Confesso che non mi piace per niente la piega che stanno prendendo le vicende politico-ecclesiastiche italiane.
Prima, il ventilato incontro fra Berlusconi e il Papa a Viterbo, successivamente smentito (ma era abbastanza evidente che si trattava di un rifiuto); poi le polemiche fra la Lega e Mons. Vegliò; ieri l’attacco di Feltri a Boffo (apertamente presentato come ritorsione alle critiche di Avvenire al Presidente del Consiglio); quindi l’annullamento della cena di Bertone e Berlusconi all’Aquila (l’evidente pariglia ecclesiastica al colpo basso del Giornale).
Certamente qualcuno in questo momento gongolerà: finalmente vede realizzarsi i sogni di rottura fra il Presidente del Consiglio e la sua maggioranza da una parte e la Santa Sede e la Chiesa italiana dall’altra. Io, personalmente, in tutta questa vicenda non ci trovo nulla di buono: non vedo a chi possa giovare e non vedo che cosa ci si guadagni. Pensate che ci guadagni qualcosa Berlusconi? È ovvio che il Presidente del Consiglio, che è un uomo astuto, sta giocando tutte le sue carte; ma non credo che alla fine abbia nulla da guadagnare, alienandosi le simpatie di buona parte del suo elettorato. Ci guadagna qualcosa la Chiesa, in termini di profezia, testimonianza e libertà (come vorrebbe Don Farinella)? Il caso Boffo dimostra dove si può arrivare, una volta imboccata la strada del moralismo.
Ieri ho letto l’articolo di Vito Mancuso sulla Repubblica, e confesso che mi ha fatto riflettere, soprattutto per aver tirato in ballo la testimonianza di Giovanni Battista, di cui oggi ricordiamo il martirio. Lí per lí mi sono detto: però è vero, Giovanni non ha avuto paura di denunciare i comportamenti immorali di Erode (si trattava della sua vita privata, non di reati pubblici), e per questo ha subito il martirio. Poi però ho pensato: sí, l’atteggiamento del Battista è ammirevole; ma Gesú (il quale, essendo galileo, avrebbe avuto un titolo in piú rispetto a Giovanni, che era giudeo, per accusare Erode, tetrarca della Galilea) non seguí quella strada; anzi, a chi gli chiedeva di condannare l’adultera rispose: “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei” (Gv 8:7). Ora, fino a prova contraria, noi siamo discepoli di Gesú, e non di Giovanni Battista.
Raffaella in questi giorni si è rallegrata, prima, per la smentita dell’incontro fra il Papa e Berlusconi a Viterbo, poi per l’annullamento della cena all’Aquila, invitando gli ecclesiastici a stare alla larga dai politici e a imitare il Papa. Solitamente mi trovo d’accordo con i commenti di Raffaella, ma in questo caso mi permetto di dissentire. Convengo che il Santo Padre ci sta dando una splendida testimonianza; ma sono altrettanto convinto che non è possibile — e non è necessario — che tutti seguano il suo esempio: non tutti possono e devono essere aquile che volano alto; ci sono, e devono esserci, anche le galline che rimangono nel pollaio. Voglio dire, il Papa fa il suo mestiere (e lo sta facendo benissimo); ma non tutti sono il Papa; nella Chiesa c’è bisogno anche dei Cardinali e dei Monsignori che intrattengano i rapporti di buon vicinato con gli uomini di mondo, magari andando a cena con loro (del resto anche Gesú non disdegnava le cene con i peccatori...). Sinceramente, io in quella cena non ci vedevo niente di male; anzi, avrebbe potuto essere un’occasione per una chiacchierata a quattr’occhi, che avrebbe sistemato molte cose. E invece... ecco il risultato!
Capisco che ai cattolici duri e puri alla Don Farinella il mio discorso potrà apparire semplicemente scandaloso; io sarò ancora della vecchia scuola andreottiana, dove allo scontro si preferiva il compromesso. Che volete farci? Ma a me, ripeto, questa storia non piace affatto; e se non si troverà un modo di ricomporla (confido sulle inesauribili doti di mediazione di Gianni Letta), andrà a finir male per entrambe le parti.
