Sono stato sollecitato a intervenire sulla vicenda dell’Arcivescovo di Cagliari che ha proibito un convegno sul m. p. Summorum Pontificum, che avrebbe dovuto tenersi in questi giorni a Mandas, un paese di quella diocesi. Coloro che mi seguono da tempo sanno che non mi piace intromettermi in certe polemiche, per diversi motivi.
Primo, perché per esprimere un giudizio bisogna essere bene informati e sentire il parere di tutte le parti in causa. Spesso le informazioni che si hanno attraverso i mezzi di comunicazione (compreso internet) sono parziali, per cui ci si appiglia a qualche elemento isolato, senza sapere come effettivamente stanno le cose. Un esempio? Proprio come reazione a quanto avvenuto in Sardegna, è stata sollevata una polemica sulla “chiesa gonfiabile”, come se qualcuno volesse celebrare la Messa in spiaggia… Quando però si va a leggere con attenzione i resoconti, ci si accorge che non si tratta affatto di una chiesa e che non vi si celebra nessuna Messa; ma si tratterebbe semplicemente di un luogo di riflessione. Se cosí è, non ci trovo nulla di male; anzi, mi pare un’iniziativa simpatica, che lascerà il tempo che trova, ma è pur sempre un tentativo per rammentare alla gente che esiste qualcos’altro oltre il divertimento; uno dei frutti di quella “fantasia pastorale”, certo discutibile, ma che in ogni caso — bisogna riconoscerlo — contribuisce in qualche modo a mantenere viva la fede fra la gente.
Il secondo motivo è perché, in genere, in questi casi qualunque cosa si dice, si sbaglia. Per forza di cose, dovendo prendere posizione, si deve scontentare qualcuno; e, se si vuole rimanere neutrali, inevitabilmente ci si attira le ire di entrambe le parti. Se poi ci si rifiuta di intervenire, si viene accusati di non aver il coraggio di esprimere le proprie idee. Per cui non sai come muoverti.
Infine perché, in linea di principio, sono portato a dare credito a una autorità (in particolare a un Vescovo), quando prende una qualsiasi decisione. Io, che sono stato superiore, so che, quando si decide qualcosa, c’è sempre un motivo. Qualche volta lo si può rivelare, qualche altra no. Per questo, in genere, bisogna fidarsi dell’autorità — di qualsiasi autorità — e non si può sempre chiedere conto di ogni decisione.
Il caso presente, però, è un tantino diverso, perché l’Arcivescovo di Cagliari, dopo aver preso la decisione, l’ha anche giustificata sulla stampa. E qui, sinceramente, mi sembra che la sua giustificazione sia piuttosto debole. Mons. Mani ha detto di aver proibito il convegno perché alcuni parrocchiani (qualcuno precisa il numero: sette) sarebbero andati da lui, esprimendo la preoccupazione che Mandas diventi “il centro di un’iniziativa legata alla messa tradizionale”.
Io non sono nessuno; ma, visto che è stato richiesto il mio personale parere, dirò che, secondo me, nella Chiesa c’è — ci deve essere! — spazio per tutti. Se ci sono dei fedeli che vogliono incontrarsi per discutere sul motu proprio di Benedetto XVI, hanno tutto il diritto di farlo e nessuno (neppure il Vescovo) può impedirglielo. Mi pare che il Diritto Canonico sia abbastanza chiaro al riguardo:
«I fedeli hanno il diritto di fondare e di dirigere liberamente associazioni che si propongano un fine di carità o di pietà, oppure l’incremento della vocazione cristiana nel mondo; hanno anche il diritto di tenere riunioni per il raggiungimento comune di tali finalità» (can. 215).
Nel caso presente, secondo il mio modesto parere, Mons. Mani avrebbe dovuto garbatamente spiegare ai fedeli, che si erano lamentati con lui (poco importa quanti fossero), che non era in suo potere impedire una iniziativa che era nel pieno diritto di altri fedeli prendere.
Oltretutto, per quanto ne so, mi pare che in questo caso non ci fosse una competenza immediata del Vescovo, dal momento che il convegno non si sarebbe tenuto nei locali parrocchiali, ma in locali messi a disposizione dal Comune. Come può il Vescovo impedire un incontro che si svolge in locali su cui egli non esercita alcuna giurisdizione?
Detto questo, mi pare che si debba concedere a Mons. Mani qualche attenuante. Innanzi tutto, va riconosciuto che l’intenzione che lo ha mosso nel prendere quella decisione (secondo me, ripeto, sbagliata) era in sé stessa buona: «Io avevo avvertito a voce il parroco che questa iniziativa avrebbe provocato molti malumori, alla fine sono stato costretto a fermarla». L’intenzione che mi pare di percepire in queste parole era quella di salvaguardare l’unità, una preoccupazione piú che comprensibile in un Vescovo. Che poi il suo intervento abbia ottenuto l’effetto contrario, è un’altra questione; ma almeno la buona fede gli va riconosciuta. Dico questo, perché mi sembra che, in qualche caso, ci siano state delle reazioni un po’ scomposte: è piú che legittimo esprimere il proprio dissenso, l’importante è farlo in maniera civile e con carità cristiana. Dovremmo cercare di evitare in ogni modo di trasferire nella Chiesa un spirito di conflittualità, che è proprio del mondo, ma non si addice in alcun modo alla Sposa di Cristo.
