venerdì 9 ottobre 2009

Sussidiarietà ed ecumenismo

Ieri, mentre scrivevo il mio post sulla “Sussidiarietà nella Chiesa”, mi veniva in mente che l’adozione di tale principio potrebbe avere conseguenze notevoli anche a livello ecumenico; ma, sia perché l’oggetto della riflessione era un altro, sia per non appesantire il discorso, non vi ho fatto alcun cenno. Ci ha pensato David a tirare le debite conclusioni:


«Il bell’articolo sulla sussidiarietà nella Chiesa mi fa venire in mente i rapporti con le Chiese Ortodosse, quelle dell’Europa orientale e del Filioque.

Un tempo erano una realtà non solo staccata da noi da una divisione vecchia di secoli, ma perfettamente distinta anche dal punto di vista geografico: salvo che in Bielorussia, Ucraina e Bosnia, dalla caduta di Bisanzio fino al crollo della Cortina di Ferro cattolici e ortodossi hanno vissuto in due mondi separati, dove problemi come matrimoni misti, conversioni ed edifici di culto comuni non esistevano. Anche in paesi di frontiera, la Catholica e l’Ortodossia hanno trovato un modus vivendi piú o meno efficace fatto di netta separazione: nei quartieri dove abitavano i “papisti” non si trovavano “greci” e viceversa; l’idea stessa di matrimoni misti e conversioni era fuori dal mondo, una apostasia in piena regola, uno scandalo intollerabile. Ora non è piú cosí... In Italia la seconda religione non è l’Islam, né le sette protestanti... Da noi vivono oltre un milione di ortodossi, in maggioranza romeni, ucraini e moldavi, e sono loro la comunità che forma famiglie miste con cattolici, non i musulmani. E qui nasce il busillis... Alcuni mesi fa la mia interprete russa, residente in Italia da dieci anni, mi chiese consiglio perché intendeva sposarsi con un italiano cattolico: scoprii cosí che per gli ortodossi il matrimonio cattolico non è valido... Idem per tutti gli altri sacramenti. Non solo. Nell’ipotesi che si ragioni dicendo: per i cattolici, i sacramenti ortodossi sono illegittimi ma perfettamente validi, non si caverebbe lo stesso un ragno da un buco! Sí, perché, per sposare un ortodosso / una ortodossa col matrimonio celebrato dal pope orientale, occorre... convertirsi e abiurare il cattolicesimo. Quindi, siamo in un tunnel senza uscita... O sei un apostata da una parte o lo sei dall’altra!

Posso capire che ci siano differenze teologiche importanti con gli ortodossi monofisiti (copti, etiopi, assiri ecc.) che giustifichino questa divisione netta; ma quali differenze importanti ci sono fra noi e gli ortodossi greci o russi o bizantini? Mi è capitato di assistere a una messa ortodossa a Mosca e a una messa greco cattolica a Roma: le differenze liturgiche sono davvero minime... È possibile che non sia possibile trovare una strada che porti alla riunificazione dell’Est e dell’Ovest della Chiesa? Certo, questo fino all’altro ieri era un problema soprattutto cattolico: era la nostra sensibilità portata a cercare il compromesso con gli ortodossi. Loro, convinti di avere ragione da quasi mille anni e che oltre un miliardo di battezzati siano nell’errore, nemmeno si ponevano il problema, e se accettavano di dialogare era per elencare lamentele e accuse. Ma ora sono loro a essere dispersi in mezzo ai cattolici come mai prima nella loro storia: persino durante le migrazioni del Novecento verso le Americhe avevano conservato la propria identità. Farlo ora è impossibile.

I problemi fra Roma e Costantinopoli sembrano davvero pochi: il patriarca Bartolomeo, a capo di un gregge piú striminzito di quello di una parrocchia italiana di piccole dimensioni, trova piú agevole dialogare con Roma, che lo legittima e lo accoglie da pari, che con Mosca, che vede in lui solo un puntino sulla carta geografica. Già, Mosca... Ancora è presto per giudicare Cirillo nella sua politica verso Roma: l’ottima accoglienza fatta da Benedetto XVI al presidente bielorusso (ex funzionario del PCUS, dichiaratamente ateo) e il trasferimento dello zelante arcivescovo Tadeusz Kondrusiewicz dalla cattedra della Madre di Dio a quella del Santo Nome di Maria fanno pensare che Roma non cerchi piú il confronto. Ai cattolici romani russi è stato imposto di tenere un profilo bassissimo nei media e in politica. Prove di dialogo in corso...