Prima, il ventilato incontro fra Berlusconi e il Papa a Viterbo, successivamente smentito (ma era abbastanza evidente che si trattava di un rifiuto); poi le polemiche fra la Lega e Mons. Vegliò; ieri l’attacco di Feltri a Boffo (apertamente presentato come ritorsione alle critiche di Avvenire al Presidente del Consiglio); quindi l’annullamento della cena di Bertone e Berlusconi all’Aquila (l’evidente pariglia ecclesiastica al colpo basso del Giornale).
Certamente qualcuno in questo momento gongolerà: finalmente vede realizzarsi i sogni di rottura fra il Presidente del Consiglio e la sua maggioranza da una parte e la Santa Sede e la Chiesa italiana dall’altra. Io, personalmente, in tutta questa vicenda non ci trovo nulla di buono: non vedo a chi possa giovare e non vedo che cosa ci si guadagni. Pensate che ci guadagni qualcosa Berlusconi? È ovvio che il Presidente del Consiglio, che è un uomo astuto, sta giocando tutte le sue carte; ma non credo che alla fine abbia nulla da guadagnare, alienandosi le simpatie di buona parte del suo elettorato. Ci guadagna qualcosa la Chiesa, in termini di profezia, testimonianza e libertà (come vorrebbe Don Farinella)? Il caso Boffo dimostra dove si può arrivare, una volta imboccata la strada del moralismo.
Ieri ho letto l’articolo di Vito Mancuso sulla Repubblica, e confesso che mi ha fatto riflettere, soprattutto per aver tirato in ballo la testimonianza di Giovanni Battista, di cui oggi ricordiamo il martirio. Lí per lí mi sono detto: però è vero, Giovanni non ha avuto paura di denunciare i comportamenti immorali di Erode (si trattava della sua vita privata, non di reati pubblici), e per questo ha subito il martirio. Poi però ho pensato: sí, l’atteggiamento del Battista è ammirevole; ma Gesú (il quale, essendo galileo, avrebbe avuto un titolo in piú rispetto a Giovanni, che era giudeo, per accusare Erode, tetrarca della Galilea) non seguí quella strada; anzi, a chi gli chiedeva di condannare l’adultera rispose: “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei” (Gv 8:7). Ora, fino a prova contraria, noi siamo discepoli di Gesú, e non di Giovanni Battista.
Raffaella in questi giorni si è rallegrata, prima, per la smentita dell’incontro fra il Papa e Berlusconi a Viterbo, poi per l’annullamento della cena all’Aquila, invitando gli ecclesiastici a stare alla larga dai politici e a imitare il Papa. Solitamente mi trovo d’accordo con i commenti di Raffaella, ma in questo caso mi permetto di dissentire. Convengo che il Santo Padre ci sta dando una splendida testimonianza; ma sono altrettanto convinto che non è possibile — e non è necessario — che tutti seguano il suo esempio: non tutti possono e devono essere aquile che volano alto; ci sono, e devono esserci, anche le galline che rimangono nel pollaio. Voglio dire, il Papa fa il suo mestiere (e lo sta facendo benissimo); ma non tutti sono il Papa; nella Chiesa c’è bisogno anche dei Cardinali e dei Monsignori che intrattengano i rapporti di buon vicinato con gli uomini di mondo, magari andando a cena con loro (del resto anche Gesú non disdegnava le cene con i peccatori...). Sinceramente, io in quella cena non ci vedevo niente di male; anzi, avrebbe potuto essere un’occasione per una chiacchierata a quattr’occhi, che avrebbe sistemato molte cose. E invece... ecco il risultato!
Capisco che ai cattolici duri e puri alla Don Farinella il mio discorso potrà apparire semplicemente scandaloso; io sarò ancora della vecchia scuola andreottiana, dove allo scontro si preferiva il compromesso. Che volete farci? Ma a me, ripeto, questa storia non piace affatto; e se non si troverà un modo di ricomporla (confido sulle inesauribili doti di mediazione di Gianni Letta), andrà a finir male per entrambe le parti.