Leggo nell’articolo di Paolo Rodari per Il Foglio (ripreso dal suo blog Palazzo Apostolico) che il Metropolita di Pergamo Giovanni Zizioulas, copresidente assieme al Card. Walter Kasper della Commissione mista cattolico-ortodossa, ha denunciato, nell’incontro attualmente in corso a Cipro, che non solo nel mondo dell’ortodossia, ma anche nella Chiesa cattolica vi sono esponenti imbrigliati in un «eccessivo razionalismo dogmatico, e vogliono che nulla sia cambiato». A detta di Rodari, tali parole si riferirebbero «anche a quella decisione di Roma poco digerita in Oriente, almeno dalle chiese che si riconoscono nella pentarchia: l’annullamento del titolo di patriarca d’occidente per il Papa».
Forse nessuno se n’era accorto da noi, ma questo fu uno dei primi atti del pontificato di Benedetto XVI: una decisione presa senza alcun documento ufficiale, che si presentò come un fatto compiuto quando fu pubblicato l’Annuario pontificio del 2006. Fino all’anno precedente, fra i diversi titoli del Papa (Vescovo di Roma, Metropolita della Provincia Romana, Primate d’Italia, ecc.), figurava quello di “Patriarca dell’Occidente”. Nella prima edizione dell’Annuario pubblicata dopo l’elezione di Papa Ratzinger quel titolo era scomparso. La decisione fu giustificata con ragioni di tipo ecumenico.
Quando lessi tale spiegazione, sobbalzai sulla sedia, perché secondo me l’abolizione di quel titolo poteva essere motivata in qualsiasi modo, fuorché con ragioni di tipo ecumenico. Se c’è un titolo che gli ortodossi hanno sempre riconosciuto al Vescovo di Roma è appunto quello di Patriarca dell’Occidente, perché, come giustamente ricorda Rodari, tale titolo mette il Papa sullo stesso livello degli altri Patriarchi della Pentarchia (le cinque sedi patriarcali del primo secolo: Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme). Ma nessun dibattito seguí a quella incomprensibile decisione: sembrava la cosa piú ovvia liberarsi di quell’anticaglia del passato. Che senso poteva avere ai nostri giorni chiamare il Papa “Patriarca dell’Occidente”?
Ecco che invece ora i nodi vengono al pettine: quella decisione, a quanto pare, gli ortodossi non l’hanno mai digerita. Ci voleva tanto a capirlo? Proprio ieri dicevamo che al giorno d’oggi, quando si deve prendere una qualsiasi decisione all’interno della Chiesa (non solo della Chiesa cattolica, ma di ogni confessione cristiana), si dovrebbe sempre tener conto anche dei risvolti ecumenici di quella decisione. Come in questo caso: che fastidio dava conservare, fra gli innumerevoli titoli del Vescovo di Roma, quel titolo che per secoli era stato tramandato, forse senza neppure rendersi sempre perfettamente conto del suo esatto significato?
Un altro motivo portato per giustificare la soppressione di quel titolo fu che, ai nostri giorni, il termine “Occidente” ha cambiato significato. A tale obiezione, con terminologia scolastica, risponderei: “Concedo”. Oggigiorno “Occidente” ha assunto un significato culturale-politico diverso da quello che poteva avere in passato. Ma non mi sembra questo un motivo sufficiente per abolire il titolo stesso. Prima dell’abolizione, ci può essere un’altra soluzione: la modifica. Non va piú bene “Patriarca dell’Occidente”? OK; che ne direste invece di “Patriarca della Chiesa latina”? Tale espressione, secondo me, esprime lo stesso concetto, ma evitando gli inconvenienti che il titolo tradizionale potrebbe comportare. Se si fosse proceduto a tale modifica, non credo che gli ortodossi avrebbero avuto nulla da ridire, perché per loro il Vescovo di Roma è esattamente questo, il Patriarca della Chiesa latina.
A parte la teoria della Pentarchia (che effettivamente oggi potrebbe apparire un tantino anacronistica), a parte le preoccupazioni di carattere ecumenico, anche se consideriamo la cosa solo da un punto di vista interno alla Chiesa cattolica, secondo il Codice dei canoni delle Chiese orientali (che riconosce l’esistenza di “Chiese sui juris”, perlopiú patriarcali), il Vescovo di Roma, prima ancora di essere “Pastore supremo della Chiesa universale”, è Patriarca della sua “Chiesa sui juris”, vale a dire della Chiesa latina. Ciò non toglie nulla al suo primato universale, ma mette in luce una delle sue molteplici prerogative.
