«Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini».
Per noi cattolici, la tradizione è un elemento fondamentale: è lo strumento attraverso cui giunge a noi la rivelazione divina. Siccome tale rivelazione è stata affidata agli apostoli, e da questi trasmessa ai loro successori fino a noi, la chiamiamo “tradizione apostolica”. La Chiesa cattolica vive di tale tradizione: è radicata in essa e da essa trae la sua linfa vitale. Interrompere la tradizione significherebbe per la Chiesa firmare la propria condanna. Abbiamo sotto gli occhi la situazione di quelle comunità ecclesiali che, nei secoli passati, avevano iniziato un nuovo corso, pensando di poter stabilire con Dio un rapporto di tipo diverso — personale, spirituale, immediato — che prescindesse totalmente dalla tradizione della Chiesa. È lo stesso destino che attende quei gruppi e quelle comunità, all’interno della Chiesa cattolica, che hanno considerato il Concilio Vaticano II come un nuovo inizio, come una rifondazione della Chiesa, che ignorava completamente venti secoli di storia.
Eppure Gesú, col vangelo odierno, ci mette in guardia dai pericoli che possono nascondersi anche dietro un formale rispetto della tradizione. I farisei erano attaccatissimi alla tradizione, tanto da scandalizzarsi dei discepoli di Gesú, che, secondo loro, non la rispettavano (non si lavavano le mani prima di mangiare!): «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi?». La risposta di Gesú è durissima: «Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini».
Tale risposta ci ricorda una grande verità: da una parte c’è il “comandamento di Dio” (piú in generale, potremmo dire: la “divina rivelazione”), dall’altra c’è la “tradizione degli uomini”. Tra queste due realtà esiste una profonda differenza: la prima è una realtà divina; la seconda, meramente umana. Non che, per questo, la tradizione non abbia alcun valore, sia inutile e da rigettare; ma il suo è un valore unicamente strumentale: la tradizione è, come abbiamo ricordato, il mezzo attraverso cui la rivelazione giunge a noi. Essa non può essere assolutizzata; essa non è fine a sé stessa; per sua natura, essa rinvia al “comandamento di Dio”. Nel momento in cui essa si chiude in sé stessa, si distacca dalla fonte che l’ha generata e pretende di essere punto di riferimento ultimo, essa perde tutto il suo valore e può essere tranquillamente abbandonata; diventa, semplicemente, “tradizione degli uomini”.
Per noi cattolici, la tradizione è un elemento fondamentale: è lo strumento attraverso cui giunge a noi la rivelazione divina. Siccome tale rivelazione è stata affidata agli apostoli, e da questi trasmessa ai loro successori fino a noi, la chiamiamo “tradizione apostolica”. La Chiesa cattolica vive di tale tradizione: è radicata in essa e da essa trae la sua linfa vitale. Interrompere la tradizione significherebbe per la Chiesa firmare la propria condanna. Abbiamo sotto gli occhi la situazione di quelle comunità ecclesiali che, nei secoli passati, avevano iniziato un nuovo corso, pensando di poter stabilire con Dio un rapporto di tipo diverso — personale, spirituale, immediato — che prescindesse totalmente dalla tradizione della Chiesa. È lo stesso destino che attende quei gruppi e quelle comunità, all’interno della Chiesa cattolica, che hanno considerato il Concilio Vaticano II come un nuovo inizio, come una rifondazione della Chiesa, che ignorava completamente venti secoli di storia.
Eppure Gesú, col vangelo odierno, ci mette in guardia dai pericoli che possono nascondersi anche dietro un formale rispetto della tradizione. I farisei erano attaccatissimi alla tradizione, tanto da scandalizzarsi dei discepoli di Gesú, che, secondo loro, non la rispettavano (non si lavavano le mani prima di mangiare!): «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi?». La risposta di Gesú è durissima: «Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini».
Tale risposta ci ricorda una grande verità: da una parte c’è il “comandamento di Dio” (piú in generale, potremmo dire: la “divina rivelazione”), dall’altra c’è la “tradizione degli uomini”. Tra queste due realtà esiste una profonda differenza: la prima è una realtà divina; la seconda, meramente umana. Non che, per questo, la tradizione non abbia alcun valore, sia inutile e da rigettare; ma il suo è un valore unicamente strumentale: la tradizione è, come abbiamo ricordato, il mezzo attraverso cui la rivelazione giunge a noi. Essa non può essere assolutizzata; essa non è fine a sé stessa; per sua natura, essa rinvia al “comandamento di Dio”. Nel momento in cui essa si chiude in sé stessa, si distacca dalla fonte che l’ha generata e pretende di essere punto di riferimento ultimo, essa perde tutto il suo valore e può essere tranquillamente abbandonata; diventa, semplicemente, “tradizione degli uomini”.