Nel mio ultimo post facevo riferimento alla “fantasia pastorale”, che sembra aver conquistato la Chiesa postconciliare. Lo spunto veniva dalla cosiddetta “chiesa gonfiabile”, che verrebbe utilizzata in alcuni luoghi di vacanza. Dicevo: iniziative discutibili, ma che sono pur sempre un tentativo per accostare la gente e darle l’occasione di avvicinarsi a Dio. In fondo, se ci pensiamo bene, la “fantasia pastorale” non è un’invenzione della Chiesa odierna, ma è sempre esistita: in ogni tempo la Chiesa ha inventato qualcosa per avvicinare la gente. Che cosa non hanno fatto i santi, magari derisi dai loro contemporanei, per rendere Dio presente nella società del loro tempo?
Ieri L’Osservatore Romano riferiva di un altro esempio di “fantasia pastorale”, questa volta dagli Stati Uniti: aprire una cappella nei centri commerciali della diocesi di Colorado Springs (si legga l’articolo su Papa Ratzinger blog [2]). Per me non si tratta di una novità, perché è una realtà che ho potuto personalmente sperimentare nelle Filippine, dove nella maggior parte dei mall la domenica viene celebrata la Messa (magari nell’atrio centrale, dove di solito si svolgono le pubbliche manifestazioni) e, nei centri commerciali piú importanti, esiste una cappella. Quando mi imbattei in questa realtà per la prima volta, confesso, rimasi interdetto: per chi, come me, viene dall’Italia, dove cose del genere sono semplicemente impensabili, può sembrare un’iniziativa di cattivo gusto e una mancanza di rispetto per la liturgia. Non posso dare un giudizio sulla Messa, non avendo mai partecipato ad alcuna celebrazione; posso però esprimere il mio parere sulla presenza di una cappella, avendola piú volte frequentata. Tutte le volte che andavo al Mega Mall di Manila, non mancavo mai di fare una visita alla cappella, dove durante la giornata era esposto il Santissimo Sacramento. Ebbene, l’impressione che ne ho tratto è piú che positiva: primo, perché permetteva a me di trovare un momento di raccoglimento e di preghiera in mezzo al frastuono; secondo, perché sono rimasto edificato dalla continua affluenza di fedeli e dalla loro sincera devozione. È lí che ho capito quanto siano profondamente religiosi i filippini.
L’articolo dell’Osservatore evidenzia un altro obiettivo di tale iniziativa: dare ai fedeli la possibilità di confessarsi. Personalmente ci andrei un po’ piano a sparare certi titoli: “Negli Stati Uniti i fedeli scoprono di nuovo la confessione”, quando lo stesso articolo di rammenta i dati sconfortanti di un recente studio, secondo il quale “i tre quarti dei cattolici non partecipano mai al sacramento della riconciliazione o, se lo fanno, si confessano una sola volta all’anno o anche meno”. Non credo che l’iniziativa di Colorado Springs, per quanto benemerita, possa rappresentare un’inversione di tendenza. Ben vengano tutte le iniziative che possono contribuire a riavvicinare i fedeli al sacramento della Penitenza; ma non facciamoci eccessive illusioni: la disaffezione dei fedeli dalla confessione è un fenomeno assai diffuso e radicato e non potrà essere risolto solo aprendo qualche cappella nei centri commerciali. Non sono bastati Sinodi dei Vescovi, esortazioni apostoliche e impegno personale dei Papi; figuriamoci se sarà sufficiente aprire una cappella in un mall.
Anche perché esiste un problema a monte, giustamente evidenziato da alcuni commenti all’articolo dell’Osservatore, apparsi sul blog di Raffaella: il problema dell’abbandono della pratica della confessione da parte dei fedeli è un dato di fatto, che non può essere negato; ma va anche riconosciuto che spesso i fedeli non si confessano semplicemente perché... non trovano un prete a cui confessarsi. È vero — lo dico per esperienza personale — che spesso si entra in una chiesa con l’intenzione di confessarsi, ma purtroppo si rimane delusi, perché non si trova nessuno. Qualcuno dirà: basta chiedere! Può darsi; ma bisogna riconoscere che è diverso entrare in chiesa e trovare il confessionale con la luce accesa, e dover andare in sagrestia (se la si trova aperta) e dover chiedere se c’è qualche sacerdote disponibile.
