Qualcuno si starà chiedendo come mai non abbia ancora proferito verbo dopo l’annuncio dell’imminente inizio dei colloqui della Santa Sede con la Fraternità di San Pio X, previsto per lunedì prossimo 26 ottobre. Il motivo è semplice: in questo momento, meno di interferisce, meglio è. Di interferenze — di quelle che cercano di intralciare o addirittura impedire tali colloqui — ce n’è già abbastanza; non è necessario che mi ci metta anch’io. Questo, piú che il momento delle parole, è il momento della preghiera. Quello che dovevo dire in proposito, l’ho detto in tempi non sospetti. Quando ho scritto la lettera aperta a Mons. Fellay, qualcuno ha addirittura insinuato che ero stato pagato dal Vaticano per blandire i lefebvriani (!). Volete che ora dica qualcosa? Per il momento, non ho nulla da aggiungere. Penso che l’unica cosa da farsi in questo momento sia di pregare intensamente il Signore e la Madonna e di fidarsi delle persone — mi sembra, tutte rispettabili — a cui è stato affidato l’incarico di condurre i colloqui.
Semmai, si potrebbero aggiungere due paroline a proposito di due interventi, avvenuti sabato scorso. Il primo è quello di Andrea Tornielli sul Giornale. Egli riporta un commento di non meglio precisate “autorevoli fonti vaticane”: «Nessuno vuole tornare indietro o cancellare il Concilio. Si tratta invece di leggerlo e interpretarlo correttamente, come è già stato fatto nel Catechismo della Chiesa cattolica pubblicato nel 1992». Mi sembra, questa, una posizione molto saggia, non solo perché riprende la linea tracciata dal Papa nel suo discorso alla Curia Romana del 22 dicembre 2005, ma anche perché suggerisce un metodo di lavoro. Trovo il riferimento al Catechismo della Chiesa cattolica quanto mai illuminante: la Chiesa cattolica non deve fare nessun dietro front per andare incontro ai lefebvriani (il Concilio, nel suo insieme, non è in discussione neppure da parte lefebvriana), né deve intraprendere un cammino per essa inedito. La Chiesa deve semplicemente continuare a fare ciò che ha fatto finora: essa deve continuare a interpretare correttamente il Concilio, come ha sempre fatto, a incominciare dall’8 dicembre 1965. Il Catechismo ne è uno splendido esempio (ovviamente, come tutte le cose umane, anch’esso avrà i suoi difetti; ma nessuno, penso, potrà accusare il nuovo Catechismo di eresia). Il resto — le interpretazioni del Concilio come rottura, nuovo inizio, ecc. — non conta nulla: si tratta di discutibilissime opinioni personali di singoli e di gruppi, non della posizione ufficiale della Chiesa.
Il secondo intervento è stato quello di Fr. A. R., su Cantuale Antonianum. Esso si riferisce all’annotazione finale dell’articolo di Tornielli, secondo cui i lefebvriani punterebbero «a ottenere dal Vaticano lo status di “prelatura personale”, fino ad oggi riconosciuto soltanto all’Opus Dei». Fr. A. R. dice che, secondo lui, i problemi dei lefebvriani sono altri. Penso che abbia ragione; ma, proprio per il motivo che dicevo all’inizio, preferisco non entrare nel merito. Quanto all’ipotesi di prelatura personale, l’estensore di Cantuale Antonianum afferma: «Sarebbe abbastanza preoccupante che venisse eretta un’altra “anomalia ecclesiologica”, qual è ogni prelatura personale (meglio che ne rimanga una sola), soprattutto quando non ce n’è alcun bisogno per il bene della Chiesa». Personalmente non sarei cosí categorico. Sono d’accordo che non è questo ora il problema all’ordine del giorno: ho l’impressione che i lefebvriani non abbiano alcuna fretta di rientrare nel seno della Chiesa cattolica; la loro priorità è, in questo momento, il chiarimento delle questioni dottrinali. Solo in un secondo tempo, una volta chiariti tutti i dubbi e le incomprensioni (cosa che non sarà cosí facile), si potrà incominciare a parlare delle questioni giuridiche. A quel punto (speriamo che ci si possa arrivare presto!), io non escluderei alcuna soluzione: il diritto è per l’uomo, non l’uomo per il diritto. Personalmente, non considero affatto le prelature personali una “anomalia ecclesiologica”. Certo, in una concezione ecclesiologica strettamente “territoriale” (come quella degli ortodossi, secondo i quali un determinato territorio può dipendere esclusivamente da un Vescovo), le prelature personali sono un monstrum giuridico; ma nella concezione ecclesiologica cattolica, che oltre alla collegialità episcopale prevede anche l’esistenza del primato pontificio, non vedo dove sia la difficoltà. Che l’esistenza di prelature personali possa creare nelle diocesi problemi pratici, non lo metto in dubbio; ma si tratta dello stesso problema posto, da secoli, dagli ordini religiosi esenti. Personalmente, penso che le prelature personali abbiano un importante ruolo da giocare nel futuro della Chiesa, per risolvere tanti problemi, che attualmente sembrano irrisolvibili. Se una prelatura personale può aiutare a ricucire lo scisma lefebvriano, ben venga!
Semmai, si potrebbero aggiungere due paroline a proposito di due interventi, avvenuti sabato scorso. Il primo è quello di Andrea Tornielli sul Giornale. Egli riporta un commento di non meglio precisate “autorevoli fonti vaticane”: «Nessuno vuole tornare indietro o cancellare il Concilio. Si tratta invece di leggerlo e interpretarlo correttamente, come è già stato fatto nel Catechismo della Chiesa cattolica pubblicato nel 1992». Mi sembra, questa, una posizione molto saggia, non solo perché riprende la linea tracciata dal Papa nel suo discorso alla Curia Romana del 22 dicembre 2005, ma anche perché suggerisce un metodo di lavoro. Trovo il riferimento al Catechismo della Chiesa cattolica quanto mai illuminante: la Chiesa cattolica non deve fare nessun dietro front per andare incontro ai lefebvriani (il Concilio, nel suo insieme, non è in discussione neppure da parte lefebvriana), né deve intraprendere un cammino per essa inedito. La Chiesa deve semplicemente continuare a fare ciò che ha fatto finora: essa deve continuare a interpretare correttamente il Concilio, come ha sempre fatto, a incominciare dall’8 dicembre 1965. Il Catechismo ne è uno splendido esempio (ovviamente, come tutte le cose umane, anch’esso avrà i suoi difetti; ma nessuno, penso, potrà accusare il nuovo Catechismo di eresia). Il resto — le interpretazioni del Concilio come rottura, nuovo inizio, ecc. — non conta nulla: si tratta di discutibilissime opinioni personali di singoli e di gruppi, non della posizione ufficiale della Chiesa.
Il secondo intervento è stato quello di Fr. A. R., su Cantuale Antonianum. Esso si riferisce all’annotazione finale dell’articolo di Tornielli, secondo cui i lefebvriani punterebbero «a ottenere dal Vaticano lo status di “prelatura personale”, fino ad oggi riconosciuto soltanto all’Opus Dei». Fr. A. R. dice che, secondo lui, i problemi dei lefebvriani sono altri. Penso che abbia ragione; ma, proprio per il motivo che dicevo all’inizio, preferisco non entrare nel merito. Quanto all’ipotesi di prelatura personale, l’estensore di Cantuale Antonianum afferma: «Sarebbe abbastanza preoccupante che venisse eretta un’altra “anomalia ecclesiologica”, qual è ogni prelatura personale (meglio che ne rimanga una sola), soprattutto quando non ce n’è alcun bisogno per il bene della Chiesa». Personalmente non sarei cosí categorico. Sono d’accordo che non è questo ora il problema all’ordine del giorno: ho l’impressione che i lefebvriani non abbiano alcuna fretta di rientrare nel seno della Chiesa cattolica; la loro priorità è, in questo momento, il chiarimento delle questioni dottrinali. Solo in un secondo tempo, una volta chiariti tutti i dubbi e le incomprensioni (cosa che non sarà cosí facile), si potrà incominciare a parlare delle questioni giuridiche. A quel punto (speriamo che ci si possa arrivare presto!), io non escluderei alcuna soluzione: il diritto è per l’uomo, non l’uomo per il diritto. Personalmente, non considero affatto le prelature personali una “anomalia ecclesiologica”. Certo, in una concezione ecclesiologica strettamente “territoriale” (come quella degli ortodossi, secondo i quali un determinato territorio può dipendere esclusivamente da un Vescovo), le prelature personali sono un monstrum giuridico; ma nella concezione ecclesiologica cattolica, che oltre alla collegialità episcopale prevede anche l’esistenza del primato pontificio, non vedo dove sia la difficoltà. Che l’esistenza di prelature personali possa creare nelle diocesi problemi pratici, non lo metto in dubbio; ma si tratta dello stesso problema posto, da secoli, dagli ordini religiosi esenti. Personalmente, penso che le prelature personali abbiano un importante ruolo da giocare nel futuro della Chiesa, per risolvere tanti problemi, che attualmente sembrano irrisolvibili. Se una prelatura personale può aiutare a ricucire lo scisma lefebvriano, ben venga!