Se abbiamo veramente a cuore l’unità della Chiesa non possiamo ignorare la tradizione. Molto giustamente Sandro Magister alcuni giorni fa faceva notare, sul sito www.chiesa, che «oggi piú che mai, con Joseph Ratzinger papa, il cammino ecumenico appare non una rincorsa alla modernità, ma un ritrovarsi sul terreno della tradizione». Questo è l’unico terreno su cui è possibile ricostruire l’unità. L’«eccessivo razionalismo dogmatico», per dirla col Metropolita di Pergamo, non giova affatto alla causa ecumenica.
Forse nessuno se n’era accorto da noi, ma questo fu uno dei primi atti del pontificato di Benedetto XVI: una decisione presa senza alcun documento ufficiale, che si presentò come un fatto compiuto quando fu pubblicato l’Annuario pontificio del 2006. Fino all’anno precedente, fra i diversi titoli del Papa (Vescovo di Roma, Metropolita della Provincia Romana, Primate d’Italia, ecc.), figurava quello di “Patriarca dell’Occidente”. Nella prima edizione dell’Annuario pubblicata dopo l’elezione di Papa Ratzinger quel titolo era scomparso. La decisione fu giustificata con ragioni di tipo ecumenico.
Quando lessi tale spiegazione, sobbalzai sulla sedia, perché secondo me l’abolizione di quel titolo poteva essere motivata in qualsiasi modo, fuorché con ragioni di tipo ecumenico. Se c’è un titolo che gli ortodossi hanno sempre riconosciuto al Vescovo di Roma è appunto quello di Patriarca dell’Occidente, perché, come giustamente ricorda Rodari, tale titolo mette il Papa sullo stesso livello degli altri Patriarchi della Pentarchia (le cinque sedi patriarcali del primo secolo: Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme). Ma nessun dibattito seguí a quella incomprensibile decisione: sembrava la cosa piú ovvia liberarsi di quell’anticaglia del passato. Che senso poteva avere ai nostri giorni chiamare il Papa “Patriarca dell’Occidente”?
Ecco che invece ora i nodi vengono al pettine: quella decisione, a quanto pare, gli ortodossi non l’hanno mai digerita. Ci voleva tanto a capirlo? Proprio ieri dicevamo che al giorno d’oggi, quando si deve prendere una qualsiasi decisione all’interno della Chiesa (non solo della Chiesa cattolica, ma di ogni confessione cristiana), si dovrebbe sempre tener conto anche dei risvolti ecumenici di quella decisione. Come in questo caso: che fastidio dava conservare, fra gli innumerevoli titoli del Vescovo di Roma, quel titolo che per secoli era stato tramandato, forse senza neppure rendersi sempre perfettamente conto del suo esatto significato?
Un altro motivo portato per giustificare la soppressione di quel titolo fu che, ai nostri giorni, il termine “Occidente” ha cambiato significato. A tale obiezione, con terminologia scolastica, risponderei: “Concedo”. Oggigiorno “Occidente” ha assunto un significato culturale-politico diverso da quello che poteva avere in passato. Ma non mi sembra questo un motivo sufficiente per abolire il titolo stesso. Prima dell’abolizione, ci può essere un’altra soluzione: la modifica. Non va piú bene “Patriarca dell’Occidente”? OK; che ne direste invece di “Patriarca della Chiesa latina”? Tale espressione, secondo me, esprime lo stesso concetto, ma evitando gli inconvenienti che il titolo tradizionale potrebbe comportare. Se si fosse proceduto a tale modifica, non credo che gli ortodossi avrebbero avuto nulla da ridire, perché per loro il Vescovo di Roma è esattamente questo, il Patriarca della Chiesa latina.
A parte la teoria della Pentarchia (che effettivamente oggi potrebbe apparire un tantino anacronistica), a parte le preoccupazioni di carattere ecumenico, anche se consideriamo la cosa solo da un punto di vista interno alla Chiesa cattolica, secondo il Codice dei canoni delle Chiese orientali (che riconosce l’esistenza di “Chiese sui juris”, perlopiú patriarcali), il Vescovo di Roma, prima ancora di essere “Pastore supremo della Chiesa universale”, è Patriarca della sua “Chiesa sui juris”, vale a dire della Chiesa latina. Ciò non toglie nulla al suo primato universale, ma mette in luce una delle sue molteplici prerogative.
Se abbiamo veramente a cuore l’unità della Chiesa non possiamo ignorare la tradizione. Molto giustamente Sandro Magister alcuni giorni fa faceva notare, sul sito www.chiesa, che «oggi piú che mai, con Joseph Ratzinger papa, il cammino ecumenico appare non una rincorsa alla modernità, ma un ritrovarsi sul terreno della tradizione». Questo è l’unico terreno su cui è possibile ricostruire l’unità. L’«eccessivo razionalismo dogmatico», per dirla col Metropolita di Pergamo, non giova affatto alla causa ecumenica.