Sicché il “sí” ce l’ha fatta a vincere in Irlanda. C’era da aspettarselo. Stranamente, nessuno ne parla. Forse per la delusione. L’anno scorso, dopo il “no”, fu una festa in tutta Europa. Quest’anno sembra quasi che gli irlandesi ci abbiano tradito; quindi preferiamo ignorarli. Poveretti!
Personalmente, non mi sento di giudicarli. Probabilmente li avevamo caricati di una responsabilità troppo grande: quella di salvare l’Europa dal Trattato di Lisbona. Ciò che non siamo stati capaci di fare noi (perché non abbiamo preteso anche noi un referendum dai nostri governanti?), volevamo che lo facessero loro, un popolo che rappresenta appena l’1% della popolazione europea...
Che cosa ha fatto cambiare idea agli irlandesi nel giro di appena un anno? Beh, innanzi tutto penso che la campagna in favore del “sí” sia stata massiccia: sono scesi in campo anche i Vescovi e... la Ryanair! Come potete vedere dal link all'intervento dei Vescovi, c’è stata l’assicurazione che l’adesione al Trattato di Lisbona non inciderà in alcun modo sulla legislazione irlandese in difesa della vita (in Irlanda l’aborto è illegale). Ma penso che, al di là delle questione ideali (che pure avranno avuto il loro peso), ciò che ha convinto gli irlandesi a votare “sí” sia stata la recessione economica in cui il loro paese è incappato recentemente. La prospettiva di rimanere emarginati dal resto dell’Europa deve aver terrorizzato gli irlandesi.
Per comprendere tale reazione, occorre ricordare che l’Irlanda, fino a non molti anni addietro, era uno dei paesi piú poveri del continente. A metà Ottocento ci fu la Grande Carestia, che provocò l’emigrazione verso l’America. La fame è rimasta, come un trauma, impressa nella coscienza di quel popolo. L’ingresso dell’Irlanda in Europa ha significato un insperato salto di qualità: chi va in Irlanda ora, trova un paese moderno, ricco, ordinato. Buona parte delle realizzazioni sono state rese possibili dai fondi europei, che, a differenza dell’Italia, sono stati effettivamente utilizzati per lo sviluppo del paese. Potete quindi rendervi conto di quanto abbia potuto giocare in questa circostanza l’incubo della povertà.
Le uniche speranze, per gli oppositori del Trattato di Lisbona, ora si appigliano a Polonia e Repubblica Ceca, che non hanno ancora ratificato il trattato. Io non ci farei eccessivo affidamento: la “forza persuasiva” (leggi: il “ricatto”) delle burocrazie europee non farà molta fatica a convincere questi paesi a procedere alla ratifica. A meno che la recente visita del Papa a Praga non abbia ridestato la fiamma dell’orgoglio nazionale nel cuore del popolo ceco...
Che dire a proposito della presa di posizione dell’episcopato irlandese? Come ho detto, essa è stata determinata dall’assicurazione che la legislazione nazionale in materia di aborto non cambierà (speriamo!). Ma, al di là di tale problema specifico, certo importante, si pone un problema piú generale sul valore del trattato in sé. Certo, non è facile darne un giudizio, semplicemente perché esso è illeggibile. Ma è proprio tale illeggibilità che giustifica i peggiori sospetti. Giorni fa Paolo Barnard ha pubblicato uno studio sul Trattato, che fa riflettere. La lettura di tale articolo può essere utile per capire a quali rischi stiamo andando incontro. I Vescovi non si rendono conto di tali pericoli? Probabilmente sí, ma non è loro compito entrare in questioni squisitamente politiche. Magari — penso io — proprio per tale motivo farebbero meglio a non esprimersi neppure a favore del trattato. In ogni caso, credo che l’atteggiamento di non eccessiva apprensione sia dettato dall’esperienza plurisecolare della Chiesa: essa, nel corso della storia, ha dovuto attraversare momenti ben peggiori; eppure è riuscita sempre non solo a sopravvivere, ma a anche a svolgere bene o male la sua missione. Volete che il Trattato di Lisbona sia peggiore delle persecuzioni e dei totalitarismi che, nel corso dei secoli, si sono illusi di sopprimere la Chiesa, senza mai riuscirci? Certo, qualcosa (che cosa?) cambierà nella nostra vita: vuol dire che ci adatteremo. Leggevo proprio oggi nel profeta Isaia: «Nella conversione e nella calma sta la vostra salvezza, nell’abbandono confidente sta la vostra forza» (30:15).
