«I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Oggigiorno gli esegeti sono per lo piú d’accordo nel non considerare tutto “eucaristico” il discorso di Gesú nella sinagoga di Cafarnao. Solitamente lo dividono in due parti: la prima (6:22-51a) avrebbe un carattere piú “sapienziale” (il pane sarebbe solo simbolo dell’insegnamento di Gesú, da accogliere nella fede); la seconda parte (6:51b-59) sarebbe quella piú propriamente “eucaristica” (in essa si parla non solo di “pane”, ma anche di “carne” e “sangue”). Il v. 51 fungerebbe da cerniera tra le due parti.
Personalmente, non ritengo che il discorso abbia una cesura cosí netta; ho l’impressione che l’argomentare di Gesú, come in altri passi del vangelo di Giovanni, sia progressivo: Gesú parte dai pani che le folle hanno mangiato per accompagnarle attraverso un percorso spirituale che le porti a poco a poco alla fede in lui e le disponga ad accoglierlo nell’Eucaristia. Tale gradualità viene molto bene evidenziata dalla liturgia, che distribuisce la lettura del discorso in domeniche successive.
La tappa della domenica odierna è quella centrale. A prima vista, potrebbe sembrare che siamo ancora nella parte “sapienziale” del discorso: «Sta scritto nei profeti: E tutti saranno istruiti da Dio. Chiunque ha ascoltato il Padre e imparato da lui, viene a me». In realtà questa sezione del discorso ha un carattere accentuatamente “cristologico”: Gesú sta parlando di sé stesso, del suo “mistero”, del mistero dell’incarnazione. E i Giudei lo capiscono immediatamente: conoscono suo padre e sua madre, conoscono le sue origini. «Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?».
Il vero pane disceso dal cielo non è la manna: gli Israeliti la mangiarono, si sfamarono, e poi morirono. Il vero pane disceso dal cielo, invece, è quello che dà la vita eterna (= che fa vivere per sempre). E questo pane è Gesú stesso. Mangiare questo pane significa credere in lui, credere cioè che egli è disceso dal cielo, che egli ha un’origine divina, che egli è il Figlio di Dio.
Tale interpretazione è confermata dai vv. 45 e 46: «Chiunque ha ascoltato il Padre e imparato da lui, viene a me». Per credere in Gesú occorre essere attirati dal Padre (v. 44) e ascoltarlo; il credente è colui che ascolta il Padre. «Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre». Gesú, e solo Gesú, è colui che ha visto il Padre, perché viene da lui.
Non è un caso che, al v. 51, si parli di “carne”. Non mi pare che si tratti ancora di un riferimento diretto all’Eucaristia (non si parla ancora di “sangue”, come avverrà nei vv. successivi); mi sembra piuttosto un riferimento al mistero dell’incarnazione: «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1:14). Semmai ci si potrebbe vedere anche un riferimento al mistero delle redenzione. Alcuni manoscritti hanno un’aggiunta significativa: «E il pane che io darò è la mia carne che io darò per la vita del mondo». Il Figlio di Dio si è fatto uomo per dare la vita per la salvezza del mondo. La morte sacrificale è già inclusa nel mistero dell’incarnazione: il Verbo assume la carne per offrirla in sacrificio. Per la vita del mondo. Per noi.
Oggigiorno gli esegeti sono per lo piú d’accordo nel non considerare tutto “eucaristico” il discorso di Gesú nella sinagoga di Cafarnao. Solitamente lo dividono in due parti: la prima (6:22-51a) avrebbe un carattere piú “sapienziale” (il pane sarebbe solo simbolo dell’insegnamento di Gesú, da accogliere nella fede); la seconda parte (6:51b-59) sarebbe quella piú propriamente “eucaristica” (in essa si parla non solo di “pane”, ma anche di “carne” e “sangue”). Il v. 51 fungerebbe da cerniera tra le due parti.
Personalmente, non ritengo che il discorso abbia una cesura cosí netta; ho l’impressione che l’argomentare di Gesú, come in altri passi del vangelo di Giovanni, sia progressivo: Gesú parte dai pani che le folle hanno mangiato per accompagnarle attraverso un percorso spirituale che le porti a poco a poco alla fede in lui e le disponga ad accoglierlo nell’Eucaristia. Tale gradualità viene molto bene evidenziata dalla liturgia, che distribuisce la lettura del discorso in domeniche successive.
La tappa della domenica odierna è quella centrale. A prima vista, potrebbe sembrare che siamo ancora nella parte “sapienziale” del discorso: «Sta scritto nei profeti: E tutti saranno istruiti da Dio. Chiunque ha ascoltato il Padre e imparato da lui, viene a me». In realtà questa sezione del discorso ha un carattere accentuatamente “cristologico”: Gesú sta parlando di sé stesso, del suo “mistero”, del mistero dell’incarnazione. E i Giudei lo capiscono immediatamente: conoscono suo padre e sua madre, conoscono le sue origini. «Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?».
Il vero pane disceso dal cielo non è la manna: gli Israeliti la mangiarono, si sfamarono, e poi morirono. Il vero pane disceso dal cielo, invece, è quello che dà la vita eterna (= che fa vivere per sempre). E questo pane è Gesú stesso. Mangiare questo pane significa credere in lui, credere cioè che egli è disceso dal cielo, che egli ha un’origine divina, che egli è il Figlio di Dio.
Tale interpretazione è confermata dai vv. 45 e 46: «Chiunque ha ascoltato il Padre e imparato da lui, viene a me». Per credere in Gesú occorre essere attirati dal Padre (v. 44) e ascoltarlo; il credente è colui che ascolta il Padre. «Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre». Gesú, e solo Gesú, è colui che ha visto il Padre, perché viene da lui.
Non è un caso che, al v. 51, si parli di “carne”. Non mi pare che si tratti ancora di un riferimento diretto all’Eucaristia (non si parla ancora di “sangue”, come avverrà nei vv. successivi); mi sembra piuttosto un riferimento al mistero dell’incarnazione: «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1:14). Semmai ci si potrebbe vedere anche un riferimento al mistero delle redenzione. Alcuni manoscritti hanno un’aggiunta significativa: «E il pane che io darò è la mia carne che io darò per la vita del mondo». Il Figlio di Dio si è fatto uomo per dare la vita per la salvezza del mondo. La morte sacrificale è già inclusa nel mistero dell’incarnazione: il Verbo assume la carne per offrirla in sacrificio. Per la vita del mondo. Per noi.