«Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».
Cosí leggiamo nel vangelo odierno (Gv 6:54). Gesú aveva già affermato qualcosa di simile poco prima nel medesimo discorso:
«Chiunque vede il Figlio e crede in lui [ha] la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Gv 6:40).
Il risultato è lo stesso; cambiano solo le condizioni per ottenerlo: prima, Gesú dice che, per avere la vita eterna (ed essere risuscitati nell’ultimo giorno), occorre “vedere” il Figlio e credere in lui; poi, afferma che bisogna mangiare la sua carne e bere il suo sangue.
I protestanti, ai quali non piace dare una interpretazione “eucaristica” del discorso nella sinagoga di Cafarnao, si basano su tale parallelismo per dimostrare, appunto, che nel secondo caso Gesú non si sta tanto riferendo all’Eucaristia, quanto piuttosto, ancora una volta, a sé stesso: “mangiare la sua carne” non significherebbe altro che accettare la sua persona (il “Verbo fatto carne”), credere in lui — esattamente come nel primo caso (“vedere” il Figlio e credere in lui).
Personalmente concordo che, quando in un testo incontriamo un parallelismo, esso ci aiuta a dare la corretta interpretazione di quel testo. Non mi sembra però necessario, per questo motivo, annacquare o addirittura dissolvere le specificità di uno dei passi paralleli nell’altro; è possibile che uno dei passaggi aggiunga qualcosa di nuovo rispetto all’altro.
Mi sembra questo il caso presente: non c’è dubbio che per avere la vita eterna (ed essere risuscitati nell’ultimo giorno) sia necessario “vedere” il Figlio e credere in lui; ma ciò non toglie che Gesú, dopo aver richiesto la fede nella sua persona, per ottenere il medesimo effetto, chieda pure di mangiare la sua carne e bere il suo sangue — un chiaro riferimento all’Eucaristia.
Del resto, qual è il senso dei sacramenti secondo la dottrina cattolica? Non sono essi forse “segni della fede”. Senza la fede, i sacramenti avrebbero qualche senso? E questa fede non deve forse necessariamente esprimersi attraverso i sacramenti?
Accostarsi all’Eucaristia (mangiare la carne di Cristo e bere il suo sangue) significa esattamente “vedere” il Figlio di Dio e credere in lui. Quando ci accostiamo all’altare, il sacerdote ci mostra un pezzo di pane e ci dice: “Il Corpo di Cristo”. E noi rispondiamo: “Amen”. Sí, ci credo; credo che questo non è semplicemente pane, ma è il Corpo di Cristo; credo che questo è davvero il Figlio di Dio; sí, “vedo” il Figlio e credo in lui.
Cosí leggiamo nel vangelo odierno (Gv 6:54). Gesú aveva già affermato qualcosa di simile poco prima nel medesimo discorso:
«Chiunque vede il Figlio e crede in lui [ha] la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Gv 6:40).
Il risultato è lo stesso; cambiano solo le condizioni per ottenerlo: prima, Gesú dice che, per avere la vita eterna (ed essere risuscitati nell’ultimo giorno), occorre “vedere” il Figlio e credere in lui; poi, afferma che bisogna mangiare la sua carne e bere il suo sangue.
I protestanti, ai quali non piace dare una interpretazione “eucaristica” del discorso nella sinagoga di Cafarnao, si basano su tale parallelismo per dimostrare, appunto, che nel secondo caso Gesú non si sta tanto riferendo all’Eucaristia, quanto piuttosto, ancora una volta, a sé stesso: “mangiare la sua carne” non significherebbe altro che accettare la sua persona (il “Verbo fatto carne”), credere in lui — esattamente come nel primo caso (“vedere” il Figlio e credere in lui).
Personalmente concordo che, quando in un testo incontriamo un parallelismo, esso ci aiuta a dare la corretta interpretazione di quel testo. Non mi sembra però necessario, per questo motivo, annacquare o addirittura dissolvere le specificità di uno dei passi paralleli nell’altro; è possibile che uno dei passaggi aggiunga qualcosa di nuovo rispetto all’altro.
Mi sembra questo il caso presente: non c’è dubbio che per avere la vita eterna (ed essere risuscitati nell’ultimo giorno) sia necessario “vedere” il Figlio e credere in lui; ma ciò non toglie che Gesú, dopo aver richiesto la fede nella sua persona, per ottenere il medesimo effetto, chieda pure di mangiare la sua carne e bere il suo sangue — un chiaro riferimento all’Eucaristia.
Del resto, qual è il senso dei sacramenti secondo la dottrina cattolica? Non sono essi forse “segni della fede”. Senza la fede, i sacramenti avrebbero qualche senso? E questa fede non deve forse necessariamente esprimersi attraverso i sacramenti?
Accostarsi all’Eucaristia (mangiare la carne di Cristo e bere il suo sangue) significa esattamente “vedere” il Figlio di Dio e credere in lui. Quando ci accostiamo all’altare, il sacerdote ci mostra un pezzo di pane e ci dice: “Il Corpo di Cristo”. E noi rispondiamo: “Amen”. Sí, ci credo; credo che questo non è semplicemente pane, ma è il Corpo di Cristo; credo che questo è davvero il Figlio di Dio; sí, “vedo” il Figlio e credo in lui.