Personalmente, non mi sento di giudicarli. Probabilmente li avevamo caricati di una responsabilità troppo grande: quella di salvare l’Europa dal Trattato di Lisbona. Ciò che non siamo stati capaci di fare noi (perché non abbiamo preteso anche noi un referendum dai nostri governanti?), volevamo che lo facessero loro, un popolo che rappresenta appena l’1% della popolazione europea...
Che cosa ha fatto cambiare idea agli irlandesi nel giro di appena un anno? Beh, innanzi tutto penso che la campagna in favore del “sí” sia stata massiccia: sono scesi in campo anche i Vescovi e... la Ryanair! Come potete vedere dal link all'intervento dei Vescovi, c’è stata l’assicurazione che l’adesione al Trattato di Lisbona non inciderà in alcun modo sulla legislazione irlandese in difesa della vita (in Irlanda l’aborto è illegale). Ma penso che, al di là delle questione ideali (che pure avranno avuto il loro peso), ciò che ha convinto gli irlandesi a votare “sí” sia stata la recessione economica in cui il loro paese è incappato recentemente. La prospettiva di rimanere emarginati dal resto dell’Europa deve aver terrorizzato gli irlandesi.
Per comprendere tale reazione, occorre ricordare che l’Irlanda, fino a non molti anni addietro, era uno dei paesi piú poveri del continente. A metà Ottocento ci fu la Grande Carestia, che provocò l’emigrazione verso l’America. La fame è rimasta, come un trauma, impressa nella coscienza di quel popolo. L’ingresso dell’Irlanda in Europa ha significato un insperato salto di qualità: chi va in Irlanda ora, trova un paese moderno, ricco, ordinato. Buona parte delle realizzazioni sono state rese possibili dai fondi europei, che, a differenza dell’Italia, sono stati effettivamente utilizzati per lo sviluppo del paese. Potete quindi rendervi conto di quanto abbia potuto giocare in questa circostanza l’incubo della povertà.
Le uniche speranze, per gli oppositori del Trattato di Lisbona, ora si appigliano a Polonia e Repubblica Ceca, che non hanno ancora ratificato il trattato. Io non ci farei eccessivo affidamento: la “forza persuasiva” (leggi: il “ricatto”) delle burocrazie europee non farà molta fatica a convincere questi paesi a procedere alla ratifica. A meno che la recente visita del Papa a Praga non abbia ridestato la fiamma dell’orgoglio nazionale nel cuore del popolo ceco...
Che dire a proposito della presa di posizione dell’episcopato irlandese? Come ho detto, essa è stata determinata dall’assicurazione che la legislazione nazionale in materia di aborto non cambierà (speriamo!). Ma, al di là di tale problema specifico, certo importante, si pone un problema piú generale sul valore del trattato in sé. Certo, non è facile darne un giudizio, semplicemente perché esso è illeggibile. Ma è proprio tale illeggibilità che giustifica i peggiori sospetti. Giorni fa Paolo Barnard ha pubblicato uno studio sul Trattato, che fa riflettere. La lettura di tale articolo può essere utile per capire a quali rischi stiamo andando incontro. I Vescovi non si rendono conto di tali pericoli? Probabilmente sí, ma non è loro compito entrare in questioni squisitamente politiche. Magari — penso io — proprio per tale motivo farebbero meglio a non esprimersi neppure a favore del trattato. In ogni caso, credo che l’atteggiamento di non eccessiva apprensione sia dettato dall’esperienza plurisecolare della Chiesa: essa, nel corso della storia, ha dovuto attraversare momenti ben peggiori; eppure è riuscita sempre non solo a sopravvivere, ma a anche a svolgere bene o male la sua missione. Volete che il Trattato di Lisbona sia peggiore delle persecuzioni e dei totalitarismi che, nel corso dei secoli, si sono illusi di sopprimere la Chiesa, senza mai riuscirci? Certo, qualcosa (che cosa?) cambierà nella nostra vita: vuol dire che ci adatteremo. Leggevo proprio oggi nel profeta Isaia: «Nella conversione e nella calma sta la vostra salvezza, nell’abbandono confidente sta la vostra forza» (30:15).