Capisco che, specialmente nelle parrocchie, non si può pretendere che il parroco stia tutto il giorno in chiesa in attesa di penitenti: come potrebbe attendere agli altri suoi doveri pastorali? Quando poi lo stesso parroco è responsabile di piú parrocchie, come potrebbe essere contemporaneamente presente in ciascuna di esse? E poi — diciamoci la verità — non credo che ai parrocchiani faccia proprio piacere andare a confessarsi dal parroco... Ma forse il problema potrebbe essere risolto in altra forma, specialmente nelle città. In ogni città c’è la cattedrale o almeno il duomo. In tali chiese solitamente c’è un capitolo di canonici, i quali dovrebbero anche attendere, in qualità di penitenzieri, alle confessioni (il penitenziere maggiore di solito gode di facoltà che gli altri confessori non hanno). Un altro luogo privilegiato per le confessioni sono i santuari, non solo i grandi santuari internazionali (a Lourdes, però, sembra che gli unici che continuano a confessarsi siano gli italiani...), ma anche quelli locali, distribuiti un po’ ovunque. E poi ci sono le chiese dei religiosi, che negli anni dopo il Concilio, purtroppo, sono state un po’ trascurate (non solo per colpa di Vescovi e parroci, ma spesso degli stessi religiosi), con la tendenza a far convergere ogni attività pastorale nelle parrocchie. E invece quelle chiese svolgevano (e spesso continuano meritoriamente a svolgere) un ruolo prezioso, non solo perché in esse si ha la possibilità di partecipare alla Messa in vari momenti della giornata, ma anche perché si trova sempre almeno un religioso disponibile per le confessioni. Tutti i grandi ordini religiosi (Francescani, Domenicani, Gesuiti, ecc.) hanno sempre avuto in ogni città una loro significativa presenza. A Roma, per esempio, se volete confessarvi, a parte le quattro basiliche patriarcali, dove andate? Al Gesú, naturalmente. Anche i Barnabiti, nel loro piccolo, hanno svolto e, grazie a Dio, continuano a svolgere questo servizio nelle città dove sono presenti con una chiesa non-parrocchiale: Milano, Monza, Lodi, Cremona, Moncalieri, Genova, Perugia, Napoli... Si può entrare in quelle chiese in qualsiasi ora del giorno e trovare almeno un sacerdote a disposizione per ascoltare la confessione.
Naturalmente, il piú delle volte non si troverà un giovane religioso. I giovani (quei pochi che ci sono) in genere sono impegnati in altre attività: nello studio, nella scuola, nella pastorale giovanile, ecc. Ma mi sembra molto bello che un religioso giunto alla pensione, magari dopo una vita di insegnamento, anziché ritirarsi a vita privata, se ne vada in confessionale ad ascoltare le confessioni dei fedeli. Un modo molto valido di “riciclarsi” e di continuare a rendersi utili nella Chiesa. Un servizio, oltretutto, molto apprezzato, perché insieme con l’età, in genere, c’è anche saggezza ed esperienza.
Il problema di fondo è quello della disponibilità. Forse durante questo Anno sacerdotale i nostri Pastori farebbero bene a rammentare a noi sacerdoti tale importante virtú: essere sempre disponibili, a ogni ora del giorno e a ogni età della vita. Il sacerdote non è tale per sé stesso, ma per gli altri. E se è giusto, soprattutto quando si è giovani, andare cercare la gente per portarla al Signore, è altrettanto giusto, specialmente a una certa età, starsene tranquilli in attesa, pronti ad accogliere chiunque, di propria iniziativa, si è messo alla ricerca del Signore.
Ieri L’Osservatore Romano riferiva di un altro esempio di “fantasia pastorale”, questa volta dagli Stati Uniti: aprire una cappella nei centri commerciali della diocesi di Colorado Springs (si legga l’articolo su Papa Ratzinger blog [2]). Per me non si tratta di una novità, perché è una realtà che ho potuto personalmente sperimentare nelle Filippine, dove nella maggior parte dei mall la domenica viene celebrata la Messa (magari nell’atrio centrale, dove di solito si svolgono le pubbliche manifestazioni) e, nei centri commerciali piú importanti, esiste una cappella. Quando mi imbattei in questa realtà per la prima volta, confesso, rimasi interdetto: per chi, come me, viene dall’Italia, dove cose del genere sono semplicemente impensabili, può sembrare un’iniziativa di cattivo gusto e una mancanza di rispetto per la liturgia. Non posso dare un giudizio sulla Messa, non avendo mai partecipato ad alcuna celebrazione; posso però esprimere il mio parere sulla presenza di una cappella, avendola piú volte frequentata. Tutte le volte che andavo al Mega Mall di Manila, non mancavo mai di fare una visita alla cappella, dove durante la giornata era esposto il Santissimo Sacramento. Ebbene, l’impressione che ne ho tratto è piú che positiva: primo, perché permetteva a me di trovare un momento di raccoglimento e di preghiera in mezzo al frastuono; secondo, perché sono rimasto edificato dalla continua affluenza di fedeli e dalla loro sincera devozione. È lí che ho capito quanto siano profondamente religiosi i filippini.