Già, dialogo... Come se si trattasse di un confronto fra due mondi ancora separati. E non dei rapporti fra due fratelli che la storia ha diviso ma che hanno lo stesso sangue. Quello di Cristo...

Secondo te, si potrebbe esercitare il ministero petrino lasciando che i fratelli ortodossi conservino le loro tradizioni e la loro gerarchia? Dopo tutto, ammettiamolo, sono perfettamente inseriti nella successione apostolica, nella loro Comunione è presente Cristo in Corpo e Sangue come nella nostra, la loro Messa è vera e santa come la nostra...».


Innanzi tutto, una precisazione. Non è vero che con le cosiddette Chiese “monofisite” (meglio sarebbe chiamarle “Antiche Chiese d’Oriente” o Chiese “pre-calcedonesi”) ci siano “differenze teologiche importanti”. I numerosi incontri ecumenici avuti negli ultimi anni con queste Chiese hanno permesso di chiarire che le apparenti divergenze dottrinali che ci separano sono frutto di equivoci. In tutti questi incontri sono state sottoscritte dichiarazioni comuni in cui si riafferma la medesima fede in Gesú Cristo, vero Dio e vero uomo. Con queste Chiese l’unità potrebbe essere fatta immediatamente; anzi, personalmente ritengo che esse siano già in comunione con la Chiesa cattolica; manca solo il riconoscimento giuridico.

Diverso è il discorso con le Chiese Ortodosse, quelle, per intenderci, di tradizione bizantina. È vero, che in questo caso non esistono divergenze teologiche rilevanti; il problema è che ci separano mille anni di reciproche incomprensioni. La separazione si situa piú su un piano emotivo che dottrinale. Si dirà che si tratta di quisquilie, facilmente superabili. Personalmente ritengo che sia assai piú difficile superare questo tipo di difficoltà, che non le divergenze dottrinali, che con un pizzico di buona volontà possono facilmente essere chiarite (come appunto nel caso delle Chiese pre-calcedonesi).

Ciò non significa che ci si debba rassegnare e abbandonare gli sforzi ecumenici che si stanno compiendo. Solo, bisogna essere consapevoli dei problemi esistenti e, allo stesso tempo, occorre confidare sull’intervento dall’alto: l’unità della Chiesa non sarà il frutto dei nostri sforzi, ma un dono dello Spirito.

Da parte cattolica, non esistono ostacoli che impediscano l’unità. Meglio sarebbe dire: non sono mai esistiti. Per esempio, la questione del Filioque: la Chiesa latina ha sempre riconosciuto valida la posizione delle Chiese orientali (“lo Spirito Santo procede dal Padre attraverso il Figlio”); ma, allo stesso tempo, ha sempre creduto che “lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio”. Sono gli ortodossi che escludono la nostra posizione. Sui sacramenti, come diceva Davide, la Chiesa cattolica ne riconosce la piena validità (cosí come riconosce la successione apostolica nei Vescovi ortodossi). Sulle questioni disciplinari Roma ha sempre ammesso un sano pluralismo, tanto è vero che esistono Chiese orientali cattoliche, che seguono in tutto le tradizioni orientali (anche il Credo, lo recitano senza il Filioque). Direi che da parte nostra esistano solo due questioni ancora da approfondire: quella della sinodalità e quella del primato pontificio. Direte: E ti pare poco? Beh, credo che non si tratti di questioni insormontabili.

