunità cristiana. Non si vorrebbe che, nelle attuali tensioni, chi alla fine è destinato a soccombere siano proprio i cristiani, costretti ad abbandonare la loro terra.
— Sul piano politico, il Papa se l'è cavata alla grande. Ovviamente, come abbiamo già rilevato, non ha potuto fare a meno di pagare un inevitabile pedaggio; ma — abbiamo visto — qualunque cosa egli dirà, non sarà mai sufficiente per certi accigliati rabbini. In ogni caso, Benedetto XVI non ha detto quello che non voleva dire (semplicemente perché falso): che la colpa dell'Olocausto è della Chiesa cattolica. Anzi, non so se avete notato che in uno degli ultimi discorsi, dove ha fatto esplicito riferimento al nazismo, lo ha chiamato una "ideologia senza Dio". Inoltre non ha avuto nessuna paura a riconoscere il diritto dei palestinesi a una loro patria e a denunciare pubblicamente, senza mezzi termini, il muro della vergogna che divide Israele dai Territori palestinesi. Di piú il Papa non poteva fare, anche perché non è suo compito assumersi responsabilità che competono ad altri (significativo il riferimento alla "comunità internazionale").
4. Il quotidiano liberal Haaretz sintomaticamente ha scritto: "Hanno vinto i palestinesi!". Questo descrive bene la mentalità con cui è stata vissuta da molti tale visita: una sorta di gara fra israeliani e palestinesi. Forse non ha tutti i torti: il viaggio del Papa ha mostrato al mondo da che parte sta il torto e da che parte la ragione. È sotto gli occhi di tutti l'atteggiamento petulante di Israele (a parte le polemiche, si potrebbe elencare tutta una serie di interventi tesi a boicottare la visita papale) e l'accoglienza calorosa riservata al Pontefice dalle popolazioni arabe (cristiane e musulmane). Ma, al di là di tale sbrigativa distinzione fra arabi e israeliani (che non rende ragione della complessità della realtà), Benedetto XVI, con il suo consueto stile energico e mite, spirituale e non politico, è stato capace di discriminare fra gli estremisti e gli uomini di buona volontà: tra chi, in ogni campo, parla di pace (e semina odio) e chi, senza clamore e pagando di persona, costruisce una pacifica convivenza fra i popoli.