Ieri ho pubblicato il testo della conferenza tenuta dal Patriarca emerito di Gerusalemme, Mons. Michel Sabbah, alla comunità cattolica araba emigrata in America. Mi sono limitato a definirla “straordinaria” e meritevole di vasta diffusione. Oggi aggiungo: una voce “profetica”. Perché?
Sono parole che vengono da un uomo di Dio, che vive in prima persona il dramma di Gerusalemme. Egli certamente non è super partes; è un uomo di parte, perché appartiene a una delle due parti in conflitto. Ma ciò non gli impedisce di essere obiettivo e di riconoscere i diritti e le giuste rivendicazione di tutti.
È una riflessione profondamente spirituale, che, partendo dalle Scritture e dalla storia, si sofferma sulla vocazione unica di Gerusalemme: città della pace, città universale, città dell’incontro fra popoli, culture e religioni diverse.
Ma, allo stesso tempo, espone con drammatico realismo i problemi che colpiscono questa città, in particolare lo scandalo del muro che la divide, segno materiale dell’odio che divide i cuori dei suoi abitanti. A tale proposito, è interessante notare che il Patriarca cita l’invito del Salmo 50 a ricostruire le mura di Gerusalemme. Qualcuno ha frainteso l’invito e ha pensato bene di costruire un muro a Gerusalemme...
Mons. Sabbah non si limita a descrivere la situazione “straziante” della sua città, ma si sforza di dimostrare che non è per nulla necessario che sia cosí: la città potrebbe senza difficoltà essere contemporaneamente capitale dello Stato d’Israele e capitale dello Stato palestinese e, allo stesso tempo, capitale spirituale delle tre grandi religioni monoteistiche. Aggiungo io: non si tratta di un sogno irrealizzabile; questo è stata Gerusalemme per secoli. Perché oggi non dovrebbe essere piú possibile?
E proprio per non rimanere nel regno dei sogni e dei desideri, il Patriarca avanza una proposta politica precisa. Non si tratta di una novità; questa è stata per lungo tempo la linea seguita dalla Santa Sede a proposito della Città Santa; poi, in seguito ai controversi accordi sottoscritti da Giovanni Paolo II con lo Stato d’Israele, non se n’è piú parlato. Sembrava quasi che il problema non esistesse piú. Ora invece Mons. Sabbah ha il coraggio di rilanciare la proposta, dimostrando che si tratta di una proposta piú che mai attuale:
«Avendo Gerusalemme questo carattere santo e questa vocazione universale, deve avere uno statuto speciale che garantisca i diritti di tutti i cittadini in essa come credenti e cittadini, e al tempo stesso garantisca la libertà di accesso a tutti i pellegrini. Qualsiasi potere politico che governi Gerusalemme deve perciò tener conto di questa vocazione universale della città e darle questo statuto speciale che garantisca i diritti dei cittadini, come capitale per lo Stato palestinese, come capitale per lo Stato d’Israele, e come capitale spirituale per l’umanità».
Spero che l’augurio di Sua Beatitudine ridesti almeno la diplomazia vaticana, facendole ritrovare le sue migliori tradizioni, e che questa si faccia portavoce di tale proposta a livello internazionale.
Prima di terminare, vorrei esprimere un auspicio. Ritengo che la Chiesa di Gerusalemme debba sentirsi sostenuta dalla Chiesa universale. In tal senso, c’è bisogno di un “segnale forte”. Già in altra occasione mi son chiesto — non nego, con una punta polemica — come mai i Patriarchi di Gerusalemme non diventino mai Cardinali. Ci saranno probabilmente motivazioni di ordine diplomatico che lo impediscono. Aggiungo ora: se non è possibile dare la porpora all’attuale Patriarca Twal, non sarebbe possibile darla almeno al Patriarca emerito? Sarebbe un segnale molto chiaro del sostegno della Santa Sede alla Chiesa-madre della cristianità.
Sono parole che vengono da un uomo di Dio, che vive in prima persona il dramma di Gerusalemme. Egli certamente non è super partes; è un uomo di parte, perché appartiene a una delle due parti in conflitto. Ma ciò non gli impedisce di essere obiettivo e di riconoscere i diritti e le giuste rivendicazione di tutti.
È una riflessione profondamente spirituale, che, partendo dalle Scritture e dalla storia, si sofferma sulla vocazione unica di Gerusalemme: città della pace, città universale, città dell’incontro fra popoli, culture e religioni diverse.
Ma, allo stesso tempo, espone con drammatico realismo i problemi che colpiscono questa città, in particolare lo scandalo del muro che la divide, segno materiale dell’odio che divide i cuori dei suoi abitanti. A tale proposito, è interessante notare che il Patriarca cita l’invito del Salmo 50 a ricostruire le mura di Gerusalemme. Qualcuno ha frainteso l’invito e ha pensato bene di costruire un muro a Gerusalemme...
Mons. Sabbah non si limita a descrivere la situazione “straziante” della sua città, ma si sforza di dimostrare che non è per nulla necessario che sia cosí: la città potrebbe senza difficoltà essere contemporaneamente capitale dello Stato d’Israele e capitale dello Stato palestinese e, allo stesso tempo, capitale spirituale delle tre grandi religioni monoteistiche. Aggiungo io: non si tratta di un sogno irrealizzabile; questo è stata Gerusalemme per secoli. Perché oggi non dovrebbe essere piú possibile?
E proprio per non rimanere nel regno dei sogni e dei desideri, il Patriarca avanza una proposta politica precisa. Non si tratta di una novità; questa è stata per lungo tempo la linea seguita dalla Santa Sede a proposito della Città Santa; poi, in seguito ai controversi accordi sottoscritti da Giovanni Paolo II con lo Stato d’Israele, non se n’è piú parlato. Sembrava quasi che il problema non esistesse piú. Ora invece Mons. Sabbah ha il coraggio di rilanciare la proposta, dimostrando che si tratta di una proposta piú che mai attuale:
«Avendo Gerusalemme questo carattere santo e questa vocazione universale, deve avere uno statuto speciale che garantisca i diritti di tutti i cittadini in essa come credenti e cittadini, e al tempo stesso garantisca la libertà di accesso a tutti i pellegrini. Qualsiasi potere politico che governi Gerusalemme deve perciò tener conto di questa vocazione universale della città e darle questo statuto speciale che garantisca i diritti dei cittadini, come capitale per lo Stato palestinese, come capitale per lo Stato d’Israele, e come capitale spirituale per l’umanità».
Spero che l’augurio di Sua Beatitudine ridesti almeno la diplomazia vaticana, facendole ritrovare le sue migliori tradizioni, e che questa si faccia portavoce di tale proposta a livello internazionale.
Prima di terminare, vorrei esprimere un auspicio. Ritengo che la Chiesa di Gerusalemme debba sentirsi sostenuta dalla Chiesa universale. In tal senso, c’è bisogno di un “segnale forte”. Già in altra occasione mi son chiesto — non nego, con una punta polemica — come mai i Patriarchi di Gerusalemme non diventino mai Cardinali. Ci saranno probabilmente motivazioni di ordine diplomatico che lo impediscono. Aggiungo ora: se non è possibile dare la porpora all’attuale Patriarca Twal, non sarebbe possibile darla almeno al Patriarca emerito? Sarebbe un segnale molto chiaro del sostegno della Santa Sede alla Chiesa-madre della cristianità.