venerdì 21 agosto 2009

"Ad Orientem" o "ad Dominum"?

Ieri Papa Ratzinger blog [2] ha ripubblicato vari interventi di un dibattito intercorso negli anni passati fra Padre Uwe Michael Lang e Padre Rinaldo Falsini.

Tutto era cominciato nel 2003, quando Padre Lang, sacerdote dell’Oratorio di San Filippo Neri a Londra, pubblicò in tedesco il volume Conversi ad Dominum, tradotto l’anno successivo in inglese con una prefazione dell’allora Card. Ratzinger (edizione italiana: Rivolti al Signore, Cantagalli, Siena 2006, 2ª ed. 2008).

Sul numero di ottobre 2006 di Vita Pastorale Padre Falsini pubblicò l’articolo “L’altare verso il popolo è scelta conciliare”. Sulla stessa rivista (gennaio 2007) fu pubblicata una lettera del Padre Lang (“Una scelta imprudente?”) insieme con la replica di Padre Falsini (“Una recezione definitiva e totale”).

Nell’ottobre 2007 Padre Lang rilasciava un’ampia intervista all’agenzia ZENIT dal titolo “Riorientare la Messa”.

Sul numero di marzo-aprile 2008 della Rivista Liturgica, Padre Falsini tornava sull’argomento con l’articolo “Celebrare rivolti al popolo e pregare rivolti al Signore. Sull’orientamento della preghiera”.

Non si può ignorare, a questo riguardo, la notizia di questi giorni che l’Arcivescovo di Tulsa, in Oklahoma, ha deciso di celebrare, nella sua cattedrale, la liturgia eucaristica rivolto ad Orientem (se ne veda qui la notizia e qui la traduzione italiana).

È stata per me una piacevole occasione per aggiornarmi su una questione, della cui esistenza ero al corrente, ma che non avevo mai avuto modo di approfondire. E, per tale motivo, avevo sempre sospeso ogni giudizio in materia, non ritenendomi sufficientemente informato. Non che ora lo sia; ma per lo meno mi sono fatto un’idea. Da quanto detto dovrebbe risultare evidente che non ho letto il libro di Padre Lang Rivolti al Signore; ma pregherei il simpatico di turno di astenersi da facili ironie, come se volessi commentare un libro che non ho letto. Non è mia intenzione fare la recensione di un libro (anche perché un blog non sarebbe il luogo piú idoneo), ma semplicemente esprimere un parere sulla questione dell’orientamento della liturgia, un parere che si fonda sui testi sopra indicati, sull’esperienza pastorale accumulata in questi anni e sulla riflessione personale.

Dopo aver letto gli interventi pubblicati su Vita Pastorale, da lettore assolutamente non prevenuto, ho avuto l’impressione che la posizione di Padre Lang fosse un tantino debole rispetto a quella del Padre Falsini, che mi è apparsa piú documentata (se non altro, per essere stato personalmente coinvolto nella riforma liturgica). Il punto del dibattito era la questione se il Concilio avesse voluto o no la celebrazione versus populum. È vero, come fa notare il Card. Ratzinger nella prefazione al volume del Lang, che il Concilio non ne fa menzione; ma mi sembra che Padre Falsini dimostri sufficientemente che questa era la mens dei Padri conciliari.

È vero che la celebrazione versus populum non è mai stato un obbligo, ma solo una possibilità; ciò non toglie che le norme liturgiche prevedano, come piú adatta alla nuova liturgia, la celebrazione col sacerdote rivolto verso i fedeli. Non mi sembra un argomento stringente quello usato da Padre Lang, secondo cui le rubriche dell’ultima edizione del Messale Romano evidenziano che il sacerdote, in certi momenti deve essere rivolto al popolo, quasi che nel resto della celebrazione dovesse voltargli le spalle: tali rubriche si spiegano appunto perché non è escluso che si possa anche celebrare ad Orientem, per cui in quei momenti il sacerdote deve, in ogni modo, rivolgersi verso i fedeli.

Mi sembra molto significativo il riferimento del Padre Lang alla “prudenza” consigliata dalla Santa Sede, specialmente quando si trattava di adattare le chiese alle nuove norme liturgiche. Non si può negare che ci siano stati degli scempi. Io stesso sono testimone di confratelli che, dopo aver stravolto il presbiterio della loro chiesa, se ne sono amaramente pentiti (non solo per motivi di carattere teologico, ma anche e soprattutto per motivi di buon gusto). Ma, appunto per questo, la Chiesa ha sempre esortato alla cautela, consapevole che non si trattava di una questione di vita o di morte per la liturgia. Gli estremismi (in qualsiasi direzione) sono sempre pericolosi...

