Ho appena finito di leggere il libro Chi ha paura del Vaticano II?, a cura di Alberto Melloni e Giuseppe Ruggeri (Carocci, Roma, 2009). Molto gentilmente si era premurato di inviarmelo il Padre Generale, dopo aver letto il primo post di questo blog, contenente il mio articolo su Concilio e "spirito del Concilio", che in questi giorni sta avendo larga diffusione in Francia, grazie alla traduzione di Béatrice Bohly.
Che dire? Mi sento molto imbarazzato, perché non sono in grado di replicare a un'opera di questo genere. Non sono uno storico; non ho letto la Storia del ConcilioVaticano II, diretta da Giuseppe Alberigo, in 5 volumi (Lovanio 1995-2001; ed. it. a cura di A. Melloni, Bologna 1995-2001), né tanto meno ho seguito il dibattito storiografico e teologico che si è sviluppato in questi anni sul Vaticano II. Per cui, forse, farei meglio a tacere.
Dirò solo che, quando si legge qualcosa, qualsiasi cosa, c'è sempre da imparare qualcosa. Per cui, se avessi scritto il mio articolo dopo la lettura di questo libro, forse lo avrei scritto in maniera un tantino diversa. Per fare un esempio, finora non avevo mai dato eccessivo rilievo al significato che ha avuto per il Concilio l'elezione di Paolo VI. Per semplificare, si potrebbe definire tale evento come una "svolta ecclesiologica", da contrapporre al "principio pastorale" voluto da Giovanni XXIII. E questo è estremamente interessante, perché, a quanto pare, il Concilio era stato pensato in un certo modo e poi si è sviluppato in una direzione del tutto imprevista. È Paolo VI, dunque, non tanto Giovanni XXIII, che ha portato a termine la riflessione iniziata dal Vaticano I sulla Chiesa.
Un altro punto da ritenere lo trovo nel saggio di Giuseppe Ruggeri (senza dubbio il piú interessante del volume), dove si parla di una effettiva discontinuità del Concilio, ma con la tradizione immediatamente precedente (la cosa andrebbe un tantino circostanziata, se è vero che Pio XII è l'autore piú citato del Vaticano II), in favore di un recupero della grande tradizione della Chiesa (e questo è senz'altro vero: si tratta di uno dei meriti maggiori del Concilio). Sono d'accordo: la continuità non va intesa superficialmente, ma in profondità.
Questione assai piú spinosa è la polarità fra il Concilio inteso come decisioni e il Concilio inteso come evento. Concedo che non si possa ridurre il Concilio alle sue decisioni, cioè ai suoi documenti; è ovvio che si tratta anche di un atteggiamento, di uno stile, che non sempre è facile ritrovare nelle singole deliberazioni. Ci sarà, come è normale per qualsiasi tipo di testo, un problema di interpretazione, soggetto ai consueti criteri ermeneutici (primo fra tutti, la lettura del testo alla luce del suo contesto). Ma mi sembra estremamente pericoloso insistere sul Concilio inteso come evento, perché la trovo una posizione estremamente soggettiva, dove chiunque può dire qualsiasi cosa, senza piú un punto di riferimento oggettivo. E invece è proprio qui che si fissa la polemica della "Scuola di Bologna": la Chiesa postconciliare fatica a cogliere la portata storica dell'evento conciliare, e in tutti questi anni non avrebbe fatto altro che procedere a una specie di "normalizzazione" a partire dagli stessi documenti conciliari. Il tentativo in corso consisterebbe nel voler "sottrarre il Vaticano II alla sua storicità e dunque ... negare che le sue scelte e il suo stesso essere accaduto possano dire qualcosa al presente e al futuro della chiesa" (cosí Melloni a p. 129).
E proprio qui sta il punto, o meglio i punti, su cui non mi trovo per nulla d'accordo. Primo, l'approccio storico al Concilio (come a qualsiasi altro evento del passato) è non solo legittimo, ma doveroso. Quel che non è legittimo è l'esclusivizzazione di tale approccio, come se non fossero possibili altri approcci (teologico, canonico, pastorale, ecc.). Gli storici della Scuola bolognese non possono pretendere che la Chiesa interpreti il Concilio come loro, che sono storici, lo interpretano. Mi sembra ovvio che la Chiesa ne dia altre letture, non solo altrettanto legittime, ma altrettanto doverose. Questi signori si sono appropriati del Concilio; pensano che loro ne siano gli unici custodi e interpreti e che tutti debbano adeguarsi alla loro esclusiva lettura.
Seconda considerazione. OK all'approccio storico; ma stiamo attenti, perché spesso la storia cessa di essere tale e si trasforma in ideologia. È quanto succede quando non si considera il Concilio semplicemente come un evento, per quanto importante, nella storia della Chiesa; ma lo si trasforma nell'evento (forse sarebbe piú giusto scrivere "l'Evento"), intorno al quale dovrebbe ruotare tutta la storia della Chiesa. Signori cari, di Evento con la "e" maiuscola nella storia dell'umanità ce n'è uno solo, Gesú Cristo. Tutto il resto sono semplici eventi. Il Vaticano II non fa eccezione. Studieremo con molta attenzione la sua storia (quante cose da imparare!), ma non ci lasceremo trascinare nella vostra lettura ideologica del Concilio. Preferiamo, molto piú modestamente, di leggerne i documenti e di interpretarli alla luce della ininterrotta tradizione della Chiesa, sotto la guida dei suoi Pastori.