L’articolo dell’Osservatore evidenzia un altro obiettivo di tale iniziativa: dare ai fedeli la possibilità di confessarsi. Personalmente ci andrei un po’ piano a sparare certi titoli: “Negli Stati Uniti i fedeli scoprono di nuovo la confessione”, quando lo stesso articolo di rammenta i dati sconfortanti di un recente studio, secondo il quale “i tre quarti dei cattolici non partecipano mai al sacramento della riconciliazione o, se lo fanno, si confessano una sola volta all’anno o anche meno”. Non credo che l’iniziativa di Colorado Springs, per quanto benemerita, possa rappresentare un’inversione di tendenza. Ben vengano tutte le iniziative che possono contribuire a riavvicinare i fedeli al sacramento della Penitenza; ma non facciamoci eccessive illusioni: la disaffezione dei fedeli dalla confessione è un fenomeno assai diffuso e radicato e non potrà essere risolto solo aprendo qualche cappella nei centri commerciali. Non sono bastati Sinodi dei Vescovi, esortazioni apostoliche e impegno personale dei Papi; figuriamoci se sarà sufficiente aprire una cappella in un mall.
Anche perché esiste un problema a monte, giustamente evidenziato da alcuni commenti all’articolo dell’Osservatore, apparsi sul blog di Raffaella: il problema dell’abbandono della pratica della confessione da parte dei fedeli è un dato di fatto, che non può essere negato; ma va anche riconosciuto che spesso i fedeli non si confessano semplicemente perché... non trovano un prete a cui confessarsi. È vero — lo dico per esperienza personale — che spesso si entra in una chiesa con l’intenzione di confessarsi, ma purtroppo si rimane delusi, perché non si trova nessuno. Qualcuno dirà: basta chiedere! Può darsi; ma bisogna riconoscere che è diverso entrare in chiesa e trovare il confessionale con la luce accesa, e dover andare in sagrestia (se la si trova aperta) e dover chiedere se c’è qualche sacerdote disponibile.
Capisco che, specialmente nelle parrocchie, non si può pretendere che il parroco stia tutto il giorno in chiesa in attesa di penitenti: come potrebbe attendere agli altri suoi doveri pastorali? Quando poi lo stesso parroco è responsabile di piú parrocchie, come potrebbe essere contemporaneamente presente in ciascuna di esse? E poi — diciamoci la verità — non credo che ai parrocchiani faccia proprio piacere andare a confessarsi dal parroco... Ma forse il problema potrebbe essere risolto in altra forma, specialmente nelle città. In ogni città c’è la cattedrale o almeno il duomo. In tali chiese solitamente c’è un capitolo di canonici, i quali dovrebbero anche attendere, in qualità di penitenzieri, alle confessioni (il penitenziere maggiore di solito gode di facoltà che gli altri confessori non hanno). Un altro luogo privilegiato per le confessioni sono i santuari, non solo i grandi santuari internazionali (a Lourdes, però, sembra che gli unici che continuano a confessarsi siano gli italiani...), ma anche quelli locali, distribuiti un po’ ovunque. E poi ci sono le chiese dei religiosi, che negli anni dopo il Concilio, purtroppo, sono state un po’ trascurate (non solo per colpa di Vescovi e parroci, ma spesso degli stessi religiosi), con la tendenza a far convergere ogni attività pastorale nelle parrocchie. E invece quelle chiese svolgevano (e spesso continuano meritoriamente a svolgere) un ruolo prezioso, non solo perché in esse si ha la possibilità di partecipare alla Messa in vari momenti della giornata, ma anche perché si trova sempre almeno un religioso disponibile per le confessioni. Tutti i grandi ordini religiosi (Francescani, Domenicani, Gesuiti, ecc.) hanno sempre avuto in ogni città una loro significativa presenza. A Roma, per esempio, se volete confessarvi, a parte le quattro basiliche patriarcali, dove andate? Al Gesú, naturalmente. Anche i Barnabiti, nel loro piccolo, hanno svolto e, grazie a Dio, continuano a svolgere questo servizio nelle città dove sono presenti con una chiesa non-parrocchiale: Milano, Monza, Lodi, Cremona, Moncalieri, Genova, Perugia, Napoli... Si può entrare in quelle chiese in qualsiasi ora del giorno e trovare almeno un sacerdote a disposizione per ascoltare la confessione.
Naturalmente, il piú delle volte non si troverà un giovane religioso. I giovani (quei pochi che ci sono) in genere sono impegnati in altre attività: nello studio, nella scuola, nella pastorale giovanile, ecc. Ma mi sembra molto bello che un religioso giunto alla pensione, magari dopo una vita di insegnamento, anziché ritirarsi a vita privata, se ne vada in confessionale ad ascoltare le confessioni dei fedeli. Un modo molto valido di “riciclarsi” e di continuare a rendersi utili nella Chiesa. Un servizio, oltretutto, molto apprezzato, perché insieme con l’età, in genere, c’è anche saggezza ed esperienza.
Il problema di fondo è quello della disponibilità. Forse durante questo Anno sacerdotale i nostri Pastori farebbero bene a rammentare a noi sacerdoti tale importante virtú: essere sempre disponibili, a ogni ora del giorno e a ogni età della vita. Il sacerdote non è tale per sé stesso, ma per gli altri. E se è giusto, soprattutto quando si è giovani, andare cercare la gente per portarla al Signore, è altrettanto giusto, specialmente a una certa età, starsene tranquilli in attesa, pronti ad accogliere chiunque, di propria iniziativa, si è messo alla ricerca del Signore.