Giorni fa Antonio Socci scriveva di Eugenio Scalfari che «ha un incedere ieratico e ... sembra portare in processione la sua preziosissima cervice, come fosse un ostensorio» (Libero, 25 ottobre 2009). Qualcosa di simile potrebbe dirsi di Hans Küng, che continua a esporre alla pubblica adorazione le sue monotone lamentazioni, questa volta contro la “pirateria” romana in acque anglicane (Repubblica, 28 ottobre 2009).
Non voglio controbattere punto per punto a Küng: sarebbe tempo perso. Vorrei piuttosto soffermarmi su un atteggiamento abbastanza comune fra questi progressisti, che non riescono a rassegnarsi alla “restaurazione” in corso — secondo loro — nella Chiesa cattolica. Ho l’impressione che la lettura dell’ultimo articolo del teologo tedesco sia rivelatrice delle vere motivazioni del loro atteggiamento.
Si tratta della delusione e della rabbia per essere stati, a un certo punto, messi da parte, dopo che, per molto tempo, era stato dato loro ampio spazio e avevano avuto modo di fare e disfare secondo le loro personali visioni. Avete notato che cosa dice Küng nel suo articolo, a proposito del dialogo ecumenico con gli anglicani? Si era cominciato bene con i «documenti realmente ecumenici» dell’ARCIC, non «mirati alla pirateria, bensí alla riconciliazione». Ma che ne è stato di tali documenti? Scomparvero «il piú rapidamente possibile nelle segrete del Vaticano. “Chiudere nel cassetto”, si dice. “Troppa teologia küngiana”» (attinta, a quanto pare, al volume La Chiesa, dove — a detta del teologo di Tubinga — si trovava la soluzione alla questione ecumenica: dall’impero romano al Commonwealth cattolico!).
Ecco il problema reale: la stizza per essere stati messi da parte nella definizione delle strategie da seguire nella Chiesa. Si è mai chiesto Küng il motivo di tale accantonamento? Certo, per lui la risposta è molto facile: si tratta esclusivamente di una questione di potere. Non sarò io a escludere l’esistenza di lotte di potere all’interno della Chiesa cattolica (e della Curia romana in particolare); dico solo che non si può ridurre tutto esclusivamente a tale dimensione. Sarebbe una lettura ideologica della realtà. Ed è proprio tale lettura ideologica che impedisce a Küng — e a tanti altri con lui — di vedere la realtà per quel che essa veramente è.
Non si è mai chiesto Küng che, forse, il problema stava nelle soluzioni da lui proposte? Non può certo accusare la Chiesa di non avergli dato spazio, di non avergli permesso di diffondere le sue idee e di influire sui documenti del Concilio e sulla teologia postconciliare. Ma evidentemente, a un certo punto, la Chiesa si è accorta che si trattava di pura ideologia, che anziché rinnovare la Chiesa, avrebbe portato alla sua veloce scomparsa. Gli anni hanno dimostrato che, effettivamente, certe posizioni non portavano da nessuna parte: in quei paesi dove la “teologia küngiana” ha avuto maggiore influsso, la Chiesa è ridotta al lumicino. Ma Küng non si rassegna: il problema è Roma. Se i cattolici tedeschi continuano a diminuire, la colpa è di Roma, che si intestardisce a non voler seguire le soluzioni da lui proposte. Non c’è peggior cieco di chi ha gli occhi bendati dall’ideologia.
Non c’è nulla di scandaloso nel proporre, a volte, delle soluzioni inadeguate: Errare humanun est. Ciò che importa è che a un certo punto, quando ci si rende conto dell’inadeguatezza di quelle soluzioni, si aggiusti il tiro. È esattamente quanto sta facendo la Chiesa, dopo il Concilio Vaticano II. Il realismo e la prudenza chiedono che ci si adatti alle situazioni. Per l’ideologo è vero il contrario: è la realtà che deve adattarsi ai suoi schemi mentali.
Per tornare al problema ecumenico, OK: si era partiti con i “documenti realmente ecumenici” dell’ARCIC. A che cosa hanno portato? Hanno portato alla riconciliazione nella Chiesa? No, hanno portato piuttosto al sacerdozio femminile, all’episcopato agli omosessuali praticanti e alla benedizione di coppie dello stesso sesso. Questi fatti — non idee astratte! — non dicono nulla a Küng: per lui rimangono tuttora validi i “documenti realmente ecumenici” dell’ARCIC. La Chiesa, che invece non è indifferente di fronte ai fatti concreti, si adatta alle nuove situazioni e cambia strategia: visto che quei documenti non hanno portato a nulla, vediamo di raggiungere l’unità (magari non con tutti, ma solo con alcuni) percorrendo una strada diversa. No, questo non è ecumenismo, ma “pirateria”: anziché il “Commonwealth cattolico”, «Papa Benedetto vuole assolutamente restaurare l’impero romano».