In secondo luogo, mi pare di percepire nelle parole di Mons. Mani un pizzico di amarezza e di delusione. Dopo tutto, lui non ha proibito la celebrazione della Messa nella forma straordinaria nella sua diocesi; a Cagliari c’è una chiesa dove essa viene settimanalmente celebrata; ma sentite che cosa dice nella sua intervista a La Nuova Sardegna: «Se qualcuno pensa che io sia contrario, vada la domenica mattina alle dieci alla basilica di Santa Croce, dove si celebra il rito nella lingua antica. Liberissimi di farlo, solo che domenica scorsa i fedeli erano quindici...». Qualcuno dirà: questo non c’entra nulla. D’accordo. Qualcuno aggiungerà: pura polemica. È vero. In ogni caso, Mons. Mani pone un problema reale, che un Vescovo e tutti noi con lui non possiamo ignorare. Voglio dire che il problema pastorale della scarsa frequenza dei fedeli alla Messa esiste comunque, sia con la Messa di Paolo VI sia con quella tradizionale. Si dirà: suvvia, siamo ad agosto. Certo, ma questo dimostra che i fedeli “tradizionali” non sono marziani, sono come tutti gli altri, sono gente comune, che d’estate va in vacanza. Non c’è niente di male in questo (speriamo solo che vadano a Messa, qualunque essa sia...). Ciò però dovrebbe farci riflettere seriamente, senza pregiudizi e senza ideologie. Certi problemi pastorali vanno al di là del Novus Ordo o della Messa in latino: anziché alimentare sterili polemiche, faremmo bene ad affrontare tutti insieme, come Chiesa, tali problemi.
Gli amici legati alla tradizione non se la prendano, ma qualche volta si ha l’impressione che vogliano passare per i primi della classe: loro hanno le vocazioni; le loro chiese si riempiono; mentre nel resto della Chiesa è tutto uno sfascio. Come si può vedere da quanto osserva l’Arcivescovo di Cagliari, questo non è vero. Siamo tutti sulla stessa barca, con gli stessi problemi. Sarebbe forse il caso di riconoscerci tutti membri dell’unica Chiesa, uniti ai nostri Pastori (Papa e Vescovi), ciascuno con le nostre caratteristiche, pronti a collaborare insieme per la causa del Vangelo.
Primo, perché per esprimere un giudizio bisogna essere bene informati e sentire il parere di tutte le parti in causa. Spesso le informazioni che si hanno attraverso i mezzi di comunicazione (compreso internet) sono parziali, per cui ci si appiglia a qualche elemento isolato, senza sapere come effettivamente stanno le cose. Un esempio? Proprio come reazione a quanto avvenuto in Sardegna, è stata sollevata una polemica sulla “chiesa gonfiabile”, come se qualcuno volesse celebrare la Messa in spiaggia… Quando però si va a leggere con attenzione i resoconti, ci si accorge che non si tratta affatto di una chiesa e che non vi si celebra nessuna Messa; ma si tratterebbe semplicemente di un luogo di riflessione. Se cosí è, non ci trovo nulla di male; anzi, mi pare un’iniziativa simpatica, che lascerà il tempo che trova, ma è pur sempre un tentativo per rammentare alla gente che esiste qualcos’altro oltre il divertimento; uno dei frutti di quella “fantasia pastorale”, certo discutibile, ma che in ogni caso — bisogna riconoscerlo — contribuisce in qualche modo a mantenere viva la fede fra la gente.
Il secondo motivo è perché, in genere, in questi casi qualunque cosa si dice, si sbaglia. Per forza di cose, dovendo prendere posizione, si deve scontentare qualcuno; e, se si vuole rimanere neutrali, inevitabilmente ci si attira le ire di entrambe le parti. Se poi ci si rifiuta di intervenire, si viene accusati di non aver il coraggio di esprimere le proprie idee. Per cui non sai come muoverti.
Infine perché, in linea di principio, sono portato a dare credito a una autorità (in particolare a un Vescovo), quando prende una qualsiasi decisione. Io, che sono stato superiore, so che, quando si decide qualcosa, c’è sempre un motivo. Qualche volta lo si può rivelare, qualche altra no. Per questo, in genere, bisogna fidarsi dell’autorità — di qualsiasi autorità — e non si può sempre chiedere conto di ogni decisione.
Il caso presente, però, è un tantino diverso, perché l’Arcivescovo di Cagliari, dopo aver preso la decisione, l’ha anche giustificata sulla stampa. E qui, sinceramente, mi sembra che la sua giustificazione sia piuttosto debole. Mons. Mani ha detto di aver proibito il convegno perché alcuni parrocchiani (qualcuno precisa il numero: sette) sarebbero andati da lui, esprimendo la preoccupazione che Mandas diventi “il centro di un’iniziativa legata alla messa tradizionale”.
