Ieri il Card. Levada ha annunciato la pubblicazione di una Costituzione apostolica con la quale il Santo Padre regolerà il ritorno di gruppi anglicani alla piena comunione con la Chiesa cattolica, “conservando nel contempo elementi dello specifico patrimonio spirituale e liturgico anglicano”.
Le linee che vengono date non sono nuove: sono quelle che sono state finora seguite per l’accettazione di singoli preti o vescovi. La grande novità sta nello strumento giuridico predisposto per l’accoglienza di intere comunità: l’ordinariato personale. Mi sembra una soluzione intelligente e saggia. La Congregazione per la Dottrina della Fede, a quanto pare, aveva suggerito il ricorso alla prelatura personale, che però, nel caso presente, non sembra adattarsi alla varietà delle situazioni locali. La prelatura personale, per sua natura, è unica: tutti i sacerdoti, in qualsiasi parte del mondo dipenderebbero dal medesimo prelato. Di ordinariati personali, invece, se ne possono costituire quanti se ne vuole, anche uno per ciascun paese (come attualmente avviene nel caso degli ordinariati militari). Ciò sembra rispettare maggiormente la natura di “Chiese locali” che queste comunità portano in qualche modo con sé.
In un mio precedente intervento (2 febbraio 2009), avevo avanzato un’altra proposta, quella della Chiesa sui juris (come avviene nel caso delle Chiese orientali cattoliche); ma capisco che sarebbe, per il momento, una soluzione prematura e un tantino rivoluzionaria. La soluzione degli ordinariati personali è invece di piú facile attuazione e può costituire un primo passo verso l’eventuale costituzione, in futuro, di una vera e propria Chiesa sui juris.
Altre due considerazioni. La prima riguarda il rapporto con la Chiesa anglicana. Ufficialmente, tutto si è svolto in piena intesa con la Chiesa d’Inghilterra. In contemporanea con il briefing vaticano c’è stata a Londra una conferenza stampa dei due primati inglesi: l’Arcivescovo di Westminster Vincent Nichols e l’Arcivescovo di Canterbury Rowan Williams, i quali hanno sottoscritto una dichiarazione comune, nella quale si riconosce la sostanziale convergenza nella fede, nella dottrina e nella spiritualità fra la Chiesa cattolica e la tradizione anglicana. Questo a livello ufficiale. I soliti bene informati sostengono invece che Lambeth Palace si sia fermamente opposto alla decisione papale. È possibile; anzi, comprensibile (guardando la foto di Williams ieri alla conferenza stampa, si direbbe proprio che non fosse cosí soddisfatto). Ma, in questi casi, piú che i sentimenti personali, contano i documenti sottoscritti.
La seconda considerazione riguarda il rapporto fra questa decisione e il dialogo ecumenico svolto finora. Ovviamente, a me il ritorno di intere comunità anglicane alla piena comunione con la Chiesa cattolica sembra uno splendido frutto del cammino ecumenico percorso in questi anni; ma non tutti sono dello stesso parere. La Nota informativa della Congregazione per la Dottrina della Fede afferma in proposito: «Il provvedimento di questa nuova struttura è in linea con l’impegno per il dialogo ecumenico, che continua ad essere una priorità per la Chiesa Cattolica, in particolare attraverso gli sforzi del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani». La Dichiarazione congiunta londinese poi insiste molto su questo punto: «Senza i dialoghi egli ultimi quarant’anni, questo riconoscimento non sarebbe stato possibile, né si sarebbero potute nutrire speranze per una piena visibile unità. In questo senso, la Costituzione apostolica è una conseguenza del dialogo ecumenico fra la Chiesa cattolica e la Comunione anglicana».
Sono pienamente convinto di quanto ribadito ieri a Roma e a Londra. Eppure c’è qualcosa che non torna. Come mai il briefing è stato fatto solo dal Card. Levada e da Mons. Di Noia? Mi sta bene che fossero presenti il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e il Segretario della Congregazione del Culto Divino, per le loro rispettive competenze; ma possibile che in una circostanza del genere il Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani brilli per la sua assenza? Il Card. Kasper, è stato detto, era a Cipro. Non mi sembra una scusa molto convincente.
In un mio precedente post (8 febbraio 2009) facevo notare certe incongruenze. Ancora pochi giorni fa il Card. Kasper escludeva la possibilità di “passaggi di gruppo” al cattolicesimo (vedi qui). Si ha quasi l’impressione che in Vaticano si cammini su due binari diversi. Da una parte un ecumenismo di facciata, fatto soprattutto di bei discorsi, di sorrisi, di strette di mano, di incontri cordiali ma perlopiú inconcludenti; dall’altro un ecumenismo sotterraneo, condotto dall’ex Sant’Uffizio, che, nel silenzio, sembra produrre risultati concreti. Capisco che forse c’è bisogno dell’uno e dell’altro; ma non sarebbe il caso di coordinare un po’ meglio il lavoro, per non dare l’impressione che si perseguano due diversi obiettivi?