Per quanto riguarda la sinodalità, sono pienamente d’accordo che sia un aspetto che la Chiesa latina deve riscoprire, non tanto per fare piacere agli ortodossi, ma semplicemente perché fa parte della natura della Chiesa, cosí come essa è stata istituita da Gesú Cristo. Tale elemento costitutivo della Chiesa non è mai scomparso (il Concilio ecumenico); ma si vorrebbe che esso diventasse uno stile permanente di governo, come avviene nelle Chiese orientali. È possibile? Certo che è possibile, tanto è vero che nelle Chiese orientali, comprese quelle cattoliche, esiste un Sinodo patriarcale. La Chiesa latina dovrebbe dotarsi di un organo simile. Direte: ce l’ha già; è il Sinodo dei Vescovi. Probabilmente, dopo quaranta anni, si sente il bisogno di una riforma di questo organismo, che, cosí come esso è attualmente concepito, non corrisponde affatto al concetto di “sinodalità” delle Chiese orientali. Se ne può discutere. In ogni caso, questo non è un ostacolo sulla via dell’unità, in quanto è un problema interno alla Chiesa latina; nessuno si sogna di impedire agli orientali di continuare a seguire la loro tradizione sinodale.

Il problema piú rilevante rimane, senza dubbio, quello del primato pontificio. È ovvio che noi non possiamo rinunciare a tale principio, in quanto anch’esso parte della costituzione divina della Chiesa. In linea di principio, anche gli ortodossi accettano il primato del Vescovo di Roma (si tratta di un elemento della tradizione difficilmente negabile); ma lo considerano semplicemente un primato “d’onore”. A parte il fatto che non so che cosa abbia a che fare l’onore col Vangelo, è chiaro che anche su questo punto noi cattolici non possiamo transigere: che il primato pontificio sia un primato di giurisdizione è verità di fede. Forse si tratta, anche qui, di chiarire i termini e poi di cercare nuove forme di esercizio di tale primato.

Innanzi tutto, il chiarimento dei termini. “Giurisdizione” è un termine che può mettere un po’ di paura; ma non si tratta che di un sinonimo di “autorità”. E noi sappiamo qual è il significato di autorità secondo il Vangelo: essa è, innanzi tutto, “servizio” (altro che “onore”!). Se l’autorità — autorità effettiva, sia ben chiaro — viene realmente intesa come un “servizio”, un servizio alla comunione, non vedo perché la si dovrebbe rifiutare.

Rimane il problema delle modalità di esercizio del primato papale. Da questo punto di vista noi cattolici dobbiamo fare lo sforzo di non identificare le attuali modalità di esercizio come le uniche possibili. Per secoli il Romano Pontefice ha esercitato il suo primato in maniera diversa da come lo fa oggi. Non è possibile che in futuro si possa trovare un altro modo di fare il Papa? Tanto per fare un esempio: è assolutamente necessario che i Vescovi siano nominati da Roma? È ovvio che l’attuale prassi ha le sue motivazioni storiche (che continuano a essere valide); ma ciò non toglie che tale prassi possa in futuro cambiare: non si tratta di una questione che tocca la natura della Chiesa.

A questo proposito, penso che proprio il principio di sussidiarietà potrebbe giocare un ruolo importante. Forse è la chiave per affrontare i rapporti con le Chiese ortodosse. Per favorire un loro riavvicinamento, bisognerebbe far loro capire che essere in comunione con Roma non significa essere fagocitati dalla Chiesa latina; significa rimanere in tutto e per tutto Chiese sui juris, ma riconoscendo un’autorità superiore, esercitata secondo il principio di sussidiarietà. In questo senso, credo che il ruolo delle Chiese orientali cattoliche sia prezioso: “prove di unità in corso”. l’esistenza di tali Chiese (sprezzantemente considerate “uniate” dagli ortodossi) dovrebbe dimostrare che è possibile conservare le proprie tradizioni, vivendo in comunione col Papa.

Dobbiamo guardare al futuro con fiducia? Io penso di sí. Siccome i problemi non sono teologici, ma disciplinari e, soprattutto, umani, le cose possono cambiare da un momento all’altro. Ne abbiamo avuto già una prova: è bastato che a un Papa polacco succedesse un Papa tedesco, e i rapporti con la Chiesa Russa sono cambiati completamente (direte: Che c’entra? C’entra e come!). Ora poi che ad Alessio è subentrato Cirillo, i rapporti sono diventati ancora piú cordiali (non solo con la Chiesa di Roma, ma anche all’interno della stessa Ortodossia). Pare ormai certo che il Papa si recherà in Bielorussia, ed è molto probabile che lí si incontrerà con Cirillo: un altro passo avanti. Volete che, prima o poi, non si arrivi alla piena comunione?