Che dire? Mi sento molto imbarazzato, perché non sono in grado di replicare a un'opera di questo genere. Non sono uno storico; non ho letto la Storia del ConcilioVaticano II, diretta da Giuseppe Alberigo, in 5 volumi (Lovanio 1995-2001; ed. it. a cura di A. Melloni, Bologna 1995-2001), né tanto meno ho seguito il dibattito storiografico e teologico che si è sviluppato in questi anni sul Vaticano II. Per cui, forse, farei meglio a tacere.
Dirò solo che, quando si legge qualcosa, qualsiasi cosa, c'è sempre da imparare qualcosa. Per cui, se avessi scritto il mio articolo dopo la lettura di questo libro, forse lo avrei scritto in maniera un tantino diversa. Per fare un esempio, finora non avevo mai dato eccessivo rilievo al significato che ha avuto per il Concilio l'elezione di Paolo VI. Per semplificare, si potrebbe definire tale evento come una "svolta ecclesiologica", da contrapporre al "principio pastorale" voluto da Giovanni XXIII. E questo è estremamente interessante, perché, a quanto pare, il Concilio era stato pensato in un certo modo e poi si è sviluppato in una direzione del tutto imprevista. È Paolo VI, dunque, non tanto Giovanni XXIII, che ha portato a termine la riflessione iniziata dal Vaticano I sulla Chiesa.
Un altro punto da ritenere lo trovo nel saggio di Giuseppe Ruggeri (senza dubbio il piú interessante del volume), dove si parla di una effettiva discontinuità del Concilio, ma con la tradizione immediatamente precedente (la cosa andrebbe un tantino circostanziata, se è vero che Pio XII è l'autore piú citato del Vaticano II), in favore di un recupero della grande tradizione della Chiesa (e questo è senz'altro vero: si tratta di uno dei meriti maggiori del Concilio). Sono d'accordo: la continuità non va intesa superficialmente, ma in profondità.
Questione assai piú spinosa è la polarità fra il Concilio inteso come decisioni e il Concilio inteso come evento. Concedo che non si possa ridurre il Concilio alle sue decisioni, cioè ai suoi documenti; è ovvio che si tratta anche di un atteggiamento, di uno stile, che non sempre è facile ritrovare nelle singole deliberazioni. Ci sarà, come è normale per qualsiasi tipo di testo, un problema di interpretazione, soggetto ai consueti criteri ermeneutici (primo fra tutti, la lettura del testo alla luce del suo contesto). Ma mi sembra estremamente pericoloso insistere sul Concilio inteso come evento, perché la trovo una posizione estremamente soggettiva, dove chiunque può dire qualsiasi cosa, senza piú un punto di riferimento oggettivo. E invece è proprio qui che si fissa la polemica della "Scuola di Bologna": la Chiesa postconciliare fatica a cogliere la portata storica dell'evento conciliare, e in tutti questi anni non avrebbe fatto altro che procedere a una specie di "normalizzazione" a partire dagli stessi documenti conciliari. Il tentativo in corso consisterebbe nel voler "sottrarre il Vaticano II alla sua storicità e dunque ... negare che le sue scelte e il suo stesso essere accaduto possano dire qualcosa al presente e al futuro della chiesa" (cosí Melloni a p. 129).
E proprio qui sta il punto, o meglio i punti, su cui non mi trovo per nulla d'accordo. Primo, l'approccio storico al Concilio (come a qualsiasi altro evento del passato) è non solo legittimo, ma doveroso. Quel che non è legittimo è l'esclusivizzazione di tale approccio, come se non fossero possibili altri approcci (teologico, canonico, pastorale, ecc.). Gli storici della Scuola bolognese non possono pretendere che la Chiesa interpreti il Concilio come loro, che sono storici, lo interpretano. Mi sembra ovvio che la Chiesa ne dia altre letture, non solo altrettanto legittime, ma altrettanto doverose. Questi signori si sono appropriati del Concilio; pensano che loro ne siano gli unici custodi e interpreti e che tutti debbano adeguarsi alla loro esclusiva lettura.
Seconda considerazione. OK all'approccio storico; ma stiamo attenti, perché spesso la storia cessa di essere tale e si trasforma in ideologia. È quanto succede quando non si considera il Concilio semplicemente come un evento, per quanto importante, nella storia della Chiesa; ma lo si trasforma nell'evento (forse sarebbe piú giusto scrivere "l'Evento"), intorno al quale dovrebbe ruotare tutta la storia della Chiesa. Signori cari, di Evento con la "e" maiuscola nella storia dell'umanità ce n'è uno solo, Gesú Cristo. Tutto il resto sono semplici eventi. Il Vaticano II non fa eccezione. Studieremo con molta attenzione la sua storia (quante cose da imparare!), ma non ci lasceremo trascinare nella vostra lettura ideologica del Concilio. Preferiamo, molto piú modestamente, di leggerne i documenti e di interpretarli alla luce della ininterrotta tradizione della Chiesa, sotto la guida dei suoi Pastori.