Se posso portare una esperienza personale, anche per dimostrare che non si tratta di una questione nuova, posso raccontare quanto avvenne negli anni Ottanta nella Basilica di San Paolo Maggiore a Bologna (una delle più belle chiese barocche della città), dove ero vicario parrocchiale. Nei giorni feriali celebravamo a una cappella laterale (la cappella della Madonna di Lourdes), voltando le spalle ai fedeli, ma senza alcun problema di partecipazione attiva da parte dei fedeli; nei giorni festivi, naturalmente, all’altare maggiore. Subito dopo il Concilio era stato aggiunto un altare posticcio verso il popolo, di nessun valore artistico, mentre l’antico altare in marmo rimaneva inutilizzato sullo sfondo. Fui io stesso a proporre al parroco di provare a rimuovere l’altare posticcio e usare il vecchio altare. Il parroco accettò di buon grado la proposta; trovammo una scusa qualsiasi con i fedeli, e per qualche tempo riprendemmo a celebrare sul vecchio altare. Io stesso mi resi conto che c’era una grossa difficoltà a celebrare la nuova liturgia in quel modo, per cui giungemmo alla conclusione che si doveva trovare una soluzione diversa. E la trovammo nella realizzazione in legno (ma con un certo gusto, riprendendo i motivi artistici del vecchio altare) di un nuovo presbiterio sotto la cupola della chiesa, completamente autonomo dal vecchio presbiterio (che diventava cosí luogo della custodia eucaristica). Una soluzione certo di compromesso, ma decorosa, che cercava di conciliare il rispetto per l’architettura della chiesa con le esigenze della riforma liturgica (ricordo che negli stessi anni anche il Card. Biffi si trovò ad affrontare il medesimo problema in cattedrale, e anche lui lo risolse con una soluzione altrettanto di compromesso e altrettanto decorosa).

Leggendo infine l’intervista che Padre Lang rilasciò a ZENIT nel 2007, mi sono fatto un’idea della sua posizione. Capisco che la questione andrebbe approfondita, per cui le mie considerazioni non vogliono in alcun modo essere definitive. Mi pare però che faccia un po’ di confusione tra conversio ad Dominum e conversio ad Orientem. Padre Lang afferma che per i primi cristiani era comune volgersi verso Oriente (come per gli ebrei lo è volgersi verso Gerusalemme e per i musulmani verso la Mecca). Ripeto, non ho letto il libro, ma dagli accenni che fa nell’intervista, mi pare che tale atteggiamento fosse piú diffuso in Oriente che non a Roma. Certamente può trattarsi di una rispettabile tradizione (e bene fanno i riti orientali a conservarla), ma non mi sembra opportuno assolutizzarla, perché, in tal caso (se assolutizzata), essa non sarebbe conforme al culto in spirito e verità (Gv 4:23-24).

Ammesso e non concesso che i primi cristiani pregassero rivolti a Oriente, non riesco a capire il passaggio logico da questo atteggiamento alla celebrazione con le spalle ai fedeli. Si dice: sacerdote e fedeli, tutti parte della medesima Chiesa, si rivolgono insieme al Signore. Sí, d’accordo; ma questo non c’entra niente col volgersi ad Orientem; è un altro problema. Un conto è rivolgersi a Oriente; un altro conto è assumere durante la liturgia tutti lo stesso orientamento.

Una volta chiarita concettualmente la distinzione fra i due atteggiamenti, mi pare che, anche a proposito dell’orientamento di sacerdote e fedeli durante la liturgia, ci sia qualche considerazione da fare.

Innanzi tutto, vorrei notare che l’espressione “Conversi ad Dominum”, a quanto mi risulta, non appartiene al linguaggio tradizionale. Essa è una ritraduzione in latino di una espressione usata nella traduzione italiana (e forse in qualche altra lingua) della Messa: “In alto i nostri cuori” – “Sono rivolti al Signore” (di qui il titolo italiano del libro). Ma in latino il dialogo è: “Sursum corda” – “Habemus ad Dominum”, dove il concetto di conversio fisica è assente; si tratta di una conversio tutta spirituale, tanto è vero che si sta parlando di cuori e non di corpi. Per cui già questo la dice lunga sulla necessità di assumere tutti lo stesso orientamento fisico.

Ma, in ogni caso, chi ha detto che tale orientamento, anche fisico, di tutti i partecipanti alla Messa (sacerdoti e fedeli) sia assente nella nuova liturgia? Solitamente si sottolinea l’aspetto che, nella liturgia riformata, sacerdote e fedeli “si guardano in faccia”. Se permettete, questa è una banalizzazione che ha lo stesso valore di quella che riduce la vecchia liturgia a “voltare le spalle ai fedeli”. A me sembra che il vero intento della riforma liturgica sia stato quello di rimettere il mistero al centro della celebrazione. Innanzi tutto, con il distacco dell’altare dalla parete (dove molto spesso praticamente scompariva) e il suo posizionamento al centro del presbiterio; in secondo luogo, grazie a questo riposizionamento dell’altare, dando ai fedeli la possibilità di fissare lo sguardo sul mistero che su quell’altare si compie. Il fatto che il sacerdote stia da una parte dell’altare e i fedeli dall’altra non impedisce che tutti siano “rivolti al Signore”, presente in mezzo a loro (prima simbolicamente, attraverso il segno dell’altare; poi sacramentalmente, attraverso l’Eucaristia). Anzi, mi pare che, da un punto di vista cattolico, la nuova liturgia evidenzi meglio il ruolo del sacerdozio ministeriale: tutti sono parte dell’unico popolo di Dio, certo, ma con ruoli distinti. Ciò non toglie che in altri momenti sacerdote e fedeli possano avere tutti lo stesso orientamento; ma non mi sembra che questo sia il caso della Messa, perché dando eccessiva importanza all’orientamento verso un luogo, si rischia di svalutare l’Eucaristia: ebrei e musulmani possono pure avere bisogno di pregare rivolti verso un luogo; noi cristiani non ne abbiamo alcun bisogno, perché dovunque ci troviamo abbiamo l’Eucaristia, che rende presente il Signore in mezzo a noi.