In occasione di una recente visita pastorale alla locale comunità cattolica araba americana emigrata dalla Giordania e dalla Terra Santa nella regione di Los Angeles, S. B. Michel Sabbah, già Patriarca Latino di Gerusalemme, è stato invitato a fare una conferenza sul tema “Gerusalemme, città di pace” (23 settembre 2009).Si tratta di un testo straordinario, che secondo me merita un’ampia diffusione. Per questo, ho provveduto a farne una mia traduzione. Potete trovare l’originale inglese sul sito del Patriarcato Latino di Gerusalemme.1. «
Quando fu vicino, alla vista della città, pianse su di essa, dicendo: “Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace”» (Lc 19:41-42).
Oggi queste stesse parole si applicano a Gerusalemme, che vive una situazione di conflitto, di odio e di morte. I leader politici non hanno trovato ancora, fino a oggi, “le vie della pace”. Essi sono riusciti a creare nuove situazioni di fatto, essi sono riusciti a cambiare la demografia e la geografia; ma, in tutto ciò, non si vedono ancora le “vie della pace”.
I leader religiosi, da parte loro, riempiono Gerusalemme con riti e preghiere formali. Ma, dentro questi riti formali, lo stesso cuore che rende culto ha dentro la guerra verso il suo prossimo. Esso adora Dio, ma rigetta le creature di Dio, poiché esse sono diverse, sono differenti, per religione e nazionalità.
Ma, per quanto riguarda la vita e i valori religiosi, dobbiamo anche ammettere l’esistenza di tante persone pie, in tutte e tre le religioni, che adorano Dio e amano gli altri, pur differenti, perché li vedono come figli di Dio. La loro preghiera è silenziosa, nascosta, conosciuta solo a Dio, lo stesso Dio, che ha radunato tutti i diversi popoli — ebrei, musulmani e cristiani — nella sua stessa città santa.
2. Vivere a Gerusalemme è vivere con problemi di vita quotidiana, con tutti quelli che vivono lí, uomini di fedi e nazionalità differenti, e allo stesso tempo vivere con il mistero di Dio in questa città.
I profeti dell’Antico Testamento hanno parlato di Gerusalemme, talvolta con maledizioni per l’infedeltà dei suoi abitanti, talvolta con una visione gloriosa del futuro basata sulla conversione degli uomini, e sulla compassione di Dio che perdona e rinnova piú volte la Sua vita fra gli uomini.
Dio onnipotente e misericordioso, il Signore della storia, insieme con gli uomini di buona e cattiva volontà, ha fatto la storia di Gerusalemme, con tutte le sue diverse fasi attraverso i secoli: l’alleanza di Dio, la permanente fedeltà di Dio, la fedeltà e l’infedeltà degli uomini, e i vari conquistatori che si sono succeduti a Gerusalemme attraverso i secoli fino a oggi. Tutta quella storia, e tutti quegli attori, sotto l’occhio vigilante di Dio, hanno fatto il nostro presente, oggi, a Gerusalemme: due popoli, israeliano e palestinese, e tre religioni, ebrei, cristiani e musulmani, che sono, allo stesso tempo, in conflitto gli uni con gli altri mentre adorano lo stesso Dio.
Gerusalemme è una città di conflitto fra i due popoli che vivono in essa. Nonostante ciò, essa rimane la città di Dio. Perciò, occuparsi di Gerusalemme o dei suoi popoli significa occuparsi del mistero di Dio in essa. Ogni persona che si occupa di Gerusalemme — i leader politici e religiosi in particolare — dovrebbe essere una persona che innanzi tutto adora e prega Dio, chiedendogli ispirazione, luce e sapienza, per conoscere come occuparsi della città e del popolo in essa — siano essi residenti o pellegrini che la visitano — e come trovare le vie giuste di occuparsi del conflitto in corso.
3. Noi cristiani di Gerusalemme e nel mondo guardiamo a Gerusalemme attraverso il mistero di Gesú Cristo, Signore e Dio, che è venuto a salvare il mondo, e a iniziare il regno di Dio sulla terra. La sua predicazione e quella di San Giovanni Battista, il precursore, incominciò con queste parole: «
Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo» (Mc 1:15). Per molti questo compimento ebbe luogo, per altri no. Molti vivono, o si sforzano di vivere, nel regno di Dio su questa terra. Altri no.