Ancora una volta, ciò che interessa non è l’effettiva unità della Chiesa (che, a quanto pare, ora con questo Papa “medievale” sembra piú vicina), ma un ipotetico e del tutto astratto “ecumenismo”, che si nutre di sé stesso in una sorta di narcisistico compiacimento ed è totalmente indifferente ai reali risultati a cui conduce.
Non voglio controbattere punto per punto a Küng: sarebbe tempo perso. Vorrei piuttosto soffermarmi su un atteggiamento abbastanza comune fra questi progressisti, che non riescono a rassegnarsi alla “restaurazione” in corso — secondo loro — nella Chiesa cattolica. Ho l’impressione che la lettura dell’ultimo articolo del teologo tedesco sia rivelatrice delle vere motivazioni del loro atteggiamento.
Si tratta della delusione e della rabbia per essere stati, a un certo punto, messi da parte, dopo che, per molto tempo, era stato dato loro ampio spazio e avevano avuto modo di fare e disfare secondo le loro personali visioni. Avete notato che cosa dice Küng nel suo articolo, a proposito del dialogo ecumenico con gli anglicani? Si era cominciato bene con i «documenti realmente ecumenici» dell’ARCIC, non «mirati alla pirateria, bensí alla riconciliazione». Ma che ne è stato di tali documenti? Scomparvero «il piú rapidamente possibile nelle segrete del Vaticano. “Chiudere nel cassetto”, si dice. “Troppa teologia küngiana”» (attinta, a quanto pare, al volume La Chiesa, dove — a detta del teologo di Tubinga — si trovava la soluzione alla questione ecumenica: dall’impero romano al Commonwealth cattolico!).
Ecco il problema reale: la stizza per essere stati messi da parte nella definizione delle strategie da seguire nella Chiesa. Si è mai chiesto Küng il motivo di tale accantonamento? Certo, per lui la risposta è molto facile: si tratta esclusivamente di una questione di potere. Non sarò io a escludere l’esistenza di lotte di potere all’interno della Chiesa cattolica (e della Curia romana in particolare); dico solo che non si può ridurre tutto esclusivamente a tale dimensione. Sarebbe una lettura ideologica della realtà. Ed è proprio tale lettura ideologica che impedisce a Küng — e a tanti altri con lui — di vedere la realtà per quel che essa veramente è.
Non si è mai chiesto Küng che, forse, il problema stava nelle soluzioni da lui proposte? Non può certo accusare la Chiesa di non avergli dato spazio, di non avergli permesso di diffondere le sue idee e di influire sui documenti del Concilio e sulla teologia postconciliare. Ma evidentemente, a un certo punto, la Chiesa si è accorta che si trattava di pura ideologia, che anziché rinnovare la Chiesa, avrebbe portato alla sua veloce scomparsa. Gli anni hanno dimostrato che, effettivamente, certe posizioni non portavano da nessuna parte: in quei paesi dove la “teologia küngiana” ha avuto maggiore influsso, la Chiesa è ridotta al lumicino. Ma Küng non si rassegna: il problema è Roma. Se i cattolici tedeschi continuano a diminuire, la colpa è di Roma, che si intestardisce a non voler seguire le soluzioni da lui proposte. Non c’è peggior cieco di chi ha gli occhi bendati dall’ideologia.
Non c’è nulla di scandaloso nel proporre, a volte, delle soluzioni inadeguate: Errare humanun est. Ciò che importa è che a un certo punto, quando ci si rende conto dell’inadeguatezza di quelle soluzioni, si aggiusti il tiro. È esattamente quanto sta facendo la Chiesa, dopo il Concilio Vaticano II. Il realismo e la prudenza chiedono che ci si adatti alle situazioni. Per l’ideologo è vero il contrario: è la realtà che deve adattarsi ai suoi schemi mentali.
Per tornare al problema ecumenico, OK: si era partiti con i “documenti realmente ecumenici” dell’ARCIC. A che cosa hanno portato? Hanno portato alla riconciliazione nella Chiesa? No, hanno portato piuttosto al sacerdozio femminile, all’episcopato agli omosessuali praticanti e alla benedizione di coppie dello stesso sesso. Questi fatti — non idee astratte! — non dicono nulla a Küng: per lui rimangono tuttora validi i “documenti realmente ecumenici” dell’ARCIC. La Chiesa, che invece non è indifferente di fronte ai fatti concreti, si adatta alle nuove situazioni e cambia strategia: visto che quei documenti non hanno portato a nulla, vediamo di raggiungere l’unità (magari non con tutti, ma solo con alcuni) percorrendo una strada diversa. No, questo non è ecumenismo, ma “pirateria”: anziché il “Commonwealth cattolico”, «Papa Benedetto vuole assolutamente restaurare l’impero romano».
Ancora una volta, ciò che interessa non è l’effettiva unità della Chiesa (che, a quanto pare, ora con questo Papa “medievale” sembra piú vicina), ma un ipotetico e del tutto astratto “ecumenismo”, che si nutre di sé stesso in una sorta di narcisistico compiacimento ed è totalmente indifferente ai reali risultati a cui conduce.