Le linee che vengono date non sono nuove: sono quelle che sono state finora seguite per l’accettazione di singoli preti o vescovi. La grande novità sta nello strumento giuridico predisposto per l’accoglienza di intere comunità: l’ordinariato personale. Mi sembra una soluzione intelligente e saggia. La Congregazione per la Dottrina della Fede, a quanto pare, aveva suggerito il ricorso alla prelatura personale, che però, nel caso presente, non sembra adattarsi alla varietà delle situazioni locali. La prelatura personale, per sua natura, è unica: tutti i sacerdoti, in qualsiasi parte del mondo dipenderebbero dal medesimo prelato. Di ordinariati personali, invece, se ne possono costituire quanti se ne vuole, anche uno per ciascun paese (come attualmente avviene nel caso degli ordinariati militari). Ciò sembra rispettare maggiormente la natura di “Chiese locali” che queste comunità portano in qualche modo con sé.
In un mio precedente intervento (2 febbraio 2009), avevo avanzato un’altra proposta, quella della Chiesa sui juris (come avviene nel caso delle Chiese orientali cattoliche); ma capisco che sarebbe, per il momento, una soluzione prematura e un tantino rivoluzionaria. La soluzione degli ordinariati personali è invece di piú facile attuazione e può costituire un primo passo verso l’eventuale costituzione, in futuro, di una vera e propria Chiesa sui juris.
Altre due considerazioni. La prima riguarda il rapporto con la Chiesa anglicana. Ufficialmente, tutto si è svolto in piena intesa con la Chiesa d’Inghilterra. In contemporanea con il briefing vaticano c’è stata a Londra una conferenza stampa dei due primati inglesi: l’Arcivescovo di Westminster Vincent Nichols e l’Arcivescovo di Canterbury Rowan Williams, i quali hanno sottoscritto una dichiarazione comune, nella quale si riconosce la sostanziale convergenza nella fede, nella dottrina e nella spiritualità fra la Chiesa cattolica e la tradizione anglicana. Questo a livello ufficiale. I soliti bene informati sostengono invece che Lambeth Palace si sia fermamente opposto alla decisione papale. È possibile; anzi, comprensibile (guardando la foto di Williams ieri alla conferenza stampa, si direbbe proprio che non fosse cosí soddisfatto). Ma, in questi casi, piú che i sentimenti personali, contano i documenti sottoscritti.
La seconda considerazione riguarda il rapporto fra questa decisione e il dialogo ecumenico svolto finora. Ovviamente, a me il ritorno di intere comunità anglicane alla piena comunione con la Chiesa cattolica sembra uno splendido frutto del cammino ecumenico percorso in questi anni; ma non tutti sono dello stesso parere. La Nota informativa della Congregazione per la Dottrina della Fede afferma in proposito: «Il provvedimento di questa nuova struttura è in linea con l’impegno per il dialogo ecumenico, che continua ad essere una priorità per la Chiesa Cattolica, in particolare attraverso gli sforzi del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani». La Dichiarazione congiunta londinese poi insiste molto su questo punto: «Senza i dialoghi egli ultimi quarant’anni, questo riconoscimento non sarebbe stato possibile, né si sarebbero potute nutrire speranze per una piena visibile unità. In questo senso, la Costituzione apostolica è una conseguenza del dialogo ecumenico fra la Chiesa cattolica e la Comunione anglicana».
Sono pienamente convinto di quanto ribadito ieri a Roma e a Londra. Eppure c’è qualcosa che non torna. Come mai il briefing è stato fatto solo dal Card. Levada e da Mons. Di Noia? Mi sta bene che fossero presenti il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e il Segretario della Congregazione del Culto Divino, per le loro rispettive competenze; ma possibile che in una circostanza del genere il Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani brilli per la sua assenza? Il Card. Kasper, è stato detto, era a Cipro. Non mi sembra una scusa molto convincente.
In un mio precedente post (8 febbraio 2009) facevo notare certe incongruenze. Ancora pochi giorni fa il Card. Kasper escludeva la possibilità di “passaggi di gruppo” al cattolicesimo (vedi qui). Si ha quasi l’impressione che in Vaticano si cammini su due binari diversi. Da una parte un ecumenismo di facciata, fatto soprattutto di bei discorsi, di sorrisi, di strette di mano, di incontri cordiali ma perlopiú inconcludenti; dall’altro un ecumenismo sotterraneo, condotto dall’ex Sant’Uffizio, che, nel silenzio, sembra produrre risultati concreti. Capisco che forse c’è bisogno dell’uno e dell’altro; ma non sarebbe il caso di coordinare un po’ meglio il lavoro, per non dare l’impressione che si perseguano due diversi obiettivi?