Gerusalemme è la città della redenzione del mondo, una città dove l’umanità è stata riconciliata con Dio. E, con la risurrezione del Signore Gesú Cristo, vale a dire il Suo trionfo sulla morte e sul peccato, anche l’umanità — e ogni singolo uomo — è risorta “dai morti” e resa capace di liberare sé stessa dal peccato, di riconciliarsi con Dio e con il proprio prossimo, qualunque siano le differenze fra vicini, religioni, nazionalità, razze o situazioni di conflitto, come nel caso oggi fra i due popoli che vivono in essa.
Una città di redenzione e riconciliazione: questo è per i Cristiani la definizione e la vocazione di Gerusalemme. Essa ha una dimensione universale, rivolta a tutta l’umanità. Questo è un secondo elemento importante della sua definizione. Essere una città santa per tutte e tre le religioni è parte di questo carattere e di questa vocazione che Gerusalemme possiede.
4. Ho vissuto a Gerusalemme per 20 anni come Patriarca di Gerusalemme per i cattolici. La mia prima osservazione sullo stare a Gerusalemme come cristiano è questa: vista la vocazione universale di Gerusalemme, una vocazione di riconciliazione universale, non ci si può rinchiudere nella propria comunità. A Gerusalemme, o si vive con tutti oppure si è fuori della vocazione della città, anche se si vive in essa. Vivere a Gerusalemme da soli, vivere con una visione e un quadro di riferimento ristretti riguardo alla confessione religiosa, rivendicare i propri diritti su Gerusalemme, politici o religiosi, escludendo i diritti degli altri su di essa, è, ancora una volta, vivere contro la missione e la vocazione di Gerusalemme. Escludere l’altro, rifiutare di vedere l’altro, vedere solo sé stessi, non è “ricostruire le mura di Gerusalemme” come dice il Salmo 50. È demolire Gerusalemme ed esporla alla permanente minaccia di guerra, violenza e mali, esattamente l’opposto della sua vocazione di città della redenzione e riconciliazione universali.
Perciò la mia prima osservazione sul vivere a Gerusalemme può essere riassunta nel modo seguente: Vivi a Gerusalemme, il che significa che vivi con Dio e con tutti i figli di Dio in essa. Non puoi rimanere chiuso esclusivamente dentro la tua comunità. Vivi con Dio, e cosí condividi la grazia di Dio con tutti, e condividi le sofferenze e le gioie di tutti. Sebbene può essere difficile vivere all’altezza di questa dimensione universale della città, è un dovere per i cristiani e per ogni credente che rende culto in essa e vuole sinceramente “ricostruire le mura di Gerusalemme” e riportare in essa la gloria che Dio vuole per essa.
Perciò sono vissuto a Gerusalemme, con e per la mia piccola comunità cattolica, ma anche con e per tutti i cristiani, come pure con e per i musulmani e gli ebrei.
Che cosa ho vissuto e visto?
Una città lacerata, piena di conflittualità, cose che fanno soffrire a vederle e a parlarne: un muro che divide le strade principali, facendo un lato israeliano e un lato palestinese; un muro che separa le parti di Gerusalemme, facendo un lato parte di Gerusalemme, e l’altro lato, non piú Gerusalemme; ho visto confiscare terre e case, rimpiazzare gli abitanti delle case, creare nuovi quartieri ebraici, limitando allo stesso tempo ogni sforzo di sviluppo palestinese: il che significa diniego dei permessi di costruzione, e perciò costruzioni senza permesso, il che porta alla demolizione di quelle case... e, peggio di tutto, il veleno dell’odio dell’altro, dovuto alla propria cecità che ci rende incapaci di vedere l’altro come una creatura di Dio.
Ho visto una città voluta dai due popoli, palestinesi e israeliani, come capitale politica, e dai credenti delle tre religioni come città santa e come città di normale vita quotidiana. Sembra non esserci contraddizione nell’essere città santa per le tre religioni monoteiste. Ognuno rende culto in essa e rispetta la sua santità. Ma la realtà è che i sentimenti religiosi sono cosí mescolati con la realtà politica che le cose diventano piú complicate, e il culto non rimane semplice culto, ma diventa un atto politico o un segno di appropriazione della città e di esclusione dell’altro.