Io non sono nessuno; ma, visto che è stato richiesto il mio personale parere, dirò che, secondo me, nella Chiesa c’è — ci deve essere! — spazio per tutti. Se ci sono dei fedeli che vogliono incontrarsi per discutere sul motu proprio di Benedetto XVI, hanno tutto il diritto di farlo e nessuno (neppure il Vescovo) può impedirglielo. Mi pare che il Diritto Canonico sia abbastanza chiaro al riguardo:
«I fedeli hanno il diritto di fondare e di dirigere liberamente associazioni che si propongano un fine di carità o di pietà, oppure l’incremento della vocazione cristiana nel mondo; hanno anche il diritto di tenere riunioni per il raggiungimento comune di tali finalità» (can. 215).
Nel caso presente, secondo il mio modesto parere, Mons. Mani avrebbe dovuto garbatamente spiegare ai fedeli, che si erano lamentati con lui (poco importa quanti fossero), che non era in suo potere impedire una iniziativa che era nel pieno diritto di altri fedeli prendere.
Oltretutto, per quanto ne so, mi pare che in questo caso non ci fosse una competenza immediata del Vescovo, dal momento che il convegno non si sarebbe tenuto nei locali parrocchiali, ma in locali messi a disposizione dal Comune. Come può il Vescovo impedire un incontro che si svolge in locali su cui egli non esercita alcuna giurisdizione?
Detto questo, mi pare che si debba concedere a Mons. Mani qualche attenuante. Innanzi tutto, va riconosciuto che l’intenzione che lo ha mosso nel prendere quella decisione (secondo me, ripeto, sbagliata) era in sé stessa buona: «Io avevo avvertito a voce il parroco che questa iniziativa avrebbe provocato molti malumori, alla fine sono stato costretto a fermarla». L’intenzione che mi pare di percepire in queste parole era quella di salvaguardare l’unità, una preoccupazione piú che comprensibile in un Vescovo. Che poi il suo intervento abbia ottenuto l’effetto contrario, è un’altra questione; ma almeno la buona fede gli va riconosciuta. Dico questo, perché mi sembra che, in qualche caso, ci siano state delle reazioni un po’ scomposte: è piú che legittimo esprimere il proprio dissenso, l’importante è farlo in maniera civile e con carità cristiana. Dovremmo cercare di evitare in ogni modo di trasferire nella Chiesa un spirito di conflittualità, che è proprio del mondo, ma non si addice in alcun modo alla Sposa di Cristo.
In secondo luogo, mi pare di percepire nelle parole di Mons. Mani un pizzico di amarezza e di delusione. Dopo tutto, lui non ha proibito la celebrazione della Messa nella forma straordinaria nella sua diocesi; a Cagliari c’è una chiesa dove essa viene settimanalmente celebrata; ma sentite che cosa dice nella sua intervista a La Nuova Sardegna: «Se qualcuno pensa che io sia contrario, vada la domenica mattina alle dieci alla basilica di Santa Croce, dove si celebra il rito nella lingua antica. Liberissimi di farlo, solo che domenica scorsa i fedeli erano quindici...». Qualcuno dirà: questo non c’entra nulla. D’accordo. Qualcuno aggiungerà: pura polemica. È vero. In ogni caso, Mons. Mani pone un problema reale, che un Vescovo e tutti noi con lui non possiamo ignorare. Voglio dire che il problema pastorale della scarsa frequenza dei fedeli alla Messa esiste comunque, sia con la Messa di Paolo VI sia con quella tradizionale. Si dirà: suvvia, siamo ad agosto. Certo, ma questo dimostra che i fedeli “tradizionali” non sono marziani, sono come tutti gli altri, sono gente comune, che d’estate va in vacanza. Non c’è niente di male in questo (speriamo solo che vadano a Messa, qualunque essa sia...). Ciò però dovrebbe farci riflettere seriamente, senza pregiudizi e senza ideologie. Certi problemi pastorali vanno al di là del Novus Ordo o della Messa in latino: anziché alimentare sterili polemiche, faremmo bene ad affrontare tutti insieme, come Chiesa, tali problemi.
Gli amici legati alla tradizione non se la prendano, ma qualche volta si ha l’impressione che vogliano passare per i primi della classe: loro hanno le vocazioni; le loro chiese si riempiono; mentre nel resto della Chiesa è tutto uno sfascio. Come si può vedere da quanto osserva l’Arcivescovo di Cagliari, questo non è vero. Siamo tutti sulla stessa barca, con gli stessi problemi. Sarebbe forse il caso di riconoscerci tutti membri dell’unica Chiesa, uniti ai nostri Pastori (Papa e Vescovi), ciascuno con le nostre caratteristiche, pronti a collaborare insieme per la causa del Vangelo.