I palestinesi hanno rivendicato e a tutt’oggi rivendicano che Gerusalemme Est è o sarà la capitale eterna della Palestina. È loro diritto, e non è esclusivo, in quanto rivendica solo la Gerusalemme Est araba come capitale della Palestina. Israele rivendica che tutta Gerusalemme, Est e Ovest, è la capitale eterna di Israele, non accettando né una città condivisa con sovranità condivisa, né una città divisa con sovranità divisa: uno
status dichiarato “nullo” dalla comunità internazionale, ma ancora valido nei fatti.
Quindi i diritti politici dei palestinesi sono esclusi. Quindi gli altri credenti, i palestinesi, siano essi musulmani o cristiani, hanno accesso limitato alla città, a causa delle misure di sicurezza e di una visione di sicurezza. Per coloro che vivono fuori del nuovo muro che circonda Gerusalemme e che la separa dai Territori Palestinesi, l’accesso è soggetto a permessi militari, che sono dati ad alcuni e rifiutati ad altri. E a quei cristiani e musulmani che vivono nei paesi arabi è quasi completamente proibito l’accesso alla città, per la preghiera e per altre ragioni.
Questa è la situazione in cui sono vissuto, e vivo fino a oggi. È una situazione straziante. Da una parte, Gerusalemme parla a ogni credente: riconciliazione e pace dentro il proprio cuore, e pace esteriore estesa a tutti. Non piú ostilità. D’altra parte, l’ostilità è la realtà quotidiana imposta a tutti.
Sí, noi circondiamo Gerusalemme con le nostre preghiere per tutti, scavalcando i muri materiali, come quelli nei cuori. Oltre le preghiere, esistono anche molteplici sforzi di dialogo interreligioso a Gerusalemme, finalizzati a portare gli uomini piú vicini a Dio, e gli uni agli altri. Ma la conflittualità rimane la realtà dominante.
5. Avendo Gerusalemme questo carattere santo e questa vocazione universale, deve avere uno statuto speciale che garantisca i diritti di tutti i cittadini in essa come credenti e cittadini, e al tempo stesso garantisca la libertà di accesso a tutti i pellegrini. Qualsiasi potere politico che governi Gerusalemme deve perciò tener conto di questa vocazione universale della città e darle questo
statuto speciale che garantisca i diritti dei cittadini, come capitale per lo Stato palestinese, come capitale per lo Stato d’Israele, e come capitale spirituale per l’umanità.
Chiunque governi Gerusalemme ha il dovere di tener conto di tutta questa storia passata e universale, oggi viva in tutte le sue fasi nelle comunità viventi. Perciò non deve cadere in una visione ristretta, egoistica, nazionalistica, esclusivistica: una visione che esclude gli altri, insieme con la loro lunga storia, cancellandola, e imponendo oggi una nuova realtà che lavora contro la sopravvivenza di tutte le identità con uguali diritti e doveri a Gerusalemme, e condanna la città a rimanere una fonte di guerra.
Un vero credente — ebreo, cristiano o musulmano — deve innalzarsi al livello della santità che Dio vuole per la città, al livello della santità di Dio stesso, il che significa, la capacità di rispettare e accogliere tutti i figli di Dio in essa, dando loro uguali diritti e doveri, senza alcuna discriminazione per motivi religiosi o politici. È nella misura in cui il vero credente può innalzarsi al livello della sua santità, che Gerusalemme può vincere tutte le forze di conflitto e tutto il male della guerra in essa.
6. Esiste a Gerusalemme un Consiglio delle Istituzioni Religiose, un consiglio interreligioso, nel quale il Gran Rabbinato rappresenta la parte ebraica, il Ministro degli Affari Islamici la parte musulmana, e i 13 capi delle Chiese rappresentano la parte cristiana. È un consiglio di dialogo interreligioso. Il dialogo verte sulla vita quotidiana e, di conseguenza, sulla situazione politica che impone questa vita quotidiana. Ci incontriamo per raggiungere una visione comune della Città Santa e della Terra Santa. Ma finora siamo riusciti a metterci d’accordo solo sul fatto basilare che Gerusalemme è una città santa per tutti. Si sta preparando una bozza, e sarà pubblicata in un prossimo futuro, che definisca i punti su cui siamo d’accordo e i punti su cui non lo siamo. Speriamo che un giorno la grazia di Dio e leader politici piú saggi permettano alla città di essere un centro di riconciliazione per tutti e una città dove cessino tutte le ostilità.
I Patriarchi e i Capi cristiani delle Chiese di Gerusalemme, da parte loro, hanno pubblicato due documenti sullo
status di Gerusalemme e il suo significato per i cristiani: il primo nel 1994 e il secondo nel 2006. Concludo questa conferenza citando alcuni passi del secondo documento, del settembre 2006:
«
Con la costruzione del muro molti dei nostri fedeli sono esclusi dai confini della Città Santa, e secondo i piani pubblicati sulla stampa locale, molti di piú lo saranno in futuro. Circondata da muri, Gerusalemme non è piú al centro e non è piú il cuore della vita come dovrebbe essere.Consideriamo parte del nostro dovere attirare l’attenzione delle autorità locali, come pure la comunità internazionale e le Chiese del mondo, su questa gravissima situazione e invocare uno sforzo concertato a cercare una visione comune sullo statuto di questa Città Santa, basato sulle risoluzioni internazionali e che tenga conto dei diritti dei due popoli e delle tre comunità religiose che vivono in essa.In questa città, in cui Dio scelse di parlare all’umanità e riconciliare i popoli con sé e fra di loro, leviamo le nostre voci per dire che le strade seguite finora non hanno prodotto la pacificazione della città e non hanno assicurato una vita normale per i suoi abitanti. Perciò esse devono essere cambiate. I leader politici devono cercare una nuova visione e nuovi mezzi.Nel disegno di Dio due popoli e tre religioni sonno vissuti insieme in questa città. La nostra visione è che essi dovrebbero continuare a vivere insieme in armonia, rispetto, accettazione reciproca e cooperazione».
Conclusione«
Quando fu vicino, alla vista della città, pianse su di essa, dicendo: “Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace”» (Lc 19:41-42).
Gerusalemme deve essere una città di pace, ma oggi non è cosí.
Oggi la santità è trasformata in contesa e in controversia politica. La persona umana ne è la vittima. La storia ne è la vittima. La religione ne è la vittima, sia essa il Giudaismo, il Cristianesimo o l’Islam: perché nessuna di esse è chiamata, come tale, a essere una fonte di controversia, o a rendere la coesistenza di tutti qualcosa di impossibile.
Le “vie della pace” a Gerusalemme sono basate su tre principi: primo, accettare la volontà di Dio come Egli l’ha manifestata attraverso le Sacre Scritture e attraverso la storia. Attraverso le Sacre Scritture e attraverso la storia Dio ci ha riunito tutti a Gerusalemme: ebrei, cristiani e musulmani. Secondo, le Sacre Scritture hanno dato a Gerusalemme una dimensione universale, facendone un luogo da essere condiviso da tutta l’umanità, a cominciare da coloro che vi abitano, israeliani e palestinesi. Terzo: piú importante del luogo santo è Dio, che santifica quel luogo. Il comandamento di Dio è di adorarlo e di amare tutte le sue creature. Nella stessa prospettiva, la persona umana è il tempio vivente di Dio, ed è perciò piú importante di qualunque luogo.
Alla luce di questi tre principi: la santità della città, la sua universalità come luogo da condividere, e la priorità dell’essere umano, la questione religiosa e politica di Gerusalemme deve essere risolta.
Gerusalemme non può essere una proprietà esclusiva di nessuno; lo stesso vale di Dio stesso, che non può essere proprietà esclusiva di nessuno: Egli è il Dio creatore di tutti. Tutto a Gerusalemme deve riflettere questa vocazione divina e la condivisione è la strada attraverso cui questo può essere raggiunto. Con la condivisione nessuno è sottomesso all’altro. Nessuno dei suoi abitanti è soggetto alla paura, o dominato da essa, o ridotto allo stato di minoranza o di straniero. Tutti sono uguali in dignità, nei diritti e nei doveri religiosi e politici, nel riconoscimento reciproco e nella libertà di religione. Ciascuno godrà Gerusalemme come essa è: una città di Dio, una città di pace, una città in cui ciascuno è riconciliato con Dio e con tutti i suoi fratelli, di tutte le nazioni e religioni.
+ Michel Sabbah, Patriarca emerito
Chapman University chapel (Orange, CA)Claremont School of Religion Library, 831 N. Dartmouth, Claremont.